Virale
E poi alla fine ci si accorse che l’intera storia degli umani avrebbe dovuto essere riscritta. Non storia di guerre e rivoluzioni, non storia di flussi di risorse e di denaro, non storia di cambiamenti climatici. Semplicemente, gli umani - si scoprì - erano solo un insieme di virus e batteri: i singoli umani i cui istinti, scatti d’ira, innamoramenti, brillanti idee e profonde depressioni, tutto era riconducibile alla lotta interna dei virus, le “voci” dentro dei virus per il predominio dei singoli; e le società umane - case, quartieri, città, regni e imperi - tutti preda del caotico mondo dei virus e dei batteri in lotta per la diffusione, la sopravvivenza, l’adattamento.
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Una storia virale dell’umanità potrebbe in parte avvalorare l’opinione (razzista) di molti degli abitanti dell’Africa, che accusano gli “uomini bianchi” di aver importato apposta virus come quelli dell’HIV per sterminare gli uomini marroni e neri. Che qualcosa c’entrasse con i virus già gli studiosi (“bianchi”) avevano subodorato qualcosa, rileggendo quanto accaduto nel continente americano, con l’arrivo degli impestati europei - ne sterminarono di nativi nord-centro e sud-americani più con morbillo e raffreddore che con le armi.
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Con la scoperta delle malattie da virus e da batteri l’Europa fece il suo maggior salto scientifico e intellettuale. Vedere se stessi allo specchio è il grado di consapevolezza che noi pretendiamo dagli animali per sospettarne un briciolo di intelligenza.
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La pestilenza del 1348 per gli storici cinici portò alla ricchezza dell’Europa (occidentale) che si spartirono prima le spoglie dei morti e poi avviarono, data la penuria di mano d’opera - il processo di rivoluzione tecnologica (macchine al posto di schiavi). Ma insegnò soprattutto agli europei che si combatte il nemico con l’isolamento e l’estinzione. Dopo quella data iniziarono gli stermini di massa, e la persecuzione delle idee su vasta scala. Le idee furono equiparate a virus e l’Inquisizione divenne un organo permanente della civiltà “europea”. Sull’idea virale e sui metodi di contrasto degli eretici, val la pena leggere Q di Wu Ming.
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D’altra parte, che lo sviluppo della teologia e della morale occidentale molto deve alla diffusione di virus e batteri lo dovrebbe far ricordare la storia della diffusione delle malattie veneree (il "mal francese" come si disse nella Napoli invasa dalle truppe francesi; o "mal italiano" come dissero i francesi quando se ne tornarono in Francia) e l’influenza sugli istituti matrimoniali, e sui comportamenti e i rapporti tra i sessi, e su chi poteva o non poteva detenere patrimoni (che infatti da allora si chiamano così).
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Il filone di studi rinverdito da Jared Diamond & c_ è filosoficamente interessante e promette ottimi spunti per i prossimi serial del fantasy e della fantascienza degli studios televisivi e cinematografici. Pensiamo allo scontro tra raccoglitori e cacciatori (influenzati dai batteri e dai virus presi nelle praterie e nel sottobosco) e allevatori e agricoltori (preda di virus e batteri portati dagli animali che allevavano, ristretti in luoghi concentrazionari - le città - dove proliferano virus e batteri). Il dio della città impone il "crescetevi e moltiplicatevi" come modo per sfuggire alla morte determinata dagli ambienti malsani e poco fognari della città: l’aggressività come rimedio per la poca longevità. Nel luogo comune della preistoria sognata dagli archeologi: il bonario Neanderthal sconfitto dal vorace Sapiens. Nel frattempo l’umanità si faceva addomesticare dai virus e dai batteri provenienti da capre, vacche, pecore ecc_. I virus dei cani hanno stretto con i virus degli umani una alleanza simile alla "adesione alla NATO" di alcuni recenti Paesi. Più controversa la strana degnazione, più simile a un disgusto a stento trattenuto, che hanno avuto i virus dei gatti nei confronti dei virus degli umani.
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Se le nostre tecnologie sono fragili, e limitate - si pensi come, create in ambiente nord-occidentale, basta esporle a una variazione di temperatura di poco più alta per bloccarne il funzionamento -, non così i nostri virus che, trasportati all’interno delle tastiere e nei mouse dei computer, sono in grado di arrivare dappertutto.
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In realtà, ben prima del 2020 - anno in Occidente della pandemia della covid-19 - pensavamo già in maniera virale. Quando un video su YouTube o su TikTok dicevamo che era "virale" enunciavamo non una premonizione ma era il nostro inconscio virale che parlava.
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Il numero era un tempo il virus culturale dell’antichità. Capace di immensi danni, proprio come l’idea. O la parola (certe parole). Contro questi virus l’unica cosa che si poteva fare era l’anatema, il tabù, la riscrittura della memoria e della storia, la censura, inventare frottole per combattere le idee dell’altro (virus contro virus). Insomma, quello che si continua a fare oggi. La guerra attorno al dato digitale è - nel regresso tipico dei nostri tempi - quello a cui ci siamo ridotti a fare dopo che abbiamo perso le altre guerre maggiori.
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Nel fronte d’onda di espansione dell’universo in cui ci troviamo, la materia sta compiendo uno sforzo prometeico per aggregarsi - contrastando le leggi naturali che porterebbero alla disaggregazione e alla dissipazione - provando e riprovando il modulo più adatto che permetta la sopravvivenza nel freddo cosmico. I virus finora sono quelli che sono riusciti meglio. Si diffondono attraverso il vuoto e colonizzano i pianeti - ovunque ci sia una possibilità. La panspermia cosmica è virale. E il pianeta Terra è solo un caso tra i tanti.
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Se l’intelligenza è il frutto di un batterio, siamo messi proprio bene. Pensare come uno streptococco, un Escherichia o un Clostridium potrebbe diventare presto una forma di insulto (“Ma che ti frulla nel cervello, un Escherichia?”) valido oltre l’ambiente chiuso dei virologi.
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Questa stessa idea di una storia virale dell’umanità mi viene da un virus.
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