Il referendum e la chiesa cattolica italiana

Una riflessione sulla decisione della chiesa cattolica italiana di boicottare una libera consultazione referendaria
NELLE MOLTEPLICI PROPOSTE FORMATIVE, LO SPECIFICO IMPEGNO POLITICO, INTESO COME SERVIZIO AL BENE COMUNE, VENGA PRESENTATO AI FEDELI LAICI COME UNA PARTICOLARE VOCAZIONE, UNA VIA DI SANTIFICAZIONE E DI EVANGELIZZAZIONE […]. VA POI RACCOMANDATA INSISTENTEMENTE, SECONDO LE POSSIBILITÀ DI CIASCUNO, LA PARTECIPAZIONE ATTIVA ALLA VITA PUBBLICA, A COMINCIARE DAL PROPRIO TERRITORIO E DALLE COMUNITÀ INTERMEDIE. (Con il dono della carità dentro la storia, n° 31)
Poco meno di dieci anni fa, con queste parole, la chiesa cattolica italiana si presentava come uno dei pochi punti di riferimento per la società italiana, devastata dalla bufera della corruzione, in una transizione politica di cui ancora non si intravedeva l’esito, sottoposta a una crisi morale e politica che aveva condotto a scelte avventuristiche e alla rottura dell’equilibrio costituzionale, con il nascere di nuove formazioni politiche che faticavano a riconoscersi nei principi sanciti dalla carta del ’48.
E oggi?
Oggi, con la società italiana in crisi, con una politica che continua a fingere di voler dare soluzione all’eterna transizione italiana, con la corruzione che risorge e che trascina nel gorgo i risparmi degli italiani, con un parlamento pieno di politici che sembrano ansiosi di stravolgere, da destra e da sinistra, gli equilibri della Costituzione, in questa società, la chiesa cattolica italiana sceglie di mutare la sua tradizionale posizione di rispetto delle regole democratiche italiane e, con un atto senza precedenti, invita gli italiani a non votare, ad astenersi dal referendum, a rinunciare a esercitare la propria sovranità.
Che succede?
Il cardinale Ruini, lo stesso che fino a dieci anni fa proclamava la necessità, per i cattolici, di considerare l’impegno politico come una vocazione, adesso convoca le truppe cammellate della chiesa cattolica, quei movimenti divenuti il ricettacolo di ogni conservatorismo e di ogni tradizionalismo, e lancia in grande stile una campagna per l’astensione referendaria.
Perché?
Non si tratta di nient’altro che di una vilissima operazione di miope calcolo politico. Dato per scontato che, nel referendum, la maggior parte degli italiani votanti si schiererà a favore dell’abrogazione di alcuni aspetti della legge 40, la chiesa cattolica italiana si barrica dietro l’unica chance possibile di "vittoria": invitare i cattolici al non voto, contrattare con il governo una data per il referendum il più possibile prossima all’estate, per intercettare il fisiologico astensionismo da bella stagione, assicurarsi che il referendum abbia una visibilità irrisoria sul sistema del media italiani (il che, essendo tutti i media proprietà di un unico signore, significa vendere l’anima a quel signore), e stare alla finestra a godersi la vittoria, per poi, magari, presentarla come il trionfo della fede nella cattolicissima Italia.
Funzionerà?
Può anche darsi che le cose vadano come Ruini si augura. Ma se dovessero andare diversamente? Se gli italiani dovessero capire l’imbroglio e dovessero comunque scegliere di andare alle urne, per esprimere ciascuno il proprio parere esercitando la propria sovranità costituzionale?, se il referendum dovesse passare, magari con il 50%(+1) degli aventi diritto? Questo calcolo politico, questa mobilitazione, questa tattica di difesa della legge sulla procreazione che fine farebbe? Il tutto naufragherebbe, la chiesa cattolica italiana avrebbe perso la sua partita senza nemmeno scendere in campo a giocarsela.
E se funzionasse?
Se Ruini dovesse vincere la partita e il referendum non raggiungesse il quorum, che succederebbe? La legge 40 sopravvivrebbe ancora qualche mese o qualche anno, finché una nuova maggioranza parlamentare non si decidesse a cambiarla in Parlamento. D’altra parte, un referendum che non raggiunge il quorum non ha nessuna forza vincolante, nemmeno di tipo morale, diversamente da un referendum valido nel quale avessero vinto i "no". Se ciò accadesse la battaglia sarebbe persa, comunque. Anche perché, se è vero che esistono, nel centro-sinistra, aree cattoliche che potrebbero frenare uno stravolgimento parlamentare della legge 40, è anche vero che uno schieramento trasversale riuscirebbe a coagularsi e a far approvare le modifiche. Con la differenza che di fronte a un eventuale referendum abrogativo della legge varata dalle nuove camere, la chiesa non avrebbe certo la forza morale per chiamare gli italiani alle urne e far votare il "proprio" referendum.
E le conseguenze?
La chiesa cattolica, invitando all’astensione, viene meno al suo tradizionale atteggiamento di rispetto delle regole democratiche dello stato italiano. Pur nei referendum persi, sul divorzio e sull’aborto, la chiesa ha saputo mantenere un atteggiamento di rispetto delle regole democratiche. In questa occasione, invece, la chiesa si pone in un atteggiamento di rottura delle regole. Si ha un bel dire che la non partecipazione al voto è un’opzione legittima. È legittimo per il cittadino non andare a votare, ma un’istituzione che si propone come guida spirituale e morale come può invitare a disertare un appuntamento democratico qual è il voto? Forse la chiesa cattolica e Ruini, in particolare, hanno trascurato che in questo modo incoraggiano quel disinteresse e quel distacco degli italiani dalla politica che in decine e decine di documenti sono stati individuati come uno dei più gravi problemi italiani. Dopo questo referendum, comunque vada a finire, la chiesa cattolica avrà pagato un caro prezzo nell’autonomia nei confronti del governo e dei partiti, un caro prezzo nella considerazione da parte degli italiani, un caro prezzo nella propria libertà di annuncio del Vangelo. E poi, mai, nella storia italiana degli ultimi 80 anni, la chiesa cattolica era scesa in campo in modo così palesemente antisistemico, ponendosi non "dentro" la vita democratica italiana ma "contro" essa. Un atteggiamento similmente distruttivo lo possiamo riscontrare soltanto all’epoca del funesto "non expedit".
Il gioco vale la candela?
Vale la pena di correre questi rischi per difendere una legge che, per stessa ammissione di Ruini, non è legge "cattolica" ma costituisce una sorta di "male minore"? Probabilmente, alla fine non ne sarà valsa la pena, fermo restando che l’astensionismo vinca e che, al contrario, non vinca il fronte referendario, magari per una risicatissima maggioranza.
Come si vede, queste riflessioni non entrano nel merito dei quesiti referendari, sui quali ciascuno dovrà decidere, in coscienza, se votare Sì o No. Democrazia vuole, però, che comunque la si pensi, nessuno debba rinunciare a esprimere la propria opinione tramite quello strumento, magari imperfetto, magari abusato, che è il voto. Uno strumento che ci è costato troppo sangue, troppa sofferenza, troppe lotte contro poteri e potenti per rinunciare a cuor leggero a esso. Mi spiace dirlo, ma in questa occasione la chiesa cattolica sta mostrando un’anima antidemocratica che si pensava (sperava?) non le appartenesse più da tanto tempo.
- Ci sono 1 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Sono un vostro "accanito" lettore. Oltre che promotore della vostra meritoria opera di denuncia e approfondimento di molti temi che mi stanno in cuore. Lettore accanito e un po’ offeso, da cattolico, per la lievità con la quale viene definita la "mia" chiesa, che certo può sbagliare, ma che essendo fatta di tante persone potrebbe meritare affermazioni meno generalizzate per esempio su quei movimenti che non sono tutti neotradizionalisti conservatori, reazionari e, peggio, teocon all’americana. Come in tutte le "famiglie numerose" le anime sono tante. E poi le generalizzazioni sono quantomeno figlie della superficialità. Ma non è questo il punto. Per contribuire al dibattito sul referendum, potreste leggervi (e magari commentare) quanto scrive lo scienziato Angelo Vescovi, che ha dispetto del nome con la Chiesa ha poco a che fare? Saluti, Lucio Alajmo
Bugie staminali
Lo scienziato Angelo Vescovi è contro le illusioni e spiega come si ricerca senza manipolare embrioni...
Una delle ragioni alla base dello scontro sulla legge che regolamenta la produzione di embrioni umani riguarda la possibilità di utilizzarli al fine di isolare cellule staminali embrionali pluripotenti. Essendo queste cellule in grado di produrre qualunque tipo di cellula matura dei tessuti del nostro organismo, esiste la possibilità che le cellule staminali embrionali possano essere utilizzate per lo sviluppo di numerose terapie rigenerative ad oggi incurabili, quali il diabete, il morbo di Alzheimer eccetera. Questa tesi è sicuramente logica e sostenibile fintanto che si accetti il fatto che si sta parlando di prospettive future e non di terapie già esistenti o in rapido divenire, e che si sta parlando di una delle numerose vie percorribili. Purtroppo, il messaggio che incautamente viene trasmesso al grande pubblico e al legislatore è di ben altra natura e diametralmente opposto a quello che la realtà dei fatti ci propone.
Ci viene infatti spesso spiegato il contrario del vero, e cioè che le cellule staminali embrionali rappresentano se non l’unica (concetto che comunque in molti propongono), sicuramente la via migliore per lo sviluppo di terapie cellulari salvavita. Si allude spesso, nemmeno troppo velatamente, al fatto che le terapie a base di cellule staminali embrionali sarebbero addirittura già disponibili.
Non posso mancare di notare come un tale approccio è totalmente infondato e pone il cittadino, presto chiamato a decidere sulla validità della legge sulla fecondazione assistita, di fronte ad un dubbio dilaniante: lasciare morire milioni di persone o permettere l’uso degli embrioni umani per generare cellule salvavita? Ovviamente, in un contesto simile la natura dell’embrione umano viene stravolta, negata e banalizzata fino a renderlo un semplice “grumo di cellule”, qualcosa di sacrificabile ignorando gli enormi problemi etici che questo sacrificio solleva. In realtà il sacrificio non è per nulla necessario.
Non ci sono terapie “embrionali” A dispetto di un oggettivo, significativo potenziale terapeutico, non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di cellule staminali embrionali. Non è attualmente possibile prevedere se e quando questo diverrà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, che ci impediscono di produrre le cellule mature necessarie per i trapianti, e data la intrinseca tendenza delle staminali embrionali a produrre tumori.
Secondo, ma non meno importante, esistono numerose terapie salvavita che rappresentano realtà cliniche importanti, quali le cure per la leucemia, le grandi lesioni ossee, le grandi ustioni, il trapianto di cornea. Tutte queste si basano sull’utilizzo di cellule staminali adulte. Inoltre, sono in fase di avvio nuove sperimentazioni sul paziente che implicano l’utilizzo di cellule staminali cerebrali umane.
Terzo, le terapie cellulari per le malattie degenerative non si basano solo sul trapianto di cellule prodotte in laboratorio. Esistono tecniche altrettanto promettenti basate sull’attivazione delle cellule staminali nella loro sede di residenza. Saranno quindi le cellule del paziente stesso che si occuperanno di curare la malattia, una volta stimolate con opportuni farmaci. Ovviamente, trattandosi delle cellule staminali del paziente stesso, i problemi di rigetto che, ricordiamolo, possono esistere col trapianto di staminali sia embrionali che adulte, in questo caso non sussistono.
Quarto: la produzione di cellule staminali embrionali può avvenire senza passare attraverso la produzione di embrioni. Sono infatti in corso studi grazie ai quali è possibile deprogrammare le cellule adulte fino a renderle uguali alle staminali embrionali senza mai produrre embrioni. Si tratta di una procedura che ha la stessa probabilità di funzionare della clonazione umana, ma scevra da problemi etici e che produce cellule al riparo da rischi di rigetto.
Da quanto descritto sopra, emerge molto chiaramente la seguente conclusione: il dibattito riguardante la legge sulla fecondazione assistita deve avvenire in assenza delle pressioni emotive e psicologiche che, artatamente, vengono fatte scaturire dalla supposta inderogabile necessità di utilizzare gli embrioni umani per produrre cellule staminali embrionali che rappresenterebbero l’unica o la migliore via per la guarigione di molte malattie terribili e incurabili. Questa affermazione è incauta non solo perché fondata su concetti facilmente questionabili ma anche in relazione all’esistenza di linee di ricerca, di sviluppo e di cure almeno altrettanto valide, molto più vicine alla messa in opera nella clinica corrente e prive di controindicazioni etiche. Il dibattito sulla legge deve quindi incentrarsi sugli aspetti relativi alla dignità dell’embrione e al suo riconoscimento come vita umana a tutti gli effetti.
In questo contesto, mi permetto di concludere che, nella mia scala di valori di laico e agnostico, il diritto alla vita dell’embrione precede inequivocabilmente il diritto alla procreazione.
Angelo L. Vescovi è uno dei più importanti studiosi del mondo nel campo delle cellule staminali. Pronuncerà questo intervento il 31 gennaio all’Accademia dei Lincei al convegno sui “problemi e le prospettive della procreazione assistita” organizzato dall’Isle.
Carissimo Lucio, mi spiace che tu abbia colto intenti offensivi nelle mie parole: non credo di aver generalizzato nè di aver offeso la "tua" chiesa che, per la cronaca, è anche la "mia". Quando parlo dei movimenti, ne parlo per esperienza diretta, avendo aderito a un movimento per venti anni. Come potrai notare, rileggendo attentamente quello che ho scritto, non intendevo entrare nel merito dei contenuti della legge 40: volevo soltanto dire la mia opinione di cattolico che si sente tradito dall’invito fatto dai vescovi, con il contorno di tutti (o quasi) i movimenti, a favore dell’astensione dal voto. Votare è una conquista democratica che la "mia" chiesa non può permettersi (secondo me) di sconsigliare. Per il resto, al referendum voterò secondo coscienza, come spero che faccia anche tu. Con amicizia Alessandro