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Poesia è politica

(1) “Parliamo di politica, ora, per far contento Guy!”
(2) “Quanto alla poesia, la detesto!”

di Alessandra Calanchi - mercoledì 28 febbraio 2024 - 440 letture

(1) “Parliamo di politica, ora, per far contento Guy!”
(2) “Quanto alla poesia, la detesto!”

Sono due frasi di Fahrenheit 451 . Dopo l’invito formulato dalla moglie di Guy (1), le amiche parlano di quanto è bello il candidato alla presidenza: a questo si è ridotta la politica nella società descritta da Ray Bradbury nel 1951. E poi Guy, provocato da (2), propone la lettura di una poesia – un atto illegale, punibile con la morte. L’effetto che sortisce è l’emozione, la commozione, il pianto di una. E la rabbia dell’altra: (3) “Lo sapevo che sarebbe accaduta una cosa del genere! L’ho sempre detto, io, poesie e lacrime, poesia e suicidio, pianti, disperazione, poesia e disgusto; tutte quelle sdolcinature!”

La frase (3) conclude il pomeriggio e l’apertura repentina (e subito richiusa) verso due attività umane imprescindibili. La politica e la poesia.

A chiarimento, la politica indica le azioni riferibili alla “polis” (città, comunità, nazione, ambiente di vita e lavoro) e la poesia indica “il fare, il produrre”. Entrambe hanno origine nel greco antico.

Questa premessa serve a introdurre una nuova rubrica dal titolo “Poesia è politica” allo scopo di riattivare il senso critico dei lettori e delle lettrici che dovessero avere la tentazione di indulgere all’idea che siano A, due parole opposte fra loro; B, due concetti pericolosi; C, due cose che non ci interessano.

La seconda citazione è tratta da una bellissima poesia di Grace Paley (1984) che dice:

“È responsabilità della società lasciare che il poeta sia poeta. // È responsabilità di chi è poeta essere donna”.

Da cui capiamo due cose: che il/la poeta ha delle responsabilità; che il/la poeta deve o dovrebbe allontanarsi dalle dinamiche del potere tradizionalmente intese – patriarcali, maschiliste, guerrafondaie, ecc. Ovviamente è un paradosso. Ma la poesia vive anche di questo. Il suo linguaggio è simbolico, metaforico, ossimorico, sinestetico, provocatorio. Teniamolo sempre presente.

E voglio citare infine un libro di Pietro Federico, Consequentia Rerum. Laboratorio di poesia contro la crisi sensoriale del nostro tempo (Rubbettino 2023) dove troviamo una dichiarazione altrettanto formidabile: è il poeta la persona su cui ricade, più che su tutti gli altri, la “responsabilità dell’educazione”.

Ohibò, il poeta di nuovo è collegato alla responsabilità. Non solo: all’educazione. Il poeta dunque come educatore e formatore, maestro di parole e di silenzi, di sensorialità e di contemplazione. L’autore ci invita a re-imparare il linguaggio, includendo la percezione percettivo/emotiva come fonte di conoscenza partecipativa, capacità di ascoltare, di accogliere, di fare silenzio.

Nelle prossime puntate, leggeremo insieme alcune poesie e raccolte di poesie per verificare quanto sopra scritto.


In icona: disegno di Giuditta Chiaraluce.



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