Come siamo brutti, sporchi e cattivi

Si sperava che la crisi sortisse l’effetto di renderci più solidali ed uniti per superarla. Appunto, credevamo…
Come siamo diventati brutti, sporchi e cattivi… Se uno dovesse rileggere la storia dell’Italia degli ultimi vent’anni ricaverebbe la netta impressione di un paese imbruttito oltre ogni limite pensabile. E’ un fatto che dovrebbe farci riflettere. E molto. Noi eravamo il paese che dettava al mondo le leggi del bello. Un concetto di bello che si declinava sotto vari aspetti. Il bello dell’arte. Il bello del buon vivere. Il bello del paesaggio. Il bello dei valori. Invece – ora – siamo all’opposto. In questi anni abbiamo rapidamente buttato alle ortiche il bello per accogliere in noi tutto il brutto disponibile sull’orbe terracqueo. Una mutazione davvero incomprensibile. Soprattutto per la rapidità con cui è intervenuta. Nello spazio di una generazione. Ciò fa balenare in noi una domanda: siamo sicuri che la categoria del bello incarnava lo spirito degli italiani oppure in realtà era un modo per nascondere la nostra vera essenza? Un quesito – ammettiamolo – più che lecito visto lo svolgimento dei fatti. Si poteva sperare, fra l’altro, che la crisi potesse sortire l’effetto di un risanamento complessivo della gens italica spingendoci ad essere più solidali ed uniti. A riscoprire il meglio del nostro essere. Tutto è rimasto allo stadio della pura speranza. La realtà di ogni giorno ci offre molteplici esempi riguardanti il complessivo imbruttimento dell’Italia.
Le relazioni interpersonali non sembrano godere di un buon stato di salute. Si tende ad isolarci sempre di più facendo prevalere una narrazione incentrata sull’io. Al limite ci mettiamo in un gruppo. Un gruppo non aperto e parecchio restio a dialogare con gli altri. Non è un buon segno. Una società che basa le proprie dinamiche sull’io e al massimo sul noi non è aperta. Anzi. E’ esatto il contrario. Ciò lo si nota – per l’appunto – nelle relazioni interpersonali. Tendono al conflitto permanente. Non si cerca mai di trovare un punto di incontro con l’altro. Ad accettare le ragioni dell’altro. Ecco allora l’esplosione di violente contrapposizioni fra persone. L’altro è visto come un nemico da abbattere. Così facendo si minano quelle basi valoriali che danno fondamento e stabilità alla società. Infatti, in questi anni la conflittualità interpersonale è aumentata in maniera esponenziale. Non immaginate quanti procedimenti giudiziari sono in corso solo perché due persone si detestano e non si sopportano. In altri tempi bastava un po’ di buon senso. Ora si va fino alle estreme conseguenze.
Se assistete a un dibattito – politico o non politico – vi accorgerete subito che le dinamiche del dialogo fra le persone invitate portano subito ad un irrigidimento delle rispettive posizioni. Al meglio che va le posizioni rimangono tali dall’inizio alla fine. Senza la benché minima speranza che si possa trovare un punto di unione e di contatto. Spesso succede che l’unico obiettivo di questi dibattiti è la delegittimazione dell’altro. Si cerca scientemente di distruggerlo. Mediante tutti gli strumenti possibili. Anche attaccando la persona che si ha di fronte pescando nel presunto torbido della sua vita personale e privata. Ma quale esempio può dare a noi cittadini uno spettacolo sì squallido? Un esempio pessimo e di imitazione. La gente pensa: se il c.d. “meglio” del nostro paese si comporta in siffatto modo allora anche noi siamo autorizzati a farlo. Tutto questo comporta un doppio corto circuito. Il cattivo esempio dall’alto rafforza la parcellizzazione del medesimo in tutta la società. E chi sta in alto è legittimato a comportarsi così in quanto il mal costume generalizzato diventa una scusante per simili comportamenti. Un dibattito dovrebbe servire a trovare una soluzione. Diventa – invece – un modo per precipitare ancora di più nella categoria del brutto.
Il fenomeno dei c.d. “social network” è un fenomeno interessante da seguire ed osservare. In apparenza dovrebbero servire, i “social network”, a intessere nuove tipologie di rapporti interpersonali. Ciò è successo. Ammettiamolo. I “social network” hanno aperto il mondo e i rapporti fra le persone. Tuttavia, è il caso dei gruppi di discussione o dei profili singoli accade con frequenza inquietante che i post diventino luogo di scontro piuttosto accesso fra persone. Certo l’anonimato non aiuta certo a rendere l’espressione delle opinioni un esercizio di bello stile. Si giunge persino allo scontro fisico oppure all’omicidio od ancora al suicidio. La piazza telematica viene usata per denigrare in maniera pesante e continuativa gli altri. Si assiste giornalmente a una messa in ridicolo di chiunque accenna a una posizione diversa rispetto al post collocato online. Per certi versi sta nascendo un fascismo telematico. Un fascismo telematico che dovrebbe preoccuparci molto. Poiché denota una sofferenza democratica di larghi strati della popolazione. Chi posta si trasforma in un novello dittatore secondo il quale gli altri sono soltanto degli esseri inferiori poiché lui è l’unico in possesso della verità rivelata.
Come uscire da questo imbruttimento di noi stessi e di conseguenza della qualità della vita di ogni giorno? Domanda da un milione di dollari. L’unica via praticabile è di passare da un visione personalistica o di gruppo sul mondo ad una meno accentrata sull’io e più disposta a un dialogo con gli altri. In altri termini, una rivoluzione culturale. Abbiamo la forza di cambiare noi stessi? Abbiamo seri dubbi in proposito in quanto cambiare spesso significa andare contro usanze consolidate nel tempo solo perché esse sono utili ai nostri interessi. E gli interessi sono brutte bestie da combattere…
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