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...che Dio perdona a tutti

Un libro di Pierfrancesco Di Liberto, in arte PIF

di Piero Buscemi - mercoledì 27 marzo 2024 - 584 letture

In Sicilia quando si vuole sostenere un concetto durante un dialogo con altre persone, per rafforzare quanto si sta dicendo, si usa un’espressione come una sorta di ossimoro: "Tù sta dicennu un fissa". Letteralmente sta per "te lo sta dicendo un cretino".

In pratica, con la premessa di modestia, si valorizza la propria opinione e, in molti casi, la reazione dell’interlocutore è un convinto consenso, quasi a non voler per rispetto pesare la mano sull’idea di essere lì a parlare con un "fesso".

Ci sono altri modi per raggiungere lo stesso risultato. Uno fra tutti, quello di attribuire a un personaggio famoso una frase d’effetto, corredata sempre con "Come diceva..." e si pronuncia il primo nome noto che viene in mente, meglio ancora se rientra tra quelli apprezzati dal nostro dialogatore.

PIF usa entrambe le tattiche, da sempre. Sono un suo personalissimo cavallo di battaglia ogni qualvolta decide di comunicare con il pubblico che lo segue da anni. Sia che utilizzi un film, un libro o delle brevi testimonianze televisive.

Col tempo ha affinato la tecnica. La parte del "fesso" se la riconosce col copione e, di volta in volta, quando un suo personaggio deve esclamare qualcosa di veramente importante, ecco che la sua ottima cultura nel mondo della comunicazione lo aiuta a citare il personaggio e la frase più idonea nella circostanza.

Nel suo "...che Dio perdona a tutti" (Feltrinelli, 2018) riprendendo un famosissimo modo di dire siciliano, la conclusione è preceduta da "Futti, futti..." che non ha bisogno di traduzione, ha affrontato il delicato mondo della religione, in modo particolare quella cattolica che, come più volte dimostrato nella narrazione, è una delle imprese più ardue che l’italiano medio e, quindi, anche il siciliano, deve affrontare condizionato, oltretutto, dal fatto di vivere nel paese ospitante il quartier generale di una delle più seguite "adescatrici" di culto del mondo.

L’arguta capacità narrativa di Pif, in questo libro, sta proprio nel fatto di far precedere il fulcro della trama da una descrizione del personaggio con continuamente fa un’autocritica sulle proprie debolezze e contraddizioni. È un po’ mettere le mani avanti, in attesa di affinare il colpo decisivo per scatenare una collettiva autocritica e una efficace perdita di sicurezze che, in teoria, ma solo in teoria, l’essere credenti dovrebbe sfatare in ogni momento della propria vita.

Ma è proprio quella parolina contraddittoria, quel "credente" che mette l’essere umano davanti alla propria pochezza e indifesa posizione davanti a qualsiasi ipotetica forza superiore. Perché, come l’autore sottolinea più volte nel romanzo, quando l’infatuazione per una bellissima ragazza - anche questa di nome Flora - che gestisce una pasticceria, la sua vera "chiesa" alla quale il personaggio sembra davvero aver votato la propria esistenza, con tutti i peccati di gola, e non solo, che la golosità comporta. Questo suo innamoramento lo porterà, appunto, a doversi occupare di religione, di cattolicesimo e di dogmi esistenziali che, fino a quel momento, erano surclassati dai dolci, dai tornei di calcetto e da un improvvisato lavoro da agente immobiliare.

Per assecondare il misticismo della ragazza e della sua famiglia, Arturo (il personaggio), rubando una copia del libro di catechismo a un bambino, affronterà l’argomento con tale convinzione, pensando che l’unico modo per dimostrare all’amata e al suo seguito, la sua fede, sia quello di applicare alla lettera le regole che in quel libro diventano vitali e indiscutibili.

Da questa considerazione iniziano tutta una serie di problemi di comunicazione, di incomprensioni, di opportuniste interpretazioni. scrupoli di coscienza e tutto quanto si accende quando dobbiamo fare i conti tra ciò che, in qualche modo, ci fa pensare di operare con la coscienza pulita, e la realtà che ci pone di fronte continui interrogativi e prove che finiamo per non sapere come affrontare. Neanche un mistico, addirittura fanatico, credo può sciogliere quei dubbi esistenziali che, prima o poi, si presentano nel nostro quotidiano.

Abbiamo voluto riprendere questa prima opera letteraria di Pif proprio in questo periodo di scrupoli dei quali un’intera umanità non riesce più ad accostare a una coscienza. Gli esempi si perderebbero nel remoto tentativo di semplificare tutto in metafore di coerenza che rischiano sempre di più per farci crollare pesantemente su noi stessi e sulle nostre boriose verità assolute.

Uccidere, rubare, bramare, sono solo degli esempi di come l’essere umano sia soggetto a contraddirsi. Uccidere, se seguito alla lettera, non ha margini di eccezione. La guerra, la pena di morte e tutte le forme "democratiche" di annientamento della vita non possono essere benedette da un prete pronto ad estorcere un pentimento.

Sottrarre illegalmente la proprietà altrui, non trova alcuna giustificazione valida che possa attenuare la gravità del reato. Desiderare con ardore un potere che può manifestarsi in diversi modi, ma sicuramente prevaricando la libertà e il diritto di chi soccombe alla nostra bramosia, non si può considerare un comportamento degno di un "buon cristiano", come ironicamente sottolinea l’autore nel suo libro.

Perché, in mezzo a tutta questa ipocrisia mistica e una eccessiva contradizione comportamentale, se quelle regole che stanno alla base di una religione così seguita, sono così facilmente interpretabili, il personaggio Arturo e chiunque affronti la lettura di questo libro, può arrogare il diritto di pensare che la mente e la mano che le hanno incise, forse non hanno nulla di divino.

La coscienza di ognuno di noi può formulare qualsiasi considerazione in merito, ma pensare, come il titolo suggerisce, che si possa avere la libertà di fare quello che vogliamo (futti, futti... per intenderci), senza alcun rispetto degli altri e delle più elementari regole di una società civile, tanto alla fine un pentimento dell’ultimo minuto garantirà il perdono per tutti, oltre a essere pretenzioso, appare destinato a cozzare con una più cruda realtà.

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