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Nòstos, di Angelo Maugeri. Il fiume a cui si torna

A piccoli passi l’autore ci conduce con levità e pudore... Nòstos, di Angelo Maugeri. Il fiume a cui si torna.

di Maria Gabriella Canfarelli - mercoledì 6 aprile 2005 - 5154 letture

Angelo Maugeri, siciliano di Motta Camastra, residente a Campione d’Italia dove insegna Letteratura italiana, ha pubblicato opere di poesia tra cui Mappa migratoria(1974), Verbale di s/comparsa (1976) per Geiger, Torino; I sensi meravigliosi (“Quaderni della Fenice” n. 4, Guanda, Milano, 1979); Il fiume i falchi la distanza il vento (“Almanacco dello Specchio” n. 9, A. Mondadori, Milano, 1980); Passaggio dei giardini di ponente (Società di poesia / Lunarionuovo, Milano /Acireale, 1983); Kursaal (Guanda, Parma, 1989); Piccoli viaggi (Laghi di Plitvice, Lugano, 1990); La stanza e la partita (Nuova Editrice Magenta, Varese, 2000). E’ presidente dell’Associazione degli Scrittori della Svizzera Italiana e membro della Società Svizzera Scrittori e Scrittrici. Saggista e critico letterario, è anche narratore: nel 1993 ha infatti pubblicato Figura femminile ( I libri degli Amici, Ispra, 1993); nel 1996 Ramo materno e, lo stesso anno, Recita di Natale (“Il gatto dell’ulivo“, Edizioni Ulivo, Balerna).

Con la plaquette Nòstos, uscita in Cd-rom in edizione privata a Minusio (Canton Ticino) nel 2004, ora pubblicata per i tipi de Alla chiara fonte (Viganello, Svizzera) lo scrittore riassume due suites poetiche scritte in anni diversi, Al Qantarah del 1976, e Nòstos, appunto, del 2003, quale necessaria continuità di un discorso momentaneamente interrotto. Musicale dettato che in tempi diversi, “tuttavia attraversati dalle medesime emozioni di mente e di cuore”, scrive l’autore in nota, riassume l’unicità del sentimento e dell’emozione del ritorno, che ricordo e lontananza alimentano con immagini di cristallina purezza, “stagioni dell’acqua”, cantico d’una terra di confine segnata dal fiume Alcàntara.

A piccoli passi l’autore ci conduce con levità e pudore “nel gioco stupefatto di silenzio e / parole dove tutto è possibile”, demandando alla poesia il compito del dire. “Quante labili / figure si affollano / sulla parete del tempo” mentre tutto diviene e scorre, si fa ritmo e canto e pure peso “che si porta / con lo stupore dei bagagli tra arrivi e partenze”, un oscillante moto a luogo ché “Instabile è il traguardo della mente / il filo del confine trasposto nei rapidi / strappi del cuore”.

Tornare a quanto lasciato nell’immobilità del ricordo e non sembra scalfito dall’erosione del tempo: a qualcosa, a qualcuno restituito, ritrovato nella perfetta e inanimata integrità, prima che si sveli l’inganno della mente e del sangue: “Ma non trovare niente ecco che niente /accade nel ricordo e dentro / un tarlo millenario rode e sfibra l’impiantito/ del vecchio castello (...)”; riavvolgere il filo e scoprirne le smagliature, l’indizio del dolore, il suo inizio; il mondo cui ancora sentivamo di appartenere, scrutato nello specchio interiore, l’acqua del fiume - il suo farsi mare e nuvola e pioggia - che non è più la stessa acqua, da che “Il cammino dell’anno riporta / parole sommesse / (...) ti parlano del fiume delle rocce dei boschi / ti parlano del vuoto se tornano vuoti / i profili dei nomi”. Ed è nostalgia, dolore del ritorno, “forse dolore di terra / che le sue forme lascia come una cosa / perduta nella fuga / dalla casa che più non ti aspetta”.

Per questa terra interiore, “(....) dalle vaste / lontananze dischiuse dalle tende / del vento che ancora suscita polvere e paura / toccando il dormiveglia”, l’anima mette le ali, sorvola il tempo e se ne distacca, infine, per restituirci il canto autentico di una arcadia cui si può ancora guardare con stupore, nonostante tutto.


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