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Ecomafie: Legambiente al liceo Cottini di Torino

Dopo le agromafie analizzate dal prof. Marco Omizzolo, i docenti del Piemonte iscritti al corso “Mafie e dintorni” si sono confrontati con una seconda relatrice e un secondo tema, quello delle ecomafie

di francoplat - mercoledì 28 febbraio 2024 - 447 letture

A presentare la questione è intervenuta, in presenza, la dott.ssa Federica Sisti, referente Scuola e Formazione per Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, che ha sostituito la presidente dell’associazione, la dott.ssa Alice De Marco, impegnata in un’altra attività.

Preliminarmente, la relatrice ha presentato l’associazione per la quale opera, Legambiente, sottolineando come sia la più diffusa realtà associativa ecologista in Italia – dotata di un ufficio scientifico e di un approccio scientifico alla questione – e individuandone le origini all’inizio degli anni Ottanta, nella cornice culturale e politica dei primi nuclei ecologisti e dei movimenti antinucleari. All’ampio ventaglio di ambiti dei quali Legambiente si occupa (energia e rifiuti, cambiamenti climatici e Mediterraneo, qualità dell’aria e delle acque, pace e diritti umani ecc.), la dott.ssa Sisti ha affiancato il metodo di lavoro, le modalità attraverso le quali l’associazione opera: le campagne (“Puliamo il mondo”, ad esempio), l’educazione e la formazione, rivolte di fatto alle scuole, e i dossier e i rapporti, ossia lo strumento di analisi scientifica dei dati raccolti sul territorio.

L’ospite del Cottini entra, quindi, in tema. Ecomafie, definizione intuitiva, ossia tutte quelle attività illecite, orientate agli interessi delle consorterie criminali, che impattano in maniera spesso drammatica sull’ambiente, dall’abusivismo edilizio ai rifiuti dannosi ai mercati illegali della globalizzazione. Di fatto, un certo ritardo normativo, considerata la lontana tradizione degli illeciti in materia, è testimoniato dalla definizione legislativa dei reati ecomafiosi piuttosto tardiva, attraverso la legge n. 68 del 2015, che ha introdotto nel codice penale nuovi delitti a salvaguardia dell’ambiente – disastro e inquinamento ambientale, traffico organizzato di rifiuti o di materiale ad alta radioattività, omessa bonifica ecc. –, superando il precedente assetto giudiziario che affidava la tutela dell’ambiente a contravvenzioni e sanzioni amministrative. Con la legge 68/2015, infatti, si prevedono pene da 2 a 6 anni, ad esempio, per il reato di inquinamento e dai 5 ai 15 anni per quello di disastro ambientale.

È noto che le leggi non incatenano gli interessi mafiosi e non ha stupito più di tanto la platea del Cottini l’enumerazione degli illeciti ambientali computati da Legambiente per il 2022 nella nostra penisola: 30.686 reati, oltre venticinquemila persone denunciate, quasi seimila sequestri. Un insieme di attività che ha procurato circa nove miliardi di fatturato; non solo per i clan, precisa la relatrice, ma anche per le realtà corrotte coinvolte. Già, perché com’è ormai noto ai docenti partecipanti al corso, giunto alla sua terza edizione, le mafie si avvalgono dei “dintorni”, cioè non mafiosi che partecipano al tavolo da gioco dell’illecito. Non è un caso che l’ospite del liceo si appresti a dire che, in relazione al fenomeno analizzato, ci sono stati 23 comuni commissariati per reati connessi con le ecomafie.

Quanto ai settori ecomafiosi, un grafico a torta ha illustrato le percentuali relative ai singoli illeciti, con il ciclo del cemento che detiene il primo posto (circa il 40% dei reati sono ascrivibili a questo ambito), i reati contro la fauna il 21% e quelli legati al ciclo dei rifiuti oltre il 18%. Per quanto concerne il primo ambito, ossia il ciclo del cemento, l’illecito riguarda aspetti tristemente noti all’opinione pubblica, dagli appalti truccati alla mancata sicurezza nei cantieri – è di questi giorni la tragedia di Firenze nel cantiere che avrebbe dovuto portare alla costruzione di un centro “Esselunga” –, dalle cave fuorilegge alle opere pubbliche costruite con materiale scadente all’abusivismo edilizio, dalle speculazioni immobiliari alle opere dai costi gonfiati per alimentare le mazzette distribuite a ventaglio.

L’impatto di tale tipo di reato è noto, ossia il massacro vero e proprio del territorio. A tale proposito, la dott.ssa Sisti evoca alcune tipologie di attività avviate da Legambiente, tra le quali la campagna “Abbatti l’abuso” e il concorso fotografico “Fotogenia degli ecomostri”. Se il primo consente di avere un rapido sguardo sulla situazione di anarchia urbanistica e di illegalità nella penisola – tanto che l’ultimo rapporto Istat sul benessere equo e sostenibile parla di un abusivismo edilizio in crescita, nel 2023, del 9% rispetto l’anno precedente e di una situazione al Sud che vede circa 42 abitazioni costruite illegalmente ogni 100 edificate rispettando le norme –, il concorso fotografico cerca di sensibilizzare lo sguardo pubblico nei confronti degli orrori edilizi che deturpano le coste italiane.

E agli orrori edilizi, nella narrazione dell’ospite del Cottini, si accompagnano quelli relativi allo smaltimento dei rifiuti, anzi all’intero ciclo, dalla produzione, al trasporto all’interramento. Pure in questo caso, la slide della referente di Legambiente tocca un tasto noto: il rilevante fatturato derivante da questo tipo di traffico – stimato in circa 395 milioni di euro – non è appannaggio esclusivo dei clan mafiosi, «ma anche manager aziendali, faccendieri, amministratori locali e tecnici senza scrupoli», come recita il commento testuale sullo schermo.

Il racconto della dott.ssa Sisti prosegue attraverso l’enumerazione di altri illeciti, tutti in qualche misura con un forte impatto sull’ambiente, sulla natura: dagli incendi dolosi ai crimini contro la fauna, dalle agromafie – già trattate in modo particolareggiato dal primo relatore del corso di formazione del Cottini – alle archeomafie, ossia quei reati legati agli scavi clandestini, alle razzie nei siti archeologici, ma anche ai furti e al traffico illegale di opere d’arte. Un business non da poco, computato da Legambiente intorno ai 300 milioni di euro nel corso dell’anno precedente. In tutti questi casi, ciò che resta stabile, insieme all’ovvia presenza dei clan mafiosi, è la tenace connivenza e complicità dei non mafiosi, senza i quali tali attività non potrebbero conoscere lo stesso florido fatturato. Si pensi, ad esempio, al ruolo dei veterinari all’interno dei crimini contro la fauna – in particolare per quanto riguarda la certificazione degli alimenti provenienti da animali sani o meno – alla pari degli analisti chimici e al loro ruolo nel ciclo dei rifiuti pericolosi, alle loro attestazioni mendaci circa la tipologia di materiale stoccato. Del tutto evidente, risulta la compartecipazione dei committenti di opere d’arte o di reperti archeologici trafugati.

Queste considerazioni non sono un’estrapolazione personale dello scrivente. Lo dimostra il fatto che l’ospite del Cottini, dopo aver rapidamente schematizzato gli illeciti sopra citati, si sofferma su una questione attualissima, ossia quella relativa ai fondi del PNRR e lo fa riportando una lunga citazione del procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo. «Sono molto preoccupato perché il nostro Paese ha dinanzi a sé una grande occasione e sarebbe un disastro perderla, ma ci sono tutte le premesse perché ciò accada, se si pensa alla capacità delle mafie di condizionare i processi decisionali della pubblica amministrazione e di svolgere un ruolo importante nel mercato delle imprese, intercettando flussi di spesa pubblica». Una frase difficilmente equivocabile, che si lega al tema dell’incontro in relazione al fatto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’Italia ha allocato circa 248 miliardi di euro intorno a tre assi strategici, ossia la digitalizzazione e l’innovazione, l’inclusione sociale e, appunto, la transizione ecologica. In tal senso, la dott.ssa Sisti ricorda nuovamente che alta è la quantità di Comuni sciolti per mafia, anche in virtù dell’affidamento di servizi pubblici che concernono il tema in questione: smaltimento rifiuti, stabilimenti balneari, servizi sociali.

Il richiamo ai pericoli connessi al finanziamento del PNRR rappresenta, forse, il contenuto più significativo dell’incontro, per quanto porto con garbo e senza toni accesi, com’è nello stile comunicativo della relatrice. La quale ultima conclude con una panoramica quantitativa dei singoli reati in Piemonte, regione nella quale le cifre restano relativamente contenute: ad esempio, sul totale dei reati relativi al traffico dei rifiuti, il Piemonte partecipa con una percentuale del 5,3%, mentre del 3,8% è la cifra legata al ciclo del cemento. Ciò, ovviamente, non consente di tirare un liberatorio respiro di sollievo, sia perché i reati sono presenti sia perché è ormai un fatto assodato che la regione rappresenta un polo attrattivo pluridecennale per le consorterie mafiose. Per tale ragione, la serie di domande che portano alla chiusura dell’incontro, toccano anche questioni locali, a dimostrazione di come la percezione e la consapevolezza dell’illegalità quale appannaggio delle plaghe meridionali sia ormai un dato superato. Almeno tra i convenuti all’incontro della scorsa settimana. E questo pare essere il merito di un percorso di approfondimento del fenomeno mafioso che ha cercato di puntualizzare proprio la questione non esotica, non lontana dei rapporti tra le mafie e la società civile locale.

Il prossimo appuntamento, previsto per venerdì 22 marzo, riporterà i docenti iscritti al corso su un tema già affrontato nelle scorse edizioni, ossia la ‘ndrangheta; a parlarne, sarà il dott. Mario Andrigo, attualmente magistrato presso la Procura di Novara, ma per oltre un decennio sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria e autore di un volume, “Le radici della ‘ndrangheta” (scritto insieme a Lele Rozza nel 2011) che documenta la nascita e lo sviluppo della consorteria mafiosa calabrese.


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