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Un canto mediterraneo, al Teatro Antico di Taormina

Peppe Servillo, accompagnato da Mario Incudine, Anita Vitale e Faisal Taher, tra tradizione, canti popolari e unione tra i popoli del Mediterraneo.

di Piero Buscemi - martedì 8 agosto 2017 - 11983 letture

Certi spettacoli meriterebbero spazi mediatici e un pubblico delle grandi occasioni. La realtà è ben diversa da quella che ci si potrebbe attendere se, leggendo la lista degli artisti, si comprendesse la magnificenza e l’atmosfera che uno spettacolo così emozionante garantisce, in una cornice che mescola l’antica pietra e gli effetti di luce a colorare la scena dell’Antico Teatro di Taormina.

Perché ieri sera il pubblico presente nella cavea del teatro, con eccessivo ottimismo, sfiorava le mille unità. Sul palco le voci e la passione spontanea, quella degli artisti veri per intenderci, di Mario Incudine, Anita Vitale, il cantante palestinese ed ex voce solista dei Kunsertu, Faisal Taher, Stefania Patanè, Antonio Putzu e Giorgio Rizzo, diretti da Antonio Vasta. Ma anche il coro delle voci bianche "I piccoli cantori" di Salvina Miano, i Visillanti di Barcellona Pozzo di Gotto, le zampogne e il gruppo di organetti di Pippo Benevento e Antonio Merulla.

E poi le musiche, dal ritmo tribale alla più orecchiabile tarantella, i canti a cappella, dove i vocalist hanno reinterpretato le tradizioni canore contadine che ci hanno ricordato gli spiritual dei neri d’America. Sonorità coinvolgenti, testi dialettali quasi arcaici, poesia in musica, tra nenie, canti popolari e quanto di meglio il bacino mediterraneo ha da sempre offerto alla platea internazionale.

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Un canto mediterraneo

Peppe Servillo, che ha cantato in siciliano due pietre miliari della produzione artistica di Domenico Modugno, U Piscispada, ma suggestivo ed entusiasmante il duetto con Mario Incudine che ci ha donato una singolare interpretazione di Amara Terra Mia. Anita Vitale, la più bella voce jazz femminile siciliana, elegante, raffinata, emozionante con il suo pianoforte a coda e quelle ottave a lanciare in cielo il grido di una terra, calpestata, violentata ma rinata, dopo ogni sanguinosa caduta, grazie anche alla sua musica.

Mario Incudine, voce tonante del repertorio siciliano, folletto indomabile, salti sul palco a ritmo sfrenato. Si è concesso pure un fuori programma, scendendo tra il pubblico e volteggiando a tempo di musica, con una bella turista, dolcemente prelevata dalla sua attonita ammirazione. La calda tonalità di Faisal Taher, terra strappata da un’antica cultura, tra fratelli divisi da guerre ed interessi politici.

Il canto, quello mediterraneo, collante di genie e storie del passato che contaminano un presente, forse da ridisegnare. La musica può tanto, ma l’unione tra i popoli non può poggiare solo sull’arte. I miracoli, se mai abbiano potuto mai farlo, sono la giustificazione alla rassegnazione. Prendere coscienza, ripescando dalla storia, il percorso evolutivo di un’etnia che da millenni si affaccia su questo Mediterraneo seviziato da egoismi ed oligarchie economiche, cancellando civiltà millenarie e creando nuove schiavitù culturali.

Se, come ha sottolineato Mario Incudine, i migranti africani raggiungono quel bizzarro eldorado che è la terra di Sicilia, metafora ed emulo di una America gridata al vento da una nave di speranze, calpestata e sudata dai nostri connazionali dei decenni passati, comprendere che un unico destino di necessaria convivenza lega l’intera umanità, anche al di fuori dei confini mediterranei, dovrebbe far parte del nostro bagaglio storico, se non culturale.

Come abbiamo detto, la realtà è sempre diversa da quella che ci aspettiamo. Le poche presenze tra gli spalti del Teatro Antico ci ha lasciato perplessità e sconforto su qualsiasi congettura si possa fare per il futuro. Se il mondo è tondo, come sinonimo di cicli storici che si ripetono invertendo i ruoli tra dominatori e vinti, la musica può aiutarci a trovare l’unico filo conduttore di unità internazionale, che sembra essersi smarrito.

Un’eclissi parziale di Luna che ha preceduto l’inizio dello spettacolo, ha lasciato ampi spazi di interpretazione su come legare il nostro piccolo ruolo di abitanti di questo pianeta, ad un concetto cosmopolita ed infinito che illumina i cieli siciliani, specialmente in questo periodo dell’anno.

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