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A proposito di fanghi tossici ad Augusta

Ad Augusta comincia già a respirarsi aria di mobilitazione insieme a quella inquinata del petrolchimico, ma sempre a difesa del posto di lavoro, non del diritto alla salute.

di Palmiro Prisutto - mercoledì 13 settembre 2006 - 3849 letture

Era il 25 luglio 1989 quando il Coordinamento delle Associazioni ambientaliste di Augusta inviava a tutte le autorità “competenti” una nota supportata dalla autorevole voce del prof. Giaccone dell’Università di Palermo e da una breve rassegna stampa degli anni anteriori in cui si stigmatizzava l’operato di una società dell’epoca che, dopo aver dragato fondali del porto di Augusta, caricava sulle bettoline i fanghi tossici e nocivi e li buttava con le stesse poco fuori della diga foranea, estendendo di fatto l’inquinamento da metalli pesanti.

L’allarme mercurio esisteva già – ne sono prova diversi studi scientifici sull’argomento -, ma la Capitaneria di porto di Augusta, con strana tempestività il 4 agosto successivo forse “obbediente a disposizioni superiori” rispondeva alle Associazioni con un “fermo e deciso atto di censura” accusandole di essere “scarsamente informate e poco serie” e di aver agito in totale correttezza nell’adempimento delle leggi e allegava alla risposta una nota dell’Istituto Sperimentale Talassografico C. N. R. di Messina in cui si parlava addirittura di un “miglioramento delle condizioni ecologiche dell’area”.

Negli anni successivi abbiamo potuto osservare come lo smaltimento dei rifiuti nell’ambito portuale di Augusta continuava e avveniva “a norma di legge”. Poi improvvisamente gli arresti dei dirigenti dell’Enichem, e successivamente l’“unilaterale” risarcimento alle vittime del mercurio da parte della Syndial. Una goccia di denaro sporco (di sangue oltre che di idrocarburi) prelevato dall’oceano inquantificabile di profitti accumulati dalle aziende a danno dell’ambiente e delle persone. Oggi quello stesso ministero che consentiva “a norma di legge” di continuare ad inquinare scopre l’inquinamento dei fondali della rada di Augusta e prende la drastica decisione di disinquinare i fondali e di vietare per questo perfino le manovre delle navi all’interno del porto. La notizia ha allarmato gli operatori portuali, perché, tale decisione inciderebbe pesantemente sull’occupazione.

Ad Augusta comincia già a respirarsi aria di mobilitazione insieme a quella inquinata del petrolchimico, ma sempre a difesa del posto di lavoro, non del diritto alla salute. Se il ministero dell’ambiente ha deciso di intervenire, i motivi sicuramente ci sono. Ed anche molto gravi. Forse dimentichiamo che ad Augusta non siamo a Minamata in Giappone, dove, per analoghi motivi, per bonificare una rada più piccola sono occorsi ben ventisette anni. Alla luce di quello che ci è dato di sapere (perché sulla questione ambientale di Augusta c’è sempre il “segreto di stato”) probabilmente la bonifica non sarà mai fatta per motivi economici e tecnici. Motivi economici: chi pagherà gli enormi costi della bonifica? Chi ha inquinato oppure le vittime dell’inquinamento? In Italia, si sa, il profitto è sempre privato; le perdite sono pubbliche. Motivi tecnici: sarà mai possibile far ritornare il mare di Augusta a quel “paradiso” descritto nella “Sirena Lighea”da Giuseppe Tomasi di Lampedusa (a cui il comune di Augusta nella nuova toponomastica ha dimenticato persino di dedicargli una stradina di campagna)? Senza illusioni di sorta si può tranquillamente prevedere che prevarranno ancora una volta le ragioni del profitto su quelle del diritto alla salute e della salvaguardia dell’ambiente. Augusta (con Priolo e Melilli) saranno sempre più sacrificate aldio-denaro, come Marina di Melilli, di cui le giovani generazioni hanno già smarrito perfino il ricordo. Nonostante le lotte degli irriducibili ambientalisti prima o poi arriverà l’ordine: “Evacuate, se potete”. Perché da voi dobbiamo costruire termovalorizzatori, rigassificatori, ecc. Mi piacerebbe se un giorno i sindaci di Augusta-Priolo-Melilli seguiti da quella parte di popolazione ancora libera di pensare, caricassero su ogni mezzo – come per un trasloco - sedie, tavoli, lettini ecc. e si piazzassero a tempo indeterminato davanti alla prefettura di Siracusa per chiedere al rappresentante del governo: “Indicateci dove dobbiamo trasferirci” perché la nostra presenza è incompatibile col progresso. Le alghe ed i pesci del porto megarese lo hanno già capito, da tempo. Ma tanti di essi, purtroppo, non sono riusciti a scappare in tempo.

Augusta, 12 settembre 2006 Sac. Prisutto Palmiro


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