Poesia è politica
(1) “Parliamo di politica, ora, per far contento Guy!”
(2) “Quanto alla poesia, la detesto!”
(1) “Parliamo di politica, ora, per far contento Guy!”
(2) “Quanto alla poesia, la detesto!”
Sono due frasi di Fahrenheit 451 . Dopo l’invito formulato dalla moglie di Guy (1), le amiche parlano di quanto è bello il candidato alla presidenza: a questo si è ridotta la politica nella società descritta da Ray Bradbury nel 1951. E poi Guy, provocato da (2), propone la lettura di una poesia – un atto illegale, punibile con la morte. L’effetto che sortisce è l’emozione, la commozione, il pianto di una. E la rabbia dell’altra: (3) “Lo sapevo che sarebbe accaduta una cosa del genere! L’ho sempre detto, io, poesie e lacrime, poesia e suicidio, pianti, disperazione, poesia e disgusto; tutte quelle sdolcinature!”
La frase (3) conclude il pomeriggio e l’apertura repentina (e subito richiusa) verso due attività umane imprescindibili. La politica e la poesia.
A chiarimento, la politica indica le azioni riferibili alla “polis” (città, comunità, nazione, ambiente di vita e lavoro) e la poesia indica “il fare, il produrre”. Entrambe hanno origine nel greco antico.
Questa premessa serve a introdurre una nuova rubrica dal titolo “Poesia è politica” allo scopo di riattivare il senso critico dei lettori e delle lettrici che dovessero avere la tentazione di indulgere all’idea che siano A, due parole opposte fra loro; B, due concetti pericolosi; C, due cose che non ci interessano.
La seconda citazione è tratta da una bellissima poesia di Grace Paley (1984) che dice:
“È responsabilità della società lasciare che il poeta sia poeta. // È responsabilità di chi è poeta essere donna”.
Da cui capiamo due cose: che il/la poeta ha delle responsabilità; che il/la poeta deve o dovrebbe allontanarsi dalle dinamiche del potere tradizionalmente intese – patriarcali, maschiliste, guerrafondaie, ecc. Ovviamente è un paradosso. Ma la poesia vive anche di questo. Il suo linguaggio è simbolico, metaforico, ossimorico, sinestetico, provocatorio. Teniamolo sempre presente.
E voglio citare infine un libro di Pietro Federico, Consequentia Rerum. Laboratorio di poesia contro la crisi sensoriale del nostro tempo (Rubbettino 2023) dove troviamo una dichiarazione altrettanto formidabile: è il poeta la persona su cui ricade, più che su tutti gli altri, la “responsabilità dell’educazione”.
Ohibò, il poeta di nuovo è collegato alla responsabilità. Non solo: all’educazione. Il poeta dunque come educatore e formatore, maestro di parole e di silenzi, di sensorialità e di contemplazione. L’autore ci invita a re-imparare il linguaggio, includendo la percezione percettivo/emotiva come fonte di conoscenza partecipativa, capacità di ascoltare, di accogliere, di fare silenzio.
Nelle prossime puntate, leggeremo insieme alcune poesie e raccolte di poesie per verificare quanto sopra scritto.
In icona: disegno di Giuditta Chiaraluce.
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