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Massimo Ranieri al Teatro Antico di Taormina

Canzoni, cabaret e letteratura in due ore e mezza di spettacolo.

di Piero Buscemi - lunedì 28 agosto 2017 - 11392 letture

Artista si nasce. Difficilmente lo si diventa. Sembrerebbe così scontato poterlo affermare, ma sono gli oltre cinquanta anni di carriera di Massimo Ranieri a togliere oltre ogni inimmaginabile indugio per confermare questa sorta di regola.

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Noi di Girodivite lo avevamo lasciato un decennio fa al Teatro Vasquez di Siracusa. In quell’occasione lo avevamo visto cantare, ballare, saltare. Era uajone, poco più che cinquantenne e vederlo nelle sue piroette e salti da clown, rientrava tra le aspettative di un artista che, nel tempo, si è sempre mantenuto in forma.

Lo abbiamo ritrovato sul palcoscenico del Teatro Antico di Taormina, ieri sera, dieci anni in più che non abbiamo notato. Passi di danza improvvisati, gestualità, mimica, sorriso da scugnizzo mai cresciuto ed una voce limpida e coinvolgente. Insomma, sogno o son desto, in arte Massimo Ranieri.

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Due ore e mezza di spettacolo, una breve pausa di un quarto d’ora, meritata e necessaria. Sessantasei anni lo richiedono, come lo stesso Massimo ha tenuto ad anticipare al pubblico presente, proprio all’inizio della serata. Coreografie d’effetto, tra canzoni recitate col corpo, che si piega, quasi in religioso rispetto verso quel pubblico che, dopo decenni di carriera, è ancora lì ad acclamarlo.

Salti ritmici di musicalità che si manifesta da quell’esile corpo d’artista, pronto ancora una volta, a dare tutto se stesso. Vederlo in tv nelle sue performance fa già effetto, ma qui è diverso. Poche pause, che si è concesso tra barzellette da cabaret per riprendere fiato, ed un’altra magistrale interpretazione tratta da un repertorio che, non ci saremmo aspettati, ha fatto cantare anche le generazione dei trentenni.

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Perché, come abbiamo già anticipato, artista si nasce. Specialmente quando, dopo decenni di camerini, teatri di prosa, ciak cinematografici e canzoni di successo, si ha l’umiltà di avere voglia di imparare ancora e di accettare nuove sfide artistiche. Spaziando con coraggio tra gli omaggi a Pino Daniele, alle macchiette di Nino Taranto, un cenno al repertorio storico partenopeo, un’affascinante interpretazione di una canzone di Charles Aznavour e quelle tonalità jazz che hanno dimostrato, per chi avesse ancora dei dubbi, come la versatilità e l’estensione canora di Massimo Ranieri, gli concedano il privilegio di manifestare la sua arte come meglio gli aggrada.

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Ma Massimo è andato oltre. Oltre alle sue capacità naturali di intonare versi e note musicali. Tra una giacca estrosa, qualche movimento a marionetta, dedicato a Totò, un effetto scenico che lo ha visto disteso sul pianoforte, ad unire anima e corpo in questo suo eterno bisogno di cantare, Massimo Ranieri si è assunto il ruolo di divulgatore di cultura. La sua anima di attore ha trovato l’apice sul leggio scenografico e sulle parole di Seneca, ma anche di altri grandi della letteratura italiana ed internazionale, sapientemente scelti per descriverci una società, già criticata allora, tra l’arroganza del potere, disposto a comprare tutto, ed un popolo assecondante, disposto a vendersi.

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Ed è così che lo chansonnier, il saltimbanco, il comico e forse, anche il giullare di corte, tra un Rose Rosse e un Perdere l’amore, ci ha regalato l’occasione per andare a rispolverare i nostri studi adolescenziali, magari attraverso lo stesso smartphone, sempre pronto all’ultimo selfie da postare su internet in tempo reale.


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