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Rilettura di un libro-inchiesta del ’72 sulla violenza fascista a Catania

Altro luogo di ritrovo e di battesimo del fuoco per molti militanti dell’estrema destra palermitana fu, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, il poligono di tiro di Bellolampo.

di Silvestro Livolsi - giovedì 31 ottobre 2013 - 5871 letture

Nel luglio del 1972, la scoperta di un campo paramilitare a Menfi, nell’agrigentino, messo in piedi da un manipolo di neofascisti capitanati da Pierluigi Concutelli, e smantellato dalle forze dell’ordine, portò alla luce, in maniera chiara ed evidente, la presenza di gruppi votati alla violenza politica che preparavano nell’Isola un piano eversivo e che erano molto presenti in tutto il territorio.

I responsabile del campo di Menfi, allestito in contrada Curra di Mare, erano Concutelli e Guido Virzì che verranno arrestati assieme a una ventina di altri neofascisti impegnati per mesi negli in addestramenti bellici. I ‘campeggiatori’ di Menfi avevano rapporti organici con altri militanti della destra che avevano allestito un altro campo paramilitare ad Erice, sempre su indicazione e sostegno di Concutelli, come dettagliatamente ricostruì in un suo tanto importante quanto trascurato rapporto a diverse Procure della Repubblica, il vicequestore di Trapani, Giuseppe Peri.

Altro luogo di ritrovo e di battesimo del fuoco per molti militanti dell’estrema destra palermitana fu, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, il poligono di tiro di Bellolampo. E se Erice, Bellolampo e soprattutto Menfi furono i centri scelti dagli aspiranti guerriglieri della destra extraparlamentare che gravitava tra il capoluogo e le province della Sicilia occidentale, per addestrare qualche decina di giovani in azioni militari, nel versante orientale dell’isola, ai piedi del vulcano, nelle campagne di Adrano, Biancavilla e Zafferana Etnea, una più consistente schiera di neofascisti si esercitava anch’essa all’uso delle armi, e le loro gesta, parate e manovre paramilitari furono represse dalle forze dell’ordine perché individuate e denunciate da privati cittadini e dall’azione di controllo e di controinformazione delle forze sindacali e politiche della sinistra.

Fu infatti un nutrito dossier curato dal Movimento Studentesco e dalla federazione provinciale del Pci di Catania, stampato nell’Ottobre del ’72 con il titolo di ‘Rapporto sulla violenza fascista a Catania’, a rendere pubblico il pericolo di azioni terroristiche nell’Isola da parte della destra estrema finalizzate alla destabilizzazione della democrazia e che già nella diffusa violenza politica a danno delle istituzioni e forze progressiste, trovavano già un suo primo momento significativo d’attuazione.

I redattori del ‘Rapporto’ scrivendo dei campi paramilitari etnei indicavano le località precise dove s’erano svolte le attività dei neofascisti: a Piano del Vescovo, in territorio di Zafferana Etnea, in località Feliciusa, nelle campagne di Adrano e in contrada Palazzolo, nel comune di Biancavilla. Dei tre campi, quello di Zafferana risultava il più importante sia per numero di partecipanti (cinquanta), che per il livello dell’addestramento, tanto che dopo lo smantellamento, ancora ‘si notavano i resti dei materiali usati: esistevano sparsi a terra migliaia di pezzetti di guaina di filo elettrico e numerose pile di vario tipo’. ‘Risulta chiaro, da tutto ciò’ - ne deducevano gli estensori del Rapporto - ‘che sono stati sperimentati attacchi e collegamenti elettrici, tanto in abbondanza, da far pensare ad una vera e propria scuola per la costruzione di ordigni e meccanismi a circuito elettrico’; emergeva palesemente, quindi, il proposito di fabbricare, anche se artigianalmente, materiale esplosivo.

Precisa, nel ‘Rapporto’, la descrizione dello spazio occupato dai neofascisti: ‘Il campo era recintato interamente con filo di ferro sostenuto da paletti e l’intero filo di ferro era segnalato da pezzetti di nastro isolante verde e bianco; al campo si accedeva per una stradina bloccata da un palo di legno permanentemente controllata. Era sovrastato da un altissimo pennone sul quale vi erano site due bandiere: una nera a forma di triangolo, l’altra tricolore, con sovrapposto sul bianco un simbolo raffigurante un pugno che sostiene una torcia, il simbolo del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. I partecipanti al campo erano muniti di camicia militare, blue-jeans e scarponi, portavano coltello e pugnale. La loro dotazione era ‘zaino, sacco a pelo, plaid coperta, coltello, pugnale, berretto lana, scarponcini, giubbotto militare, pipa (che nel gergo indica la pistola) tuta mimetica, radio trasmittente’.

Tra gli animatori dei campi, riconosciuti da più testimoni, vi erano i nomi noti dello squadrismo catanese, alcuni con un passato da paracadutisti nelle forze armate e di capi del servizio d’ordine nei comizi e nei cortei dell’Msi cittadino. E il ‘Rapporto’ si prodiga infatti nella denuncia dello stretto legame che è esistito negli anni ’68-’70 tra ‘picchiatori’ fascisti e vertici locali del partito di Almirante che tollerano e a volte istigano alla violenza le frange più inquiete e sovversive della destra politica: in una serie di eloquenti fotografie si vedono infatti parecchi dirigenti noti della destra catanese (come Benito Paolone, Nino Strano, Fabio Fatuzzo) intenti ad adoperarsi in atti violenti ai danni degli studenti progressisti che protestano nelle Università o a provocare disordini nel corso di manifestazioni delle forze popolari e progressiste.

I campi comunque, rispetto allo squadrismo e all’azione di piccoli gruppi di picchiatori nelle città, rappresentavano qualcosa di più alto livello, la preparazione al passaggio di uno scontro più generale e diffuso e sorsero anche in centri periferici e interni: a Ficarazzi, a Bronte, a Nicosia. Di campi paramilitari si parlava negli ambienti della destra a Ragusa, e ne dava conto nelle cronache che gli costarono la vita, il giornalista ragusano Giovanni Spampinato, che raccontò, proprio nel ’72, l’anno in cui venne ucciso, che nella sua città dimorava il latitante Stefano delle Chiaie, terrorista nero di spicco e sodale del principe golpista Junio Valerio Borghese. I campi neofascisti furono quindi una sorta di laboratorio politico dell’eversione, una prova generale, effettuata in Sicilia, sulla possibilità e sulla capacità di coinvolgere migliaia di giovani in un’azione insurrezionale e golpista finalizzata al rovesciamento della democrazia.


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