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Una particella di negazione per resistere

Maria Attanasio. Il condominio di Via della Notte (Sellerio, 2013).

di Maria Gabriella Canfarelli - lunedì 19 agosto 2013 - 5093 letture

Potente, con un impianto narrativo che ha tutte le modalità del genere thriller, cupo e angosciante per la possibilità (non tanto remota, ne avvertiamo i sintomi) che quanto la penna abile e il pensiero vigile di Maria Attanasio scrivono ne Il condominio di via della Notte (Sellerio, 2013) diventi tragica realtà. Un romanzo che si discosta dalle trame di scrittura sin qui praticate dall’autrice: il recupero dalla smemoratezza, dall’oblio, delle vite dei semplici, vite archiviate e sottratte dal silenzio di un passato remoto, il Settecento); ora è il futuro il tempo di cui si paventano orrori, futuro che è storia presente, vita di una donna in un contesto sociale e in un’area geografica del mondo, non a caso chiamata Nordìa, dai confini facilmente intuibili.

Tema inquietante e avvincente dal momento che il romanzo ruota intorno al processo di disumanizzazione di una società manipolata dal Potere in cui ognuno appartiene a tutti, in cui chi si ribella, chi è diverso, emarginato e straniero, non disposto a farsi cannibalizzare è sottoposto a persecuzioni e condizionamenti mentali o sparisce del tutto.

Potere degenerato e sordido, lastricato (come le strade dell’inferno) da buone intenzioni, Potere come coercizione, fascio di menzogne spacciate per verità, tutto in nome e per conto della sicurezza a fronte di un non ben noto pericolo, di cui si agita ad arte lo spettro, che giustifichi la necessità della “vigilanza” e ne assolva in anticipo gli eccessi e i soprusi: vite esposte in vetrina, spiate, controllate, origliate, obbligate a esprimere parole, a nascondersi, a compiere gesti, a fare scelte, adottare comportamenti uniformi sia, che si tratti della ‘sicurezza nazionale’ che quella dei condòmini di via della Notte.

Il romanzo abbraccia e sviluppa il tema della distopia ai giorni nostri, avendo come riferimento il Grande Fratello (il dittatore-controllore, occhio di telecamera che entra nelle case) del romanzo utopico 1984, di George Orwell, e Il mondo nuovo di Aldous Huxley, in cui si anticipano argomenti quali lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione, l’eugenetica e il controllo mentale per forgiare un nuovo cinico modello di società libera da preoccupazioni, tecnologicamente avanzata, priva di povertà e guerra, in altre parole, felice. L’orrore tuttavia è che a questa condizione ideale viene sacrificato tutto ciò che distingue l’umano dal robot, dalle macchine: la famiglia, l’amore, la diversità culturale, l’arte, la religione, la letteratura, la filosofia e la scienza, in altre parole, la libertà di scegliere.

La distopia è dunque un’utopia negativa, realizzata da un potere che mette in atto la persecuzione, spesso la schiavizzazione, del diverso, dell’immigrato e del clandestino, dell’irregolare ovvero di chi non si piega alla dittatura del controllo, di chi rivendica le proprie scelte personali e private e non si piega ai dettami del Decalogo condominiale, come accade a Rita Massa, protagonista e testimone dei fatti.

A Nordìa gli abitanti sono suddivisi in Inluogo e Fuoriluogo, cioè clandestini, stranieri, intrusi o ultimi arrivati; Rita è l’ultima arrivata in un palazzo, in un attico ereditato alla morte del padre. Alle regole ferree del condominio, cui è a capo l’Accademico Attilio Craverio, facente parte degli apparati di potere della Nuova Epoca, delatore e persecutore di non-allineati, emarginati e, scopriremo, anche assassino impunito d’una giovane prostituta, anche l’ultima arrivata, che viene da fuori, dovrà attenersi a quanto prescritto: non potrà tenere animali, non dovrà produrre gli odori che si sprigionano (inevitabilmente) cucinando; non potrà fumare in casa propria e tantomeno sul terrazzo del proprio attico, e altre proibizioni assurde.

Comincia così un processo di deprivatizzazione che include una sorveglianza sistemica e accanita, indagini e dossier sulla vita intima di Rita, sulle sue relazioni affettive e sessuali, incursioni nel suo appartamento e perquisizioni quando è assente; ciò indurrà Rita a scrivere un romanzo di denuncia, La Fuoriluogo, appunto, da fare pubblicare altrove: perché altri sappiano ciò che accade a Nordìa. Nell’Anno Zero della Nuova Epoca (tutto il passato, la Storia sono stati riscritti in modo falsato) Rita avverte il bisogno ineludibile di scrivere la verità, per il presente e a futura memoria. Sarà scoperta e internata in un campo di smemorizzazione, mentre il Potere fabbricherà prove di un volontario allontanamento perché nessuno la cerchi.

Nel campo dell’oblìo, tra un potente getto e l’altro di amnesina, tra altri cittadini sottoposti a uguale trattamento, la mente di Rita conserverà una forza residuale di resistenza, un monosillabo ripetuto, un reiterato “no” cui dà voce giorno e notte. Quel “no” si insinua, come una nenia, un ritornello nella testa dei dormienti, piano, a poco a poco attecchisce. Qualcuno si sveglia.

Scriveva Sciascia ne Il Consiglio d’Egitto: “Devi pensare, se vuoi resistere”. Per questo splendido romanzo di Maria Attanasio (in cui l’impostura del “migliore dei mondi possibili” è chiaramente additata, stigmatizzata) si può senz’altro mutuare il monito sciasciano in: devi dire “no”, se vuoi esistere e resistere. E rifiutare, dire no, esercitare la disubbidienza contro ogni malsano e folle sogno di ”perfezione collettiva fondato sulla disciplina, la sicurezza e un consenso sociale estremo e intollerante” (dalla quarta di copertina).


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