Privi di verve. Cosa accade nel PD siciliano
C’è un dibattito che non coinvolge la gente rendendo, oltremodo, accidentato un percorso di fondazione già caracollante e privo di “verve”. L’esempio delle Candidature alla segreteria regionale. Le considerazioni di Roberto Fai.
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Scrivo queste note prima del 12 settembre, data conclusiva di accettazione delle candidature a Leader regionale per le primarie del 14 ottobre per il Partito democratico. Se l’epilogo di questo accidentato percorso siciliano – ma, forse, anche per altre regioni del Sud – si chiuderà con le notizie che giungono in questi giorni – vale a dire con l’accordo definitivamente stretto tra DS e Margherita sul nome di Genovese (Margherita), Sindaco di Messina, a Leader del PD e con la probabile conferma nella competizione di Latteri (sempre Margherita) –, credo si possa dire che i tre principali Leader in competizione in campo nazionale (Veltroni, Bindi e Letta) non sono stati all’altezza delle aspettative. Sia Veltroni che la Bindi e Letta non hanno saputo corrispondere, in sede regionale, allo spirito aperto, alle aspettative che la fase costituente del PD sollecitava: far sì che nelle regioni la competizione, per analogia con quella nazionale, assumesse i caratteri di libere “primarie” tra Leader e figure siciliane di diversa esperienza e storia, senza ingabbiare o neutralizzare – con un accordo imposto da “logiche oligarchiche” – l’esigenza di misurare sul campo l’articolazione e la “costituzione” di una Leadership regionale di un “inedito” soggetto politico (il PD) che pur rappresenta – per le modalità con cui si è venuto definendo il suo atto di nascita – una significativa e singolare esperienza costituente nell’Europa politica, mai praticata neppure nel secolo dei partiti di massa.
Tutti e tre i Leader nazionali sono stati subalterni alle logiche di spartizione decise a Roma (12 leader regionali ai DS, 8 alla Margherita), che hanno impresso una torsione oligarchica ed autoreferenziale alle competizioni regionali, ridotto a “fusione fredda” tra DS e Margherita la distribuzione delle leadership regionali – almeno nel Sud. Mentre avrebbero dovuto, non a parole, pretendere e lanciare segnali a tutte le aree politiche e culturali affinché la ricollocazione/scomposizione delle alleanze si coniugasse con un invito a quei settori sociali, protagonisti delle “primarie per Prodi” del 16 ottobre 2005, a scendere in campo nel processo costituente, per raccogliere nuovo protagonismo, disponibilità all’impegno nel tentativo di invertire la piega entropica nel rapporto tra politica e società. Ma anche per cogliere gli umori reali che attraversano il corpo politico siciliano nella fase attuale nel loro rapporto con la selezione del gruppo dirigente.
Ho l’impressione che gli umori critico-negativi che attraversano da tempo la società italiana – dai temi posti dalla vasta pubblicistica sui “costi sociali della politica” e sulla “casta”, alla recente manifestazione promossa da Beppe Grillo – non siano stati raccolti, captati dai tre potenziali Leader nazionali.
La necessità di far corrispondere tutto il percorso formativo del PD – non solo sulla giusta modifica di alcuni criteri delle primarie (costo di partecipazione e distinzione tra voto e appartenenza), ma anche sulla necessità di saper coniugare “anima ed esattezza” (Musil), “incanto e misura”, affinché la costruzione delle tappe verso il 14 ottobre facesse lievitare una ampia condivisione e servisse ad allargare il raggio di consenso e di partecipazione – sino a farlo configurare, esso stesso, come un nuovo modo di fare politica: questo era l’obiettivo che occorreva salvaguardare. Sono stati più realisti del re – Veltroni, Bindi e Letta –, preoccupati di garantirsi e “coprirsi” le spalle con gli accordi nazionali che le potenze organizzate di riferimento andavano a realizzare nelle periferie regionali, perdendo così di vista l’esigenza primaria di lanciare segnali “liberi” a quel vasto popolo del centro sinistra – “figlio” ed espressione della domanda di un vero processo costituente, come le primarie per Prodi avevano annunciato, sorprendendo e creando “stupore” in una classe dirigente nazionale che si aspettava al massimo 800 mila votanti.
Per quanto riguarda la Sicilia, rimane lo sconforto di un ceto politico gelatinoso, opaco e stanco, poco disponibile alla scommessa ed anche alla passione politica, per il quale l’agire politico è tutto giocato in una “rappresentazione” che è oramai traducibile in mera “scena”, mentre la crisi della “rappresentanza” inscrive il “ceto politico” all’interno di un ordine castale, che sembra più intento a tradurre l’esperienza di un possibile “nuovo inizio” politico in un maquillage formale e privo di spessore.
Cosa impediva all’autorevole on. Anna Finocchiaro – qualificata leader di rilievo nazionale, donna, catanese, residente in una regione in cui i DS e le forze democratiche e di rinnovamento sono strette tra trasformismi ed opportunismi politici che rendono vischiose le condizioni di riscatto civile e sociale –, pur mantenendo e rivendicando per sé un rilievo nazionale, di “decidersi” per un progetto politico che richiede una nuova lettura della società siciliana, assumere su di sé la scommessa di far crescere e commisurare una nuova classe dirigente siciliana per il nuovo PD, spendendo per 2-3 anni le sue competenze, i suoi legami in Sicilia, lanciando così un segnale forte a quella parte della Sicilia, oramai stufa perché percepisce intelligentemente che la sua classe politica – i suoi “rappresentanti” – è più interessata a salvaguardare se stessa e la sua autoriproduzione nella scena nazionale? E’ indubbio, e avvertito da tutti gli osservatori, che il clima che precede le primarie non decolla e non sembra far lievitare quell’entusiasmo necessario per “ripetere”, anche se in forme e quantità diverse, la partecipazione delle primarie dell’ottobre 2005. E’ difficile fare previsioni, è indubbio che la quantità dei votanti (in sede nazionale e nelle varie regioni) è già una condizione pratico-simbolica – se è lecito questo accostamento – con cui commisurare il rapporto che il PD sarà in grado di tessere con la società italiana e le sue contraddizioni.
A noi siciliani - anzi, a quanti si portano dentro questa sorta di “politica coazione a ripetere” di freudiana memoria –, pur nell’accentuato disincanto con cui ci avviciniamo a questa fatidica data, rimane il compito di guardare comunque al nuovo soggetto politico con l’auspicio che le dinamiche che inevitabilmente si apriranno possano offrire materiale politico necessario per “tagliare” la realtà politica siciliana.
Per contattare il Prof. Roberto Fai:
robefai@tin.it
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