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A partire dalla "Critica della ragione liberale" di Andrea Zhok

La verità del sistema è dinanzi a noi, ma la destrutturazione delle personalità inibisce l’azione e lo scandalo etico. Conoscere la razionalità liberale è momento non differibile per uscire dal fatalismo esiziale del neoliberalismo.

di Salvatore A. Bravo - venerdì 8 novembre 2024 - 343 letture

Libertà e nichilismo

Emanciparsi dal linguaggio corrente con i suoi dogmi necessita di un lavoro archeologico che possa mettere in luce le strutture filosofiche e razionali della realtà. Il fatalismo e la naturalizzazione del presente sono irreali ed onirici, ci inducono a pensare il reale storico come l’effetto di legge naturali a cui adattarsi. Razionalizzare il presente storico significa astrarne il reale-verità per poterlo trasformare. La verità è nella storia, ma non è un “sistema chiuso”, è prospettiva futuribile. L’essere umano è responsabile della prassi. Il reale storico è posto da condizioni strutturali e sovrastrutturali che non sono inattingibili ed intrasformabili, ma sono costituite da contingenze storiche prospettiche utilizzate per il dominio globale.

Il dominio oligarchico rappresenta la contingenza come intrasformabile: l’inganno è la sostanza del dominio, quest’ultimo distorce i fatti causando una percezione falsa e bugiarda della realtà. Si fa valere come universale ciò che è parziale per celare interessi economici di una minoranza. La razionalità che governa il mondo globalizzato, non è neutra, non è un’ipostasi, ma è espressione della cultura neoliberista e delle classi a cui è associata.

Andrea Zhok in Critica della ragione liberale una filosofia della storia corrente ci è di ausilio per defatalizzare il presente. Nel testo si analizza il lessico quotidiano liberandolo da incrostature dogmatiche. La parola libertà, è tra le più abusate e scontate. Il termine libertà, invece, si può declinare in una pluralità di modi. La libertà si può definire “negativa”, nel caso un ostacolo non impedisca la realizzazione di un’attività e la piena realizzazione di un fine. Il paradigma entro cui leggere la libertà negativa è di tipo meccanicistico, per cui il reale è solo movimento e materia, il soggetto si muove in tale universo meccanico solo per soddisfare i suoi bisogni. Si tratta di una libertà che ha come centro l’individuo sciolto da ogni legame con la comunità e nei fatti privo di ogni profondità interiore.

La libertà positiva è di altro genere, essa implica la partecipazione politica alla comunità, l’individuo non è astratto, ma è legato in modo responsabile alla comunità tutta mediante l’autocoscienza. Il soggetto significa le azioni, e di conseguenza può sottrarsi alle pulsioni e alle stimolazioni distruttive. La libertà negativa non conosce limiti ed è funzionale all’attuale sistema di mercato che ha tra i suoi capisaldi irrinunciabili: il principio di non soddisfazione, ovvero, perché il mercato viva e si espanda bisogna formare consumatori dagli appetiti insaziabili. La libertà positiva si connota per il senso etico del limite e dell’appartenenza comunitaria. Naturalmente la libertà negativa di matrice hobbesiana ha prevalso, anzi, la libertà è declinata solo nella forma astratta dell’individualismo, per cui esseri liberi significa, nell’accezione attuale, che nessuna interferenza ostacola fini e desideri.

L’individuo scioglie ogni legame dalla comunità e si aliena gradualmente da se stesso:

“A partire da Hobbes, e poi in tutto il nucleo principale del pensiero liberale, si affaccia un concetto del tutto diverso di libertà. Hobbes rigetta esplicitamente la concezione di libertà repubblicana sostenendo che essa concerne solo le comunità e non gli uomini particolari. Al suo posto subentra quella nozione di libertà negativa che da allora in poi verrà considerata sempre più spesso come nozione fondamentale, ovvero un’idea di libertà come semplice non interferenza, come assenza di ostacoli o coazioni” [1].

L’antiessenzialismo della libertà negativa è il fondamento del neoliberismo, per il quale non esistono comunità o patrie, ma un mondo globale che si offre come un’immensa possibilità-mercato finalizzato a soddisfare i desideri individuali. L’altro è solo un ostacolo nella competizione globale, è il nemico da abbattere. Gli innumerevoli fatti di cronaca hanno la loro causa profonda nel narcisismo adiaforico. Il conflitto interiore tra particolare ed universale è anch’esso da rimuovere in nome dell’imperio dell’individuo e della sua transumanza identitaria. Nessuna comune natura limita lo spazio d’azione dell’individuo, ma le identità sono da consumare e godere come ogni bene di consumo.

Michel Foucault è stato l’araldo della dissoluzione delle identità e della finalità etica. Il nichilismo pienamente realizzato consuma l’occidente fino a renderlo “patria” di ogni sperimentazione sociale. Se non vi è verità, resta solo il mercato a determinare il valore quantitativo di ogni esperienza:

“L’opera di Foucault, che si sviluppa prima del ’68, avvia (ad un alto livello di elaborazione) una demolizione dei concetti portatori della riflessione occidentale: l’identità personale e l’unità del soggetto, l’oggettività del vero, il senso della storia, la ricerca dell’essenza o natura, l’idea di umanità” [2].

L’esoscheletro compensativo

In assenza di una comune natura, se l’individuo è emancipato da ogni legame etico ed ontologico con l’alterità, ciò che sostiene il soggetto all’interno del mercato globale è la categoria della quantità. I beni materiali sono l’esoscheletro dell’individuo, il vuoto ontologico è compensato con i beni materiali. L’individualità astratta collassa nelle sue innumerevoli identità che si succedano in modo caotico. Alla fine di tale processo regna e impera solo la scissione. Si ottiene, così, un doppio risultato, si indebolisce la struttura identitaria e comunitaria del soggetto e si favorisce il mercato globale che necessita di consumatori caratterizzati da personalità destrutturate e senza profondità:

“La dinamica consumistica presenta due aspetti. Il primo è la funzione di controllo ed esercizio di potere data dall’acquisto: in un mondo in cui i margini di controllo/previsione sui destini propri e altrui vengono progressivamente ridotti, l’acquisto di beni o servizi rappresenta psicologicamente una forma di “rivalsa” del soggetto, che trae dall’appropriazione un soddisfacimento in termini di esercizio di potere, di controllo apparente. A un secondo livello, più profondo, il consumo di beni di valore simbolico rappresenta un tentativo di supplire all’impoverimento della personalità, compensandolo con “protesi dell’anima” nella forma di possesso di cose” [3].

L’economico è inglobato nelle relazioni, assimila ogni aspetto della vita sociale per ridurla ad automatismo organico al profitto. L’economicismo ha nella libertà negativa il suo mito fondativo e il trofeo da mostrare alle folle. La libertà negativa è il mezzo per conquistare le masse e depoliticizzarle.

Svelamento

L’individualismo con annessa libertà negativa, svela il carattere irrazionale della razionalità neoliberista, poiché indebolisce l’identità individuale, fino a renderla semplice protesi del mercato che compensa l’impotenza perenne e il vuoto ontologico con i beni di consumo. Si rende palese che i diritti di natura proclamati dalla cultura liberale con Locke non sono che finzioni per scalzare l’ancien régime, per cui il fondamento del liberalismo è sostanzialmente nichilistico, poiché per affermare il mercato deve indebolire e destrutturare le personalità. Si esaltano le individualità e le si rende visibili per poterle controllare e aggiogare ai bisogni del mercato:

“Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile, e del valore come appagamento interiore (utilità percepita), sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere, invece l’astrazione di partenza appare per la moderna riflessione economica come un “luogo naturale” aristotelico, un punto di attrazione cui si tende a ritornare sempre, salvo esplicito impedimento. Una volta compresa l’essenziale continuità tra la ragione liberale classica e la razionalità economica classica, si comprende la naturalezza dello sbocco neoliberale” [4].

Sistema criminale

L’individualismo anticomunitario si concretizza in un sostanziale agire criminale. La razionalità strumentale neoliberale ha quale unico fine trasformare ogni fine in mezzo per l’accumulo. É inevitabile che il crimine diventi sistematico, poichè se il denaro ed i beni sono la carne e il sangue del mercato; i limiti etici non hanno ragion d’essere per cui la percezione del crimine si assottiglia fina a diventare nulla. Solo il calcolo cinico e amorale si afferma. Ogni etica è guardata con sospetto, in quanto i vincoli morali impediscono lo sviluppo illimitato del mercato, per cui tutto è concesso e tutto è possibile:

“E’ stato però più volte osservato come il fattore criminogeno prevalente non sia la povertà in senso assoluto, ma la condizione di deprivazione relativa in contesti sociali “liberalizzati”: la criminalità esplode dove i soggetti hanno assimilato la santificazione liberale del perseguimento del proprio interesse e del successo economico, e dove essi siano in condizione di povertà relativa” [5].

Il crimine è consustanziale al sistema liberale-liberista, in esso prevale l’utile e l’abitudine a manipolare ogni occasione per il plusvalore, diventa inevitabile che si normalizzi la logica del crimine, la quale è interna anche alla legalità riconosciuta. Il crimine è esaltato in modo pruriginoso nei media, esso è normalizzato e reso ordinaria banalità dell’esistenza. Il saccheggio del pianeta, i genocidi, lo sfruttamento, l’estinzione di culture e di lingue e la logica della manipolazione senza limiti non possono non essere giudicati crimini. L’annichilimento del pianeta non può essere fermato, se si resta interni al paradigma neoliberale, poiché l’individualità anarchica e l’obiettivo di incrementare il PIL in assenza di altri valori e progetti politici non possono che indurre al consumo–crimine illimitato [6].

L’impoverimento etico, in tale contesto, è inevitabile, ma esso reca con sé l’urgenza di una trasformazione e di una elaborazione politica per uscire dal paradigma della razionalità strumentale. Siamo ad un bivio, poiché perpetuale l’illimitato non può che condurre all’estinzione della vita.

La terra è limitata nelle risorse, il sistema liberal-liberista ambisce all’illimitato, per cui la consapevolezza della contraddizione esige una risposta non più rimandabile. I problemi etici circa la distribuzione dei beni e la giustizia sociale sono stati posti fin dalle origini dal pensiero liberale per essere abilmente aggirati, si pensi alla mano invisibile di Adam Smith, la quale è stata un ottimo espediente per rimuovere l’irrazionalità del sistema ed i problemi etici e politici connessi. Le contraddizioni del sistema non possono essere più celate. La verità del sistema è dinanzi a noi, ma la destrutturazione delle personalità inibisce l’azione e lo scandalo etico. Conoscere la razionalità liberale è momento non differibile per uscire dal fatalismo esiziale del neoliberalismo. Alla disgregazione assiologica non si possono opporre facili soluzioni o scelte di compromesso, ma solo soluzioni radicali.

[1] Andrea Zhok Critica della ragione liberale, Meltemi Milano 2020 pag. 69

[2] Ibidem, pag. 240

[3] Ibidem, pag. 181

[4] Ibidem, pag. 153

[5] Ibidem, pag. 192

[6] Ibidem, pag. 199


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