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Un filo di memoria per (ri)cucire

"Guardo questo paese mandato in frantumi con le armi del razionale egoismo e mi aggrappo a quel filo della memoria, a quel filo di sangue redentore che poteva unire un comunista, resistente, siciliano, ad un sacerdote della pianura padana..."

di T.M. - domenica 19 marzo 2006 - 3704 letture

Saremo ben consapevoli della nostra “memoria corta” se abbiamo punteggiato il calendario di giornate “dedicate a...” Per gli eventi aspettiamo gli anni che finiscono con lo zero (ma va bene anche il mediano 5), e il giorno di nascita o della morte, in aggiunta, fa scattare la celebrazione di vivi e di morti . “Liturgia laica”, fisiologica esigenza di scadenzare il fluire dei giorni e dei ricordi. Talvolta, però, ad evocare un ricordo è il bisogno di trovare, nel marasma degli eventi, un’immagine non salvifica ma potente, da issare come monito, come specchio in cui vederci riflessi su uno sfondo d’esempio. È strumentalizzazione, questa, del volto evocato in aiuto di noi? Forse. Cautela e rispetto s’impongono.

Il giorno di Pasqua del 2005, davanti al magnifico monastero di Viboldone (S. Giuliano Milanese), un piccolo gruppo di “fedeli” (e quanti significati può assumere questa parola...) attorniava don Luisito Bianchi, quasi ottantenne cappellano delle sorelle benedettine che animano quello storico “luogo di resistenza”. Qualcuno commentava il successo de La messa dell’uomo disarmato. Un romanzo sulla Resistenza il quale, dopo essere passato per anni di mano in mano in una edizione «pro manuscripto, offerto agli amici», è stato pubblicato da Sironi Editore nell’autunno del 2004. Don Luisito parlava tanto malvolentieri del successo del libro, quanto volentieri parla di Resistenza. Ovvero, sa di dover parlare di Resistenza, della redenzione degli ultimi, del «sangue gratuitamente versato dei nostri martiri» che si unisce in un ideale calice al sangue redentore di Cristo...

Quel giorno di Pasqua, per qualcuno dei presenti, ha portato in dono un’immagine evocata da don Luisito. Quasi quarant’anni non hanno scalfito la carica emotiva e ideale del suo ricordo. Raccontava: Mario Alicata tenne il suo discorso alla Camera, durante la discussione sul rapporto della commissione chiamata a riferire sulle cause del disastro di Agrigento del luglio 1966. Disse: «È necessario che avvengano scandali», attribuendo la citazione al Vecchio Testamento. Fu fatto subito oggetto di scherno, sui banchi del Parlamento, da parte degli «avvertiti in citazioni bibliche»: la frase è di Gesù! Lo scandalo era diventato l’errore del comunista Alicata, togliendo l’attenzione da quello scandalo che erano i fatti di Agrigento e il quale, per Alicata, doveva servire - “biblicamente” - ad un cambiamento, ad una rinascita. Alicata rispose soltanto che sì, aveva sbagliato ma era tanto stanco... Il giorno dopo morì.

Era il 6 dicembre 1966 e non è il calendario a sorreggermi nell’evocare gli eventi, né per Alicata, né per la Pasqua “di” don Luisito Bianchi.

A quel tempo, a Roma, nasceva il gruppo Ora Sesta, respirando l’aria del Concilio Vaticano II che profumava di buono. Tra i dischi 45 giri di Ora Sesta - che oggi potremmo definire “instant disc” (per non dire di “combat folk”) ce n’è uno che porta su un lato la canzone intitolata Il discorso. Autore del testo e della musica un Fra Galdino di manzoniana denominazione. Mai nessuno scrisse chi era dietro lo pseudonimo, mai nessuno ne aveva dubitato. La canzone inizia così: «Agrigento inghiotte case / e coscienze a prezzo fisso; / me lo dicono i giornali / e la Camera e il Senato; / ha inghiottito pure un uomo / un compagno comunista: / questa volta me lo dice / la coscienza di cristiano

Quanto al finale, è facile incorrere in una facilissima strumentalizzazione: «C’è qualcuno che mi accusa / d’esser io un comunista / se ricordo quella morte / come esempio ammonitore? / Non mi tocca questa accusa / ma mi basta la certezza / che il legame che ci unisce / è più forte della morte

La razionalità mi spinge a pensare che in questo momento di certezze nere e di potenzialità variopinte occorrerebbe sottolineare concreti obiettivi posti nel futuro, capaci di rafforzare in me - come in altri - una motivata, razionale scelta politica. Poi guardo questo paese mandato in frantumi con le armi del razionale egoismo e mi aggrappo a quel filo della memoria, a quel filo di sangue redentore che poteva unire un comunista, resistente, siciliano, ad un sacerdote della pianura padana, nel 1966 come nel 2005, attraverso la liturgica commemorazione di quanto fatto - di grazia, gratuitamente - propter afflictionem umilium et gemitum pauperum. No, non la “carità”. Certezza di diritti di uomini liberi, mai strumentalizzati (sfruttati).


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Un filo per (ri)cucire i maroni che ci hai strappato
27 marzo 2006

che cazzate
    Un filo per (ri)cucire i maroni che ci hai strappato
    28 marzo 2006, di : S.

    Davvero ritieni siano cazzate parlare di persone, esseri umani, che hanno sofferto, lottato, che hanno tentato di rendere migliore questo nostro mondo così buio? scusa la retorica, ma davvero ti piace il mondo così com’è?