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Angelo Mundula e la poetica della nostalgia

*Nota critica pubblicata in Poeti dell’Italia Insulare vol. II: Angelo Mundula e i luoghi dell’anima, B. Vincenzi (a cura di), Macabor, I ed. 2021

di Mariapia L. Crisafulli - martedì 25 gennaio 2022 - 837 letture

La poesia di Angelo Mundula credo sia tra la più belle scoperte letterarie in cui ci si possa imbattere. Una poesia profondamente intimista, riflessiva, eppure, forse proprio per questo, universale, vicina al sentire – atavico – di ciascuno. Perché Mundula è stato un poeta-filosofo capace di tracciare su carta tutte le stagioni, le inquietudini e le esitazioni dell’esistenza: dello stare al mondo e per il mondo, ora da avventurieri ora da naufragi ora da esuli. E lo ha fatto con una naturalezza nella scrittura che lo ha reso, oltre che poeta, puntuale e raffinato critico sulle pagine dei maggiori quotidiani italiani (primo fra tutti l’Osservatorio Romano).

Per comprendere appieno questa suggestiva vicenda umana e poetica è necessario comprendere il rapporto di Mundula con la propria terra, una solenne schiavitù del luogo: la Sardegna. L’Isola, in una prospettiva più ampia (e chiaramente meta-geografica). Vivere in un’isola, qualsiasi essa sia, significa vivere l’isola: confrontarsi costantemente con i suoi chiaroscuri, con il suo essere terra ferma eppure mai immobile, perché in mezzo a un mare che la culla da millenni e da millenni la rende vulnerabile ad approdi e conquiste che diventano storia e mito, che plasmano personalità poliformi, incompiute nel proprio vivere qui e ora. Significa perdersi in essa, appartenerle senza, tuttavia, sentirsene pienamente parte. E ciò spinge, inevitabilmente, verso nuovi e indefiniti altrove. Scrive Mundula:

Da qualunque parte la Sardegna è lontana:
 la sento talvolta riaffiorare dal profondo
 come un atollo sommerso
 indicarmi un percorso
 una lingua familiare
 parlata nel sogno. […]
 Da qualunque parte l’isola è lontana
 Come un desiderio o un sogno

*** Pensiamo sia questa l’isola
 ed è molto più vasta
 non c’è possesso ma scambio permanente
 la nave che parte toccherà una riva imprevedibile
 quella che giunge
 ci sorprenderà nuovamente

*** Qui mille miglia sono lontano da qui
 né mai il sorriso di queste fronde e del mare
 mi fu tanto vicino come altrove.
 Dappertutto scopro il mio esilio

Quest’ultimo verso sembra quasi avvicinarlo al Foscolo, anch’egli un isolano. Ma Mundula non è un esule nel corpo, fisicamente lontano dalla terra natìa: in esilio è la sua anima, che vaga tra le cose del mondo, incompleta, a immagine della (in)coscienza hegeliana:

Qui l’anima è in esilio
 distante da ciò che ama
 vicina soltanto a sé nello strazio
 nella nudità totale.
 E sempre sogna un ritorno
 chissà dove

Altro leitmotiv nell’opera di Mundula, non a caso, è la nostalgia, da intendere nella sua declinazione romantica – filosofica – come desiderio, o meglio, necessità di ri-tornare, per ricongiungersi, all’essenziale, all’origine e perché delle cose, attraverso un lungo ed estenuante viaggio: quello del vivere. Quasi un moderno Ulisse, Mundula è profondamente immerso nel mare della vita e della Storia; si sente condannato a un’infinita ricerca di ciò che appare un introvabile dove, per poter tornare solo poi in un’Itaca tanto vicina e tanto lontana, la quale, come suggeriva già Kavafis, ha donato il bel viaggio perché senza di lei non ti mettevi in viaggio : non avresti vissuto davvero. Ma vivere davvero – dare un senso, cioè, alla propria esistenza – per Mundula significa conoscere, comprendere; conoscere è indagare; indagare, talvolta, comporta il perdersi. Sono suggestioni, queste, che il poeta sperimenta e rapporta con un maiestatis che vuole raccogliere la stessa condizione umana:

Sempre viaggiamo verso ignota terra
 neppure il mare basta alla nostra sete
 neppure l’onda che ci solleva
 sopra la piccola baia
 mentre il cielo passa sulle nostre teste
 tessendo la sua celeste tela
 il mistero di sempre. Basta un
 niente a sorprenderci: un ramo
 che s’agita sulla terra e annunzia il
 cambiamento o quella scaglia d’oro
 che trapela da qualche parte del cielo.
 Siamo i naviganti che hanno doppiato
 le Colonne d’Ercole senza trovare la
 terra sempre più estranei al porto che
 ci attende sempre più lontani
 dalla nostra scogliera.

Mundula era un uomo profondamente religioso, o meglio, spirituale. Per lui lo stesso fare poetico doveva risolversi in un vero e proprio atto di fede, un affidarsi, quasi a riprendere – rimodulandolo – l’antico rito rapsodico dell’invocazione alla musa, perché

solo pensando che la poesia sia tutto
 che la poesia sia Dio o almeno
 per qualche verso una scintilla del divino
 solo pensando questo
 si può scrivere una poesia
 come recitando una preghiera
 ogni volta facendo qui
 una professione di fede

conclude ne L’infinita ricerca, l’opera-testamento di questa sua esistenza votata incondizionatamente alla ricerca della sapienza interiore, nella poesia come anche nella scrittura critica .


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