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Il credo di Camillo Berneri nella notte del mondo

Il “credo” di Camillo Berneri è preghiera laica in cui ogni rivoluzionario piccolo e grande può ritrovarsi.

di Salvatore A. Bravo - domenica 23 marzo 2025 - 403 letture

Non si è rivoluzionari per le leggi scientifiche della storia, non si è rivoluzionari per i soli interessi di classe. La riduzione del “rivoluzionario” e della “rivoluzione” a categorie astratte e puramente descrittive sottrae dignità e grandezza ai rivoluzionari e alla loro opera tenace. I grandi rivoluzionari sono un modello vivo, ma è bene non dimenticare che le rivoluzioni sono preparate dall’impegno e dal sacrificio etico dei rivoluzionari “anonimi” e che con la loro passione per la giustizia hanno preparato “i grandi rivoluzionari”.

La grandezza di un rivoluzionario si misura sulla qualità dell’impegno e non certo sulla notorietà del “nome”, pertanto anche i rivoluzionari meno conosciuti o di cui si è perso il nome vi è grandezza. Nessun gesto e nessun sacrificio è mai perso nella storia, piuttosto essi attendono le condizioni favorevoli per catalizzarsi in nuovi soggetti politici. Nel nostro tempo senza cuore e senz’anima e che pare avere parole solo per gli affari e per le guerre di sterminio rammentare i rivoluzionari, il cui nome ha lasciato una impronta indelebile negli avvenimenti è uno dei modi possibili per trasmettere la feconda forza etica conservata nelle loro azioni e che continua ad essere plastica forza divergente nella storia. Ostracismi, ignoranza e censure non riusciranno a neutralizzare le loro parole e i loro gesti che splendono nel buio dei nostri giorni.

La nostra notte sembra infinita, ma la notte del mondo ha le sue luci. Se ad esse ci rivolgiamo possono rischiarare il nostro buio ed possono indicarci il sentiero che sembra perso tra sofismi e cannonate.

Camillo Berneri anarchico e comunista continua a “risplendere e ad esserci” con il suo sacrificio finale nel 1937 a Barcellona durante la Guerra civile spagnola. Non fu facitore di parole ma “partigiano e sperimentatore del nuovo”. In un suo breve scritto descrive il suo “credo”, è un testamento per i posteri, è un messaggio paideutico, lui che fu docente e si laureò con Salvemini con una tesi di pedagogia. Le parole del “credo di Camillo Berneri” attraversano il tempo e ci parlano ancora, se ci disponiamo all’ascolto.

La rivoluzione necessita di parole che possano incoraggiare i rivoluzionari piccoli e grandi a sperare e a trovare le ragioni per non scoraggiarsi e disperare in un mondo ostile e che ha posto sui suoi altari la crematistica.

Ogni rivoluzionario, nelle parole di Camillo da Lodi come taluni lo chiamarono e si lasciava chiamare deve imparare la difficile strada dell’amore. Bisogna amare gli uomini anche nelle loro fragilità e nelle loro miserie. Se il cuore si indurisce dinanzi alla meschinità umana la fiamma della rivoluzione si estingue. Nessun pessimismo, solo sano realismo, gli esseri umani hanno grandezze da ammirare, sofferenze da lenire e vi sono miserie da tollerare con paterna tenerezza. Le miserie sono accresciute dai condizionamenti sociali e dall’asprezza delle disuguaglianze.

Lottare è vivere i roveti della storia e farsi strada tra la complessità delle contingenze, le quali possono ferire e condurre al disincanto, ma nello sguardo bisogna avere la città solare, ovvero l’ideale verso cui muoversi. L’intelligenza emotiva e politica si moltiplica dinanzi alla chiarezza dei fini. La lucidità con cui si affronta il “quotidiano roveto” permette di non rifugiarsi in nicchie settarie, ma di cercare le ragioni per entrare nella storia da partigiano:

“Fa che il mio cuore non si inaridisca mai; che possa sempre continuare ad amare gli uomini così come sono, deboli e cattivi come dei bimbi e dei malati, che vanno aiutati ad uscire dalla barbarie o a guarire; che possa sempre sentire la pioggia delle lacrime del mondo, anche nel tepore luminoso dei momenti di gioia; chè non c’è pezza fangosa in cui non possano spendere l’oro del sole e i colori del tramonto. Fa che la lontananza della città solare non mi faccia abbandonare la città storica, sì che mi chiuda in una torre d’avorio, che potrebbe permettermi di farmi fervido operaio del pensiero e del sapere, ma che è soltanto per chi ha luce di genio. Tanti, troppi schiavi hanno bisogno di Bruto e di Spartaco, troppe folle chiedono di vedere Cristo sul calvario e sulla croce per intuire che l’uomo si india nel sacrificio, che la civiltà o avanza tra roveti o retrocede” [1].

Non si è rivoluzionari senza un lungo processo di formazione. Il rivoluzionario è temprato nel dono di sé e a tal fine la volontà necessita di una lungo percorso formativo nel quale sacrifici e rinunce sono il “pane quotidiano” senza essere “pena”, perché con essi l’individualità sublima se stessa con atto volontario verso l’universale. Città storica e città solare devono congiungersi nella prassi.

Il rivoluzionario conosce la durezza dell’autodisciplina senza essere spietato, conserva la delicatezza empatica di colui che ascolta e sente il dolore del mondo, senza tale legame il cuore fonte del bene e della cura si inaridisce e genera solo il male (il potere). Il rivoluzionario deve conservare la profondità dell’anima per generare la politica per l’umanità. La grandezza del rivoluzionario è dunque nel conservare la durezza della lotta con la tenerezza del “cuore di uno sposo”:

“Fa che il mio cuore non sia orgoglioso delle sue bellezze, che la fantasia non si compiaccia di eroismi per me impossibili, che la volontà si tempri in piccoli ma continui sacrifici e sforzi. Fa che il mio cuore si faccia forte senza diventare duro e freddo , che sappia conciliare la crudeltà del combattente con la tenerezza dello sposo, del padre e del figlio; che eviti al prossimo inutili sofferenze” [2].

La conversione alla rivoluzione non conosce scissione tra la vita pubblica e privata. La tenerezza per il “sentire” dev’essere presente anche nell’intimità carnale, senza la quale la passione degenera in possesso e il piacere in solitudine:

“Fa che nella intimità carnale l’anima non si spenga, e che il peccato sia purificato dal dono della voluttà, che solo allontana il vizio e solo rende sazio l’insaziabile” [3].

L’impegno e lo sconforto per i roveti contro cui si infrange la prassi non devono gravare sulle persone amate, anzi il rivoluzionario deve contenere il dolore per poter dare spazio ai suoi legami più intimi, egli non deve consumarsi in universalismi astratti, ma deve vivere l’ordinario nel privato, non deve isolarsi dalla sua storia biografica e dalla storia:

“Fa che non turbi, con i miei sconforti, il cuore della mia donna, ma fa che pur sapendo essere solo nel dolore, sappia essere consiglio e conforto” [4].

Il “credo” di Camillo Berneri è preghiera laica in cui ogni rivoluzionario piccolo e grande può ritrovarsi.

[1] Camillo Berneri, Il mio credo, da Pensieri e Battaglie, Vol. I edito a cura del Comitato Camillo Berneri, Paris 1938

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.


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