Resistenza o Liberazione

La Festa della Liberazione cade a ridosso della Festa del Lavoro.
“Lo avrai, camerata Kesselring, il monumento che pretendi da noi italiani, ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi. Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio, non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità, non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono, non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire. Ma soltanto col silenzio dei torturati, più duro d’un macigno soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo. Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre RESISTENZA.”
Quando si leggono questi versi (“Il monumento”) di un poeta e giurista come Piero Calamandrei (stranamente poco studiato) si mantiene viva e fiorente la memoria: è necessario. E’ utile rinverdire un ricordo lontano di sofferenza (serve ai giovani, lo si ripete spesso); ma quanta eredità di quel sangue è oggi ancora pregnante in questo contesto stracolmo di corruzioni e di malgoverni? Occorre rinverdire la storia.
E occorre una nuova Resistenza e non solo fisica per sopportare quanto di pesante si è costretti a subire a causa di ataviche pessime gestioni del Bene comune. Sarà il caso che prenda piede una ragionevole convinzione collettiva che porti ad una Liberazione da scorie, o da individui che hanno determinato il “male comune”. Consorterie strabiche che hanno occupato la scena per proprie convenienze, immemori di quell’evocazione che a Calamandrei proveniva dal profondo del cuore, da convinzioni di libertà e di umanità mai sopiti.
Una dittatura quantunque “soffice” e populista (come quella recente) è pur sempre una dittatura. Allora hanno combattuto invano i nostri padri? Abbiamo “delegato” per troppo tempo in nome di una democrazia il cui vento soffia sempre alto: se ne sono appropriati immeritatamente coloro che poi l’hanno umiliata. Da bene collettivo a bene economico, dove il lavoro rimane una chimera per le nuove generazioni, precarietà è la parola ricorrente.
Tutto è caduco in un sistema onnivoro di capitali come piovre. La festa della Liberazione cade dunque a ridosso di quella del Lavoro: dal 25 Aprile al Primo Maggio la distanza sembra breve. Per la Storia, con le sue coordinate scritte con la sofferenza, rimangono date imprescindibili: per rifletterci, per meritare Altro. “Libera nos a malo”.
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