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La poesia di Francesco Belluomini

La passione di Francesco per la letteratura era contagiosa. Cominciai a pensare a delle manifestazioni letterarie.

di Antonio Carollo - mercoledì 28 novembre 2018 - 4121 letture

Conobbi Francesco Belluomini tramite Serafino Beconi. Un giorno quest’ultimo capitò in Comune per sollecitare la definizione dell’accordo per una scultura, avendo vinto un apposito concorso tra artisti (si tratta del bassorilievo che oggi si può ammirare su una delle pareti esterne della Chiesa di Torre del Lago). Feci del mio meglio. Da lì nacque tra di noi una certa frequentazione e quindi una solida amicizia. Scopersi che Serafino, oltre che per la pittura, aveva un debole per la poesia. Infatti, in uno dei nostri incontri in una sua casina di campagna (la capanna) un giorno mi presentò il poeta Francesco Belluomini. Inutile dire che fui subito in sintonia con lui. Francesco era già stato finalista per l’opera prima al Premio Viareggio con “L’altro Io”, aveva pubblicato altri due libri di poesie, “Già dell’equivoco” e “Giorni miei: la storia già scritta” e aveva fondato e realizzato la prima edizione del Premio Camaiore. Tramite suo entrai così in un mondo nuovo per me, quello dei poeti, più o meno gravitanti intorno al Premio Camaiore. Per citarne alcuni: Umberto Piersanti, Gilberto Finzi, Giancarlo Majorino, Angelo Lumelli, Luigi Fontanella, Edoardo Sanguineti, Fabio Doplicher, Iolanda Insana, Biancamaria Frabotta.

La passione di Francesco per la letteratura era contagiosa. Cominciai a pensare a delle manifestazioni letterarie. Con la piena disponibilità dell’Amministrazione, specie degli assessori alla cultura alternatisi in quel tempo, Aldo Belli e Angelo Bonuccelli, misi in cantiere, nel settembre 1983 allo stabilimento Principe di Piemonte (il Principino), la prima iniziativa, “Letture in Versilia”. A Francesco affiancai sette poeti ben affermati, Antonio Porta, Giovanni Raboni, Giancarlo Majorino, Amelia Rosselli, Fabio Doplicher, Umberto Piersanti e Maurizio Cucchi.

La grande sala era discretamente occupata: un bel successo. Francesco se la cavò egregiamente. Le poesie declamate da lui ebbero un riscontro di pubblico notevole, come del resto quelle degli altri poeti. Poi queste poesie furono pubblicate in volume a cura della rivista Quaderni di Stilb, corredate dalla presentazione dei critici letterari Marco Forti, Silvio Giussani, Giorgio Caproni, Alfredo Luzi, Pier Vincenzo Mengaldo, Marcello Ciccuto e dagli stessi poeti Antonio Porta e Amelia Rosselli, con introduzione di Antonio Barbuto e postfazione di Rodolfo Di Biasio.

Altra iniziativa, in cui coinvolsi Francesco come coordinatore, fu “La parola tra spazio suono – situazione italiana 1984”, svoltasi al Palazzo Paolina dal 24 novembre al 16 dicembre 1984, una mostra a livello nazionale di ricerca avanzata sulla scrittura e la parola, comprendente poesia visiva, poesia visuale, poesia concreta, nuova scrittura, poesia testuale e materiale, poesia sonora e fonetica. I curatori furono Luciano Caruso, Lamberto Pignotti, Adriano Spatola, Arrigo Lora -Totino, Ubaldo Giacomucci. I poeti-artisti partecipanti quarantadue, tra cui ricordo, oltre ai cinque curatori, Luciana Arbizzana, Carlo Belloli, Sergio Cena, Carlo Marcello Conti, Vitaldo Conte, Gio Ferri, Giovanni Fontana, Massimo Gualtieri, Giorgio Guglielmino, Nino Majellaro, Stelio M. Martini, Eugenio Miccini, Enzo Minarelli, William Xerra, Roberto Venturi, Patrizia Vicinelli. Dalla mostra fu ricavato un catalogo di grande raffinatezza grafica.

Francesco intanto continuava a lavorare al Premio. Mi colpiva la caparbietà con cui lottava contro ogni difficoltà. I rapporti con gli Amministratori comunali non sempre erano facili. Il suo carattere, non tanto conciliante, certo non l’aiutava. Coadiuvato attivamente dalla moglie Rosanna, con determinazione e lucidità di idee, portò avanti la manifestazione. La crescente risonanza letteraria del Premio e il prestigio conquistato, costruiti con severo spirito di indipendenza, con estraneità e ripugnanza verso ogni forma di condiscendenza o compromesso editoriale, con l’alta levatura dei componenti la giuria e l’assoluto valore delle opere e degli autori premiati, fecero il resto.

L’attaccamento al Premio non era altro che lo specchio della sua totale dedizione alla scrittura. Dopo i vent’anni di navigazione e d’infiniti mestieri e l’approdo all’impiego statale sulla draga di Viareggio, la sua vita ebbe una sola direzione: la strada impervia e fascinosa della poesia. Un suo verso recita: “C’è da dannarci l’anima per una pagina scritta”. E l’anima lui ce la mise tutta nella ricerca di un linguaggio che traducesse con chiarezza ed essenzialità i suoi valori interiori, il disagio e il peso di una realtà sofferta, il suo desiderio di giustizia.

La sua poesia è ricca di frammenti delle personali esperienze esistenziali. Fin dai primi libri il riferimenti autobiografici danno corpo ed efficacia al linguaggio sapientemente semplificato e diretto. Egli osserva la vita con occhi dolenti, restandosene in disparte, in una solitudine che non lo priva della presa diretta sulle storture, i limiti, gli eccessi, le deviazioni morali dell’esistenza. Dalla sua visuale critica esce nitida l’immagine di una società squilibrata, senza ideali, dominata dalla corsa al bene materiale. La sua parola, pulita, lapidaria, scarna, vibrante, carica di pena, di sofferenza morale. Egli non cede alle delusioni, al rifiuto, al rigetto, trova in sé la forza di reagire trasferendo in un linguaggio lucido, senza risvolti intellettualistici, limpido, illuminato da immagini folgoranti, la sua ferma resistenza contro l’aspro, problematico, alternarsi delle vicende umane.

In “Senza distanze”, libro che Francesco considerava centrale nella sua opera, egli s’impegna in un incontro con cinque scrittori, Dario Bellezza, Pier Paolo Pasolini, Enrico Pea, Isaac B. Singer, Lorenzo Viani.

Non un dialogo con questi “amici”, con i quali molto condivide, ma una visitazione e un confronto, in un gioco tra congenialità e differenze. Le distanze sono annullate: il lavoro è sofferto, gli appuntamenti sono giocati sul filo di una consapevolezza risentita nel rapporto col mondo esterno ( vedi la lirica d’esordio: “Fatiscenti facciate). La strada è tracciata nel magma del linguaggio, può aprirsi a diramazioni ed attrazioni, ferma rimanendo la ricerca di una comunicazione densa di rovelli e di bagliori.

In punta di piedi Francesco entra nella casa di ciascun artista e ne mette in evidenza l’anima e le sue tracce, le intuizioni e i percorsi, in un continuo raffronto col proprio cammino, a tratti amaro a tratti sorprendente. Ne viene fuori un melange stimolante nel quale il lettore può immergersi tra colori, visioni, pensieri, sensazioni, affascinato dalla originalità assoluta dei mezzi espressivi e da una marcata misura ritmica.

Gli incontri, specie con gli autori di più diretta familiarità, come Bellezza, Pea e Viani, sono spesso illuminati da una improvvisa apertura narrativa e da una viva sequenza di immagini. Il poeta entra nei recessi del mondo poetico dell’artista, attratto dalle consonanze con i motivi del proprio percorso, senza ignorare le divergenze, come annota con acutezza Walter Nesti nella prefazione. Parallelismi, similitudini e discordanze si traducono in uno sguardo penetrante sulle tracce delle ragioni profonde dell’itinerario di scrittura di Belluomini poeta. Il risultato complessivo è uno scavo nel proprio essere uomo e poeta e nel configurarsi di una esistenza segnata dall’amarezza per una realtà sconsolante.

Due parole sulla sensibilità civile del nostro poeta.

Possiamo coglierne elementi in buona parte della sua produzione. In particolare è viva e fremente nei libri “L’eccidio di Sant’Anna”, la barbarie nazista dell’assassinio di 564 vecchi, donne e bambini; “Viareggio 29 giugno 2009 Nell’arso delle sponde”, il dolore per l’orribile morte di 32 persone in un incidente ferroviario; “Sul crinale dell’utopia”, la delusione per l’esito autoritario della rivoluzione sovietica; “Nel campo dei fiori recisi”, l’odissea di due giovanissime sorelle trascinate da Livorno in un campo di sterminio nazista, miracolosamente sopravvissute; oltre che nella sua partecipazione alla vita politica di Viareggio, da cui in breve si ritrasse sconcertato (frutto di quel periodo è “Nudità degli eletti”, curioso ritratto in versi dei 40 consiglieri comunali).

“L’ultima vela” , un poema di 2.500 endecasillabi, uscito postumo alcuni mesi fa, è il romanzo in versi della sua vita, il testamento spirituale e morale che riproduce e ribadisce i motivi e il senso del suo vivere in una società distratta, insensibile senza

valori. In questi giorni ne stanno scrivendo grandi critici letterari.


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