A ferro e fuoco

Recensioni al libro di Enzo Traverso, A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Il Mulino 2007

di Pina La Villa - mercoledì 4 giugno 2008 - 10191 letture

Enzo Traverso, A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Il Mulino 2007

Parlare di guerra significa raccontare tutto il Novecento e anche, per molti aspetti, il presente. Ovviamente occorre dotarsi degli strumenti necessari. Enzo Traverso li trova muovendosi fra la teoria politica, la storia sociale e la storia culturale ma senza perdere di vista il tema, tenendo saldamente la rotta.

Più difficile l’impresa per chi recensisce il suo libro, data la densità e la ricchezza di riferimenti.

Comunque vale la pena provarci, è necessario rendere conto di un libro che, con argomentazioni serrate e fondate, fa uscire il dibattito sulla nostra storia recente dai luoghi comuni del recente “uso pubblico della storia”.

Il quadro cronologico è quello individuato da Hobsbawm nel suo “Il secolo breve”, nella prima parte che ha per titolo “L’età della catastrofe” e che racchiude in un unico blocco la prima e la seconda guerra mondiale, il fascismo, il nazismo, la rivoluzione russa e lo stalinismo, utilizzando il concetto di Guerra civile europea.

Vediamo infatti, nel capitolo sulle sequenze, quali sono gli avvenimenti:

1)(1914-1923): Conflitto interstatuale e rivoluzioni : Russia, Germania, Impero asburgico (Repubblica sovietica in Ungheria. Bela Kun, 4 mesi), Finlandia, Italia. La Guerra totale si rivela matrice delle rivoluzioni e del fascismo. 2)1936: Spagna. Lo storico Paul Preston parla di “battaglia più feroce di una guerra civile che infieriva in Europa da vent’anni”. Definizioni della guerra civile spagnola: g. tra modernità e conservatorismo; g. nazionale; g. di classe; g. civile nella guerra civile; g. europea tra democrazia e fascismo. Nasce qui il concetto di “quinta colonna” (sinonimo di nemico interno, frase detta da generale nazionalista Mola in un’intervista). Vittime: lo storico Gabriel Jackson le scorpora così: 100.000 soldati in combattimento, 10.000 civili a causa dei bombardamenti, 50.000 a causa delle malattie e della malnutrizione generate dal conflitto. Con l’avvento al potere di Francisco Franco inizia la g. civile legale. 3)1939-1945: La seconda guerra mondiale è una guerra totale nella quale si articolano diverse guerre parallele: g. fra potenze per l’egemonia sul continente; g. di autodifesa dell’URSS; g. di liberazione nazionale; g. civile della Resistenza. La Shoah ha tratti specifici ma è comunque una dimensione della guerra civile europea. Italia. Resistenza come guerra civile (Claudio Pavone): g. nazionale, g. per la democrazia, g. di classe; Francia: la rapidità dell’avanzata degli alleati impedisce la guerra civile; Balcani: guerra civile, nazionale e di classe; Grecia: intreccio tra guerra totale e guerra civile.

Se si vuole sottolineare l’inclinazione verso il male dell’astratta umanità, o, come fa Wolfgang Sofsky, che la violenza è destino della specie, in questo quadro c’è parecchio da prendere. Ma per chi, come Traverso - e chi scrive - , “la violenza non rivela la natura profonda degli uomini, ma indica con evidenza inoppugnabile ciò di cui gli esseri umani sono capaci se posti in situazioni estreme”, si tratta invece di capire, comprendere nel senso etimologico del termine, tenere insieme, collegare, trovare i nessi, le genealogie. Troppe le atrocità e le sofferenze di queste e di altre guerre (pensiamo alla guerra in Iraq) per non premettere quanto segue: “Le guerre civili (come i genocidi) costituiscono un laboratorio interessante per sondare in profondità la solidarietà, lo spirito di sacrificio e la generosità che abitano gli uomini. Ma illustrano anche gli abissi di crudeltà e l’inesauribile capacità di fare il male che, in ultima analisi, ne sono il risvolto dialettico. Al contempo mettono in discussione l’ottimismo antropologico delle filosofie del progresso e il pessimismo radicale delle ideologie conservatrici. Il bene e il male coesistono nella guerra civile come i poli di un campo magnetico, mostrando così, di fronte all’estremo, che la natura umana è sempre fatta di una miscela di entrambi”

A questo punto una rapida scorsa all’indice può darci l’idea dei temi affrontati, e scavati in profondità, dallo storico.

Anatomia della guerra civile: si parte dall’anomia, cioé dall’assenza di qualsiasi norma di condotta condivisa dai belligeranti. Si analizza la figura e il ruolo dei partigiani, figura di combattente irregolare, caratteristica della guerra civile europea, che nasce dalla “militarizzazione della vita politica dopo la Prima guerra mondiale” (p. 70), vede il suo culmine nella seconda guerra mondiale e alla Liberazione diventa una figura pienamente legittima. Si passa poi all’analisi della violenza calda, lo scontro fisico, concreto, fatto di sangue e ferocia. Una violenza che viene “compresa” così: “Nella guerra civile la violenza è trasgressiva e presenta quindi, come ha indicato Roger Caillois, sorprendenti affinità con la festa. La guerra civile e la festa costituiscono momenti essenziali di socializzazione nei quali gli individui si abbandonano a un’effervescenza collettiva che trasforma in atto comunitario la soluzione dei loro problemi, rimettendo in discussione le distanze sociali e l’autonomia individuale”(p. 77) L’odio perde il suo carattere astratto, e la violenza si carica di una forte dimensione simbolica. La guerra civile ravviva pulsioni e pregiudizi antichi, combinandosi con le frustrazioni e le attese del presente. “L’avversario deve essere non solo sterminato, ma anche umiliato pubblicamente ed esibito come trofeo di guerra[...] La vendetta, simbolica e materiale, è un aspetto della festa popolare che accompagna la conclusione della Seconda guerra mondiale” (p. 79). Affinità con le descrizioni di Michel Vovelle della violenza spontanea dei primi tempi della rivoluzione francese, una logica del trono vuoto che riappare nei primi mesi della guerra civile spagnola. “Le atrocità della Seconda guerra mondiale, in particolare quelle dell’esercito tedesco sul fronte orientale, sono largamente documentate da migliaia di fotografie scattate dai soldati della Wehrmacht. Queste immagini spesso insostenibili, che mostrano la violenza e la morte nella loro dimensione più cruda e terribile, non sono facili da interpretare, al di là del loro carattere di documenti, ossia di prove, “istanti di verità” colti dalla macchina fotografica. In alcuni casi esse fanno parte delle azioni omicide e sono la testimonianza di uno sguardo complice che accompagna il piacere di uccidere. Le didascalie che alcuni soldati hanno apposto sul retro delle foto o ai margini delle pagine dei loro album , come una sorta di commento, indicano questo aspetto del documento visivo: il trofeo di guerra”(p. 82)

Il tema della violenza fredda ci conduce invece alle analisi della società capitalistica e di massa che è lo sfondo delle guerre totali del Novecento. “La violenza nata dal regresso della civiltà si unisce, attraverso una singolare dialettica, con la violenza moderna e tecnologica della società industriale. Quest’ultima presuppone, sia sul piano sociale sia su quello antropologico, le conquiste del processo di civilizzazione: il monopolio statale delle armi, la razionalità amministrativa e produttiva, l’autocontrollo delle pulsioni, la limitazione delle responsabilità degli attori sociali sul piano etico, la separazione spaziale tra carnefici e vittime. [...] Una delle sue premesse, si potrebbe dire con Zygmunt Bauman, era la “produzione sociale dell’indifferenza morale” tipica delle società moderne” . (p. 83) Violenza calda e violenza fredda coabitavano nella stessa guerra. (Carlo Ginzburg e la lettera sui ciechi di Diderot)

“La guerra civile europea ha trasformato il senso e l’uso della nozione di dittatura” (p. 84) Nel senso tradizionale la dittatura implica lo stato di eccezione. Le dittature fascista e nazista prolungano lo stato di eccezione. Di questo nuovo senso fa parte il “potere carismatico” indagato da Max Weber, un potere, fra l’altro, incarnato in “un corpo identificato con un insieme di gesti e con una voce, l’oggetto mistico attorno al quale la massa può raccogliersi ed entrare in comunione. E’ il corpo del Fuhrer rappresentato da Leni Riefenstahl nel suo film sul congresso nazista a Norimberga, Il trionfo della volontà[...]Inevitabilmente, la fine di questo potere carismatico implica la distruzione del suo corpo: calpestato, umiliato e appeso per i piedi quello di Mussolini nell’aprile 1945” (p. 87) Guerra contro i civili Il primo termine che troviamo è annientare. Già la prima guerra mondiale aveva fatto emergere questo aspetto. Ma “la vera svolta è l’aggressione tedesca contro l’Unione Sovietica nel giugno 1941. A partire da quel momento il conflitto cambia natura e, sul fronte orientale, inizia a profilarsi come guerra civile, vale a dire come una guerra nella quale la sola regola ammessa è quella del terrore, dell’odio e della violenza senza limiti nel tentativo di annientare il nemico” (p. 93). Lo dimostrano le terribile cifre comparate dei caduti sui vari fronti (p. 94) che dimostrano come sul fronte orientale, si condensano tutte le dimensioni della guerra: “ideologica(la lotta contro il bolscevismo), coloniale (la conquista dello “spazio vitale”)e razziale (la sottomissione degli slavi, lo sterminio degli ebrei e degli zingari)” (p. 95)

Secondo Bartov la propaganda nazista di questa guerra contribuisce a creare una nuove concezione dell’eroismo, di tipo nichilistico. Mentre il ripudio delle norme tradizionali della guerra iscritto nella guerra nazista fa si che tutti gli altri attori del conflitto subiscano “gli effetti di questo mutamento, modificando i propri metodi e le proprie disposizioni mentali. La guerra aerea britanni [...] vuole deliberatamente distruggere le città tedesche e terrorizzare i civili. La brutalità del conflitto imbarbarisce il linguaggio dei suoi principali responsabili” (p. 97) Bombardare è infatti la parola successiva ad annientare: “La guerra aerea si svolge come una catena di azioni e ritorsioni che sfocia in un’ondata distruttrice cieca [...] che non mira più al corpo del nemico ma alla “distruzione delle sue condizioni ecologiche di esistenza” (Hiroshima e Nagasaki) (p. 99). Anche qui la prima guerra aveva fatto da apripista, ma i bombardamenti erano circoscritti ai territori vicini alle linee del fronte. La Società delle Nazioni, riunita all’Aja nel 1922-23, proibisce di bombardare le città. Cultural bombing (Lubecca) e Baedeker Raids.

Il termine Sradicare ci riporta al significato di guerra totale (Erich Ludendorff) come guerra che invade il campo della vita civile, con i militi del lavoro e gli intellettuali in uniforme. La guerra contro i civili “ è una guerra vera e propria, i cui obiettivi non differiscono da quelli del conflitto condotto sui campi di battaglia” (Stéphane Audoin-Rouzeau e Annette Becker). Pensiamo al genocidio degli Armeni, accusati di essere alleati del nemico russo in quanto cristiani. Ai febomeni di deportazione e di pulizia etnica nei Balcani dopo la prima guerra si riferisce Hannah Arendt quando parla della comparsa di una nuova categoria di persone: gli apolidi. Un fenomeno che è all’origine del genocidio degli ebrei. “Se i trattati di pace del 1919-1923 hanno rimodellato la carta politica dell’Europa, nel 1945 le potenze vincitrici ridisegnano in modo più drastico i confini degli stati, cercando di rendere omogenei sul piano etnico vasti territori[...] A Potsdam i vincitori hanno cercato di far coincidere le frontiere nazionali e quelle politiche grazie ai trasferimenti coatti di popolazione[...] Questa vasta campagna di pulizia etnica produce, fra il 1945 e il 1948, l’espulsione di 15 milioni di tedeschi”.

Arriviamo così al capitolo sulla Giustizia dei vincitori dove incontriamo per primo il termine “Debellatio”, termine usato da Hans Kelsen nel 1945 per descrivere lo stato della Germania dopo la guerra, anzi il fatto che abbia “cessato di esistere come stato dal punto di vista diritto internazionale”. La giustizia politica che si manifesta a Norimberga è quella di punire il nemico attraverso un processo esemplare. “Prodotto di un lungo negoziato londinese, nell’estate del 1945, tra i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici, la corte di Norimberga, di fronte alla quale compaiono una ventina di alti responsabili del regime nazista, dell’esercito e dell’economia tedeschi, formalizza tre capi d’accusa principali:[...] crimini contro la pace[...] crimini di guerra [...]crimini contro l’umanità[...]Le nozioni di “crimini contro la pace” e di “crimini contro l’umanità” non esistevano prima della guerra e gli avvocati della difesa protestano vigorosamente” (p. 114)

lo statuto del tribunale internazionale, nel quale è inclusa la nozione di crimini contro l’umanità era stato pubblicato l’8 agosto 1945, in perfetta sincronia con il bombardamento atomico delle città giapponesi di hiroshima e nagasaki. L’esule tedesco di origini ebraiche gunther anders scriverà che la condanna dei crimini nazisti pronunciata dalla corte di norimberga aveva “avuto luogo, fin dall’inizio, nell’ambito di altri crimini contro l’umanità”.

L’Epurazione assume un carattere multiforme, in relazione ai vari paesi, più “selvaggia” laddove più feroce è stata l’occupazione. Nel marzo del 1945 Albert Camus presenta come “l’ultima e la più durevole vittoria dell’hitlerismo [...] queste tracce indecenti lasciate nel cuore di chi lo ha combattuto con tutte le sue forze”. “La Norvegia, l’Olanda e la Danimarca, che avevano abolito la pena capitale nell’Ottocento, decidono di reintrodurla” (p. 123) “In Italia, il contrasto fra l’ampiezza dell’epurazione spontanea messa in atto alla Liberazione e la quasi assenza di epurazione legale da parte delle istituzioni giudiziarie è notevole” (amnistia del 1946) Amnistia prima tappa di un processo di restaurazione (Nicole Loraux: “La memoria delle sventure è la memoria dell’odio”)

Nella seconda parte del libro si parla delle culture di guerra. E’ la cultura della morte, della paura e della follia. E’ la crisi della modernità. Il discorso è imponente e complesso, e per il momento mi limito a fare alcuni nomi, le cui opere sono analizzate da Traverso in un unico grande dibattito che sembra proprio scaturire dalle pagine precedenti, e cioé da quei lunghi e atroci anni di guerra: (H.G.Wells,Thomas Mann, Junger, Bloch, Celine,Erich Maria Remarque, Heidegger, Munch...) Qui le parole chiave sono: prefigurazioni, febbre nazionalista, campo dell’onore e mattatoio, paura trauma e isteria, Behemoth, Gioventù virile, Allegorie di genere, le muse combattenti, legalità e legittimità, dilemmi etici, illuminismo e antifascismo, Stalinismo, Olocausto.


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