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La cravatta sul collo

di Pina La Villa - giovedì 17 febbraio 2005 - 4763 letture

Per aggiornare la rubrica stavolta tiro fuori dal computer una storia scritta qualche anno fa...

1 Piccolo paese del lato orientale della Sicilia. E’ circa mezzanotte. Il paese è avvolto nel silenzio e nel buio. L’auto percorre poche centinaia di metri dal bivio al primo semaforo sulla strada più larga del paese, gira a destra, accosta, si ferma. Lo studio è al primo piano della casa, fa angolo fra le due strade, con due grandi finestre coperte da tende pesanti. Ma la luce, anche a quell’ora di notte, filtra attraverso le pieghe laterali. "Che sta facendo tuo marito a quest’ora, ancora nello studio?" . Il tono del dottor Arcidiacono è come al solito sprezzante nei confronti del fratello. Ha accompagnato lui la cognata all’opera, davano La traviata al Massimo di Catania. Il fratello non ama uscire e tantomeno andare all’opera, spostarsi in città, la macchina, il traffico, la gente. Forse però quella sera avrebbe fatto meglio ad andare. La testa del signor Arcidiacono giace a terra, gli occhi sbarrati, le gambe e le braccia sembrano quelle di un burattino. Un lungo urlo. Il dottor Arcidiacono deve faticare parecchio a calmare la cognata, mentre cerca anche di capire se c’è ancora qualche speranza per il fratello. Nessuna speranza. Quando riesce a ridurre al silenzio la cognata, controlla i documenti in giro per lo studio, i cassetti, la cassaforte. (Non sappiamo ancora perchè lo fa. Forse lo scopriremo man mano, se io riuscirò a scrivere e se voi leggerete questa storia. Intanto i primi dati in nostro possesso sono questi.)

2 Quella mattina Pino fu finalmente felice della sua condizione di studente-trentenne-ancora-in famiglia. Al caldo del piumone arrivava il rumore del vento e dietro la finestra un cielo livido, nuvole grigie in movimento. Ma dalla cucina, sotto, arrivava l’odore del caffè. Significava che erano le sette. Tra un po’ avrebbe sentito sbraitare suo padre, lo avrebbe sentito litigare con sua madre, rumori di porte sbattute, passi veloci, rumori di mobili, imprecazioni. Tutto questo fino alle otto. Alle otto in punto sua madre, con la scusa del caffè, sarebbe salita a salutarlo e a ricordargli quello che doveva fare quella mattina. Sperò con tutte le sue forze che fossero solo incombenze casalinghe, l’idea di abbandonare il caldo della casa non lo attraeva. Il tragitto più lungo che aveva intenzione di fare era quello dalla sua stanza alla cucina, per fare colazione, e dalla cucina alla sua stanza, per mettersi a studiare. La tesi di laurea era ben lontana dall’essere finita. E le ultime due materie erano le più noiose. Quella mattina sua madre - fine psicologa - non andò neanche a salutarlo in camera: significava che aveva deciso, in quella giornata da lupi, di evitargli qualsiasi incombenza. Quando sentì la macchina mettersi in moto si rigirò nel letto e si concesse un’altra mezz’ora di sonno.

3 All’ora di pranzo il vento si era calmato e anche le nuvole apparivano come ripulite. Sua madre lo chiamò quando fu tutto pronto a tavola, sapeva che non mangiava mai volentieri. In genere insisteva poi, quando erano seduti a tavola, perché prendesse un po’ più di pasta o una fetta più grande di carne.

4 Quel giorno l’argomento fu un altro. Avevano ucciso uno dei fratelli Arcidiacono. "E chi è ?" "Non ce l’hai presente? Quello alto, il proprietario del negozio di mobili, stava sempre al circolo dei professionisti" Pino si sforza di ricordare, ma proprio non ci riesce. Comunque andiamo avanti, non possiamo aspettare che lui si ricordi, distratto com’è. "Lo hanno ucciso ieri sera, nel suo studio. Non si parla d’altro in paese. Tua zia stanotte è stata svegliata dalle auto della polizia. Si è affacciata al balcone e ha visto le luci accese nella finestra della casa e due macchine della polizia davanti alla casa" "Quale zia? Dove abitava questo qua?" "La zia Maria, non abita proprio nel condominio di fronte all’ufficio elettorale? Ecco, sopra l’ufficio c’è la casa di Gaetano Arcidiacono". "Veramente anche i locali dell’ufficio sono suoi" puntualizza papà, informatissimo di tutti gli affari presenti e passati delle amministrazioni. "Hanno scelto quei locali per l’ufficio quando era assessore suo fratello, Pippo Arcidiacono, nel 1980." A questo punto Pino comincia a ricordare la figura alta, robusta della vittima, anche se ancora gli sfuggono i lineamenti del viso e le sue relazioni col resto dell’umanità del paese.

5 Gaetano Arcidiacono, tirando le somme, era una gran bella figura di criminale. Il suo negozio di mobili era semisedeserto, ma la sua attività di usuraio (cravattaro, dalle nostre parti) in paese era conosciuta da tutti coloro che avevano avuto bisogno di lui e dai loro amici e parenti a cui l’avevano raccontato, in pratica circa il cinquanta per cento della popolazione, considerando che i bambini, forse, ne erano all’oscuro. I tassi oscillavano tra il cinquanta e il settanta per cento. E niente era lasciato al caso. Suo nipote, impiegato di banca, veniva facilmente a conoscenza delle situazioni in cui i soldi erano necessari: quelli che venivano in banca a chiedere prestiti, e poi dilazioni per i pagamenti, chi aveva le cambiali protestate. Così, con la faccia simpatica dell’amico che si vede al momento del bisogno, indirizzava il cliente di turno verso lo zio: ci avrebbe parlato lui, avrebbe fatto in modo che tutto procedesse nel migliore dei modi. Intanto prendeva i soldi che servivano dallo zio, poi lui, in banca, con comodo, avrebbe fatto in modo da fargli avere il prestito necessario. L’impiegato di banca non appariva per nulla minaccioso al nuovo cliente. Sembrava un ragazzino, riccio, magro, il viso piccolo e il sorriso sempre pronto, tutto era facile, tutto era uno scherzo.

6 " La colpa è del gioco d’azzardo. Si indebitano, poi sperano di risolvere i problemi giocando ancora. Ma quale! Incoscienti! Lo sanno che non si finisce mai. Metti il professor Blandini: ha chiesto i soldi a Tano Arcidiacono e sono due anni che svende tutto per pagare gli interessi: aveva una bella proprietà sulla strada per Misimerri, e l’ha venduta. Dicono che la sua casa era piena di mobili antichi di valore e li ha venduti. Sua moglie non lo guarda più in faccia e se ne vuole andare con i figli. Ma come fa, se sono senza una lira?" "Si, perché lei: la pelliccia, la casa al mare, la vacanza all’estero, il motorino ai figli. Sempre un professore lui è, anche se hanno - avevano - dei beni di famiglia. Lo stipendio finisce". "Non dimentichiamo però che gli interessi del morto erano anche del 70 per cento! Non dico che hanno fatto bene ad ammazzarlo, ma certo, se è vero quello che si dice in giro, non mi dispiace". Quando i vecchi cominciano a discutere così animatamente è buona norma ritirarsi. E poi la parola definitiva sulla vicenda l’avevano già detta: chiunque fosse stato a uccidere l’usuraio, aveva fatto bene, uno in meno.

7

L’omicidio dell’usuraio lasciò Pino nel solito disorientamento. Lui non lo aveva mai conosciuto, né tantomeno era a conoscenza della sua attività. Si rese però conto che forse in paese era l’unico a non saperlo. Lui stava lì a studiare la storia del paese, la classe dirigente dell’età giolittiana, la prosperità del paese per il commercio degli agrumi, la Sicilia della "polpa" diversa da quella dell’"osso", e poi non sapeva che a due passi da lui c’era un usuraio - si, adesso si ricordava vagamente quel personaggio strano, capelli brizzolati, alto, occhi inespressivi, sempre in giacca e cravatta. Il giornale e la Tv locale continuavano anche loro a ignorare quest’aspetto dell’attività della vittima. Era sempre "Lo stimato titolare del mobilificio Casamia", "Il rispettabile lavoratore e padre di famiglia " sembrava di leggere i giornali degli anni cinquanta - forse è in questo che lo studio della storia aiuta? a datare il linguaggio?

8 La descrizione del ritrovamento del cadavere la fece l’idraulico che venne a casa di Pino per controllare i serbatoi. Quel mattino i suoi non c’erano e toccò a lui badare a quel bel tipo. Lo aspettava dalle otto del mattino, venne alle undici e la casa sembrò tremare alla sua presenza. Meno male che non c’era sua madre: le sarebbe venuto un infarto, a vedere quell’uomo aggirarsi senza un minimo di delicatezza fra i suoi svaroskij. Era un uomo di circa quarant’anni, con gli occhi che sembravano sempre stupiti e un vocione insopportabile. Grasso e alto, con una tuta blu e una camicia a quadri che lo faceva sembrare uno dei tre porcellini, aveva però un’incredibile agilità che consentì alla sua mole di arrampicarsi velocemente sul tetto, aprire come se fosse il coperchio di una pentola la pesante copertura del serbatoio, controllare il galleggiante, e poi, sotto, il congegno incomprensibile di tubi che lui stesso, qualche anno prima, aveva creato. Niente da fare, ci voleva il nuovo galleggiante. Meno male che lui se ne era portato appresso uno, lo montò, spiegò a Pino il meccanismo del funzionamento dell’aggeggio e poi con un salto fu giù dalla scala.

9 Finirono per parlare dell’omicidio. Ovviamente l’idraulico non aveva un opinione, lui sapeva tutto, o meglio, quasi tutto. Conosceva tutta la famiglia della vittima, era stato a pranzo una volta con il fratello, quello che lavora nella scuola, che è stato sindaco del paese vicino; col nipote, quello che lavorava in banca, era stato insieme a scuola; e il fratello più piccolo, l’impiegato comunale, era un suo grande amico, gli aveva fatto tutto l’impianto idraulico della villetta in campagna. Ma la descrizione del ritrovamento del cadavere l’aveva sentita direttamente dalle labbra del suo amico carabiniere, il primo a trovarsi sul posto dopo la chiamata del fratello della vittima - quell’altro, il consigliere comunale - in caserma. Il suo amico gli aveva detto che il dottore, proprio come nei film, aveva stabilito l’ora dell’omicidio esattamente alle dieci di sera. La moglie, insieme al fratello - il consigliere comunale - sono tornati verso mezzanotte. Sono entrati nello studio e lo hanno visto a terra, in un lago di sangue: gli avevano sparato alle spalle, due colpi di pistola, e lui era caduto con la testa indietro, l’amico carabiniere si era impressionato per la cravatta: cadendo, gli si era rigirata sul collo, come una sciarpa, era a righe verdi e gialle.


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