Il Partito Democratico per una democrazia capace di decidere

Trascrizione dell’intervento pronunciato da parte di Walter Veltroni in occasione della Cerimonia di consegna dei diplomi della III Edizione del Centro di Formazione Politica (19 dicembre 2007, Spazio Sironi, Milano)

di Emanuele G. - domenica 30 dicembre 2007 - 9020 letture

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Partito Democratico

Grazie, grazie a te Nicola (Pasini, ndr) per l’invito. Io ho già avuto qualche occasione di incrociare la vostra esperienza. Poi Massimo Cacciari me ne ha parlato a lungo, me ne ha parlato Michele Salvati e quindi mi fa particolarmente piacere essere qui questa sera e poter parlare di fronte a una platea di ragazzi, di giovani italiani che hanno voglia di considerare la politica evidentemente non solo come una passione dalla quale sono stati mossi per partecipare ad un corso di formazione politica ma come qualcosa che ha anche bisogno di un itinerario, di formazione, di discussione, di confronto di idee e di opinioni. Voglio subito dire che non solo considero queste esperienze importanti, ma considero che tutto il lavoro della formazione dovrà essere per il Partito Democratico assolutamente centrale. Voglio dire che credo che in futuro, intendo dire nell’anno che sta per cominciare, noi dovremo dar vita ad una serie di esperienze nuove, penso anche ad esperienze di summer school. Penso che, probabilmente, diversamente dalla tradizione che nel passato portava il segretario del partito, dei diversi partiti, a fare il discorso del rientro alla festa nazionale del proprio partito, penso invece sarà bene mutuare un’esperienza più analoga a quella di altri paesi – fermo restando le feste che sono importantissime anche per l’autofinanziamento e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno – penso che sarà più giusto che il segretario del partito, al rientro, il primo discorso lo farà concludendo la summer school. Summer school di cui poi parleremo insieme, perché dobbiamo impostarla in modo che sia un modulo ripetibile in tante città italiane, perché io immagino – comincio da qui e poi cercherò di spiegare perché questo per me ha un senso di prefigurazione di idea di partito che cerchiamo di costruire: penso ai centri di formazione, ai forum, oltre ai circoli territoriali e non in contrapposizione (Giuliano [Ferrara, ndr] si diverte con il partito liquido, che è di per sé una contraddizione in termini perché i partiti difficilmente possono essere liquidi e quando sono troppi liquidi non sono partiti) - un partito mobile che abbia la capacità di stare dentro le pieghe di una società che si è fatta più complessa e non rintracciabile solo dentro la dimensione territoriale o anche nell’unità del luogo di lavoro. Questo sì, questo dovremo farlo e io penso che la formazione da un lato e poi i forum che si faranno a livello nazionale - noi dopodomani li vareremo nell’esecutivo - e che si devono fare a livello comunale, provinciale, regionale, questi forum devono essere un luogo nel quale si possano incontrare quelle domande anche parziali e quel bisogno anche parziale di partecipare a discussione, elaborazione, a incontro con la politica che oggi la politica non è in grado di assicurare. Faccio un esempio: a Como ci saranno tante persone che hanno voglia di occuparsi di scuola e che fanno un’esperienza scolastica nella diversa qualità di insegnante, di studente, di genitore o semplicemente di persona appassionata ai temi pedagogici: dove incontrano la politica? Dove trovano un luogo per discutere tra di loro? Ecco, io vorrei che il Partito Democratico fosse anche da questo punto di vista una grande innovazione del modo di fare politica in questo paese. Offrendo dovunque dei luoghi dove, certamente gli aderenti al Partito Democratico, ma anche le persone che più semplicemente abbiano voglia di trovare un luogo, possano discutere. Visto che in Italia ce ne sono sempre di meno. C’è la televisione – e io mi scuso ancora una volta con i colleghi se, come faccio sempre, mi sono sottratto al rito del “che ci dice, che ci dice”, quel rito al quale voi siete costretti, siamo tutti costretti, però se ci ribelliamo a questa costrizione insieme viviamo meglio gli uni e gli altri – oltre alla televisione - che però è un luogo di comunicazione unidirezionale perché la televisione parla, se qualcuno da casa risponde è un problema serio - c’è e ci devono essere dei luoghi fisici e dei luoghi della rete nei quali si possano discutere, scambiare esperienze, incontrare decisori politici. Perché se i parlamentari eletti a Como, per stare all’esempio, discutono con le persone appassionate di scuola o con quelle appassionate di infrastrutture, va solamente bene. E penso e credo che noi dovremo strutturare questo partito in questa forma mobile. Poi ci sono le fondazioni, c’è l’esperienza che sta facendo Linda (Lanzillotta, ndr) - abbiamo fatto un po’ di rumore quel giorno parlando di sistema elettorale - perché penso che le cose ci si dovrà abituare a dirle nei luoghi in cui si pensa e c’è una discussione, un confronto, un incontro. E’ questa un po’ l’idea di partito. Mi rendo conto che questa è tra le tante cose che il Partito Democratico sta introducendo nella vita politica italiana, e alle quali noi stessi facciamo fatica ad abituarci perché c’è un po’ la tentazione di pensare noi stessi come se un’altra volta avessimo cambiato nome. No, non è che abbiamo nome. Non è che popolari, poi democratici, poi Margherita, poi Partito Democratico. Non è che Pds, Ds… No, abbiamo fatto un’altra cosa, abbiamo fatto un partito nuovo. L’altro ieri, presentando con Romano un libro di Antonello Soro, che è il capogruppo del Partito Democratico alla Camera,… c’è in questo libro, che è una specie di racconto di note e pensieri su questo anno di formazione del Partito Democratico, una bella espressione: “non dobbiamo restare ostaggi delle nostre biografie”. La meraviglia, che io sto sperimentando nel lavoro quotidiano perché lavoro con gente con la quale non lavoravo prima, è proprio nella bellezza di un incontro, di un incrocio di esperienze, di culture, di linguaggi, di visioni che chiamano sempre a sintesi nuove. Dobbiamo tutti abituarci. All’inizio faticheremo un po’, qualcuno si sentirà smarrito, qualcuno penserà che sta tremando la terra sotto i piedi, ma è una scossa positiva quella che si dà; è una scossa positiva se si vuole sbloccare il paese ed è esattamente il problema che noi abbiamo. E vorrei dire che è la ragione per la quale è nato il Partito Democratico. Perché ci sono due modi di guardare al Partito Democratico. Non dico che siano in conflitto, dico qual è per me il primo e il secondo e non ho dubbi di fare un ordine gerarchico. C’è un modo di guardare al Partito Democratico, anche abbastanza diffuso, tutto interno alle vicende dei partiti preesistenti. Quindi un lungo viaggio, periglioso, si è passati attraverso mari agitati, però alla fine si è arrivati nel porto dove dovevamo approdare. Un altro modo, che è il mio modo, è quello di dire: di che cosa ha bisogno oggi l’Italia? E, senza presunzione, senza arroganza, senza boria integralista o esclusivista, senza veramente presunzione, io penso che l’Italia abbia bisogno oggi come non mai di un partito come il Partito Democratico. E anche del suo coraggio di navigare controcorrente. Noi dovremo probabilmente navigare controcorrente, ma ho assolutamente fiducia; e devo dire che i dati di cui posso disporre confermano che questa fiducia non è mal riposta, che l’Italia oggi ha bisogno di una risposta nuova. E che se noi ci presentassimo come una somma di risposte vecchie, non assolveremmo non solo a un compito di crescita elettorale, ma al compito di risposta alla crisi nazionale.Oggi, una delle cose migliori che c’è da leggere nella stampa italiana, che è R2, ha pubblicato un interessantissimo dossier sul rapporto tra Italia e Spagna, in questo dossier c’è anche una saggia intervista di Michele Salvati. I dati dicono questo. Confronto Italia-Spagna: crescita della popolazione: + 0,1 contro +1,7; reddito pro capite – e c’è stato il sorpasso –: 22.301 euro contro 22.816; crescita del Pil: + 1.9 contro +3,9; consumi delle famiglie: +1,5 contro +3,7; certo l’inflazione è più alta e la disoccupazione è più alta e questi sono dati da tenere in considerazione. Deficit pubblico: - 4,4 contro +1,8; debito pubblico: 106% del Pil in Italia, 39% in Spagna; numero di ricercatori: 3 ogni mille addetti in Italia, in Spagna sono 6 ogni mille addetti; giovani che hanno un titolo di studio superiore, questo è un dato che è a nostro favore ed è interessante anche questo, 73% contro 61% (è un dato che ritroveremo nei dati sui delegati, perché il 66% degli 820 intervistati ha la laurea); occupati nel settore hitech dell’industria: 7,4 contro 5,4; popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa a corsi di formazione: 5,5 in Italia, 11 in Spagna; costo dell’elettricità per le imprese: 10,96 euro in Italia, 7, 63 in Spagna; famiglie con un computer: 45 contro 55; laureati in materie scientifiche sul totale dei laureati: 7 contro 9,4; posto in classifica nell’indice della competitività: 46esimi noi, 29esimi loro. Allora, che cosa vogliamo fare del nostro paese? Io sono assolutamente d’accordo con quello che ha detto Giorgio Napolitano rispondendo al famoso articolo del New York Times, il quale coglieva un dato reale, uno stato d’animo del paese, perché il nostro non è un paese ringalluzzito, non è un paese che si sente proiettato verso la conquista di grandi obiettivi. È un paese un po’ smarrito, un po’ insicuro - e verremo poi su questa parola che considero una parola chiave. Ma Giorgio Napolitano ha detto, e ha ragione, e bisogna dirlo, e in questo senso sento che persino la scelta del Partito Democratico per me ha questo valore simbolico: la riscoperta del senso e dell’identità e del valore nazionale della missione di una forza politica. Bisogna sapere che noi abbiamo immense possibilità che persino questi dati, la stragrande maggioranza dei quali negativi ci raccontano: c’è grande talento, c’è un’imprenditoria che ha tenuto a passaggi difficilissimi, che si è convertita dalla stagione della svalutazione competitiva alla stagione della moneta unica, che ha retto alla competitività molto forte dei mercati in più rapida espansione, c’è una ricchezza culturale, una meraviglia ambientale, una struttura di certi nostri distretti che sono grandezze del nostro paese che però non fanno sistema. Cioè, il paese stenta a presentarsi nella competizione internazionale come un sistema, sia per le sue condizioni strutturali ma anche per lo stato d’animo degli italiani, che non è un fattore indifferente – chiunque si occupa del rapporto tra economia e società, sa benissimo che lo stato d’animo è decisivo, perché uno degli indicatori fondamentali dell’economia di un paese è l’indice di fiducia delle imprese, perché questo significa predisposizione all’investimento, significa predisposizione alla natalità. Il primo dato è il più inquietante: + 0,1 contro + 1,7. Vuol dire che il nostro è un paese che invecchia e, se continua a invecchiare così, i problemi già drammatici che oggi abbiamo di copertura delle esigenze del welfare diventeranno non più sostenbili , perché se c’è meno gente che produce e che quindi crea la ricchezza necessaria per reggere coloro che stanno in pensione e che stanno in pensione per un lungo periodo di tempo, è chiaro che alla fine questo squilibrio che oggi in Italia è assolutamente penalizzante per i più giovani ,diventerà difficilmente sopportabile. E l’altro dato che ci deve far pensare è quel dato sul quale io ho fatto una sottolineatura di voce e che ora voglio ingrandire: la popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipa a corsi di formazione è il doppio in Spagna. Che cosa significa? Significa che in Spagna si sono preoccupati di quello di cui in Italia non ci preoccupiamo – o abbiamo cominciato a preoccuparci con il pacchetto del welfare ma in un contesto di lotta contro ogni tipo di resistenza di varia natura e diversamente collocata politicamente. E cioè il fatto di consentire formazione professionale sia per i ragazzi più giovani, sia per i cinquantenni che perdono il posto di lavoro - che costituiscono una tipologia sociale rispetto alla quale invito a prestare più attenzione di quanto si presti perché ormai, che ci sia un grande problema rappresentato dalla precarietà giovanile, l’hanno messo a fuoco tutti, ma che ci siano centinaia di migliaia di persone in questo paese che hanno cinquant’anni, che hanno dei figli che vanno a scuola o all’università, che hanno il mutuo per la casa e che rischiano di perdere il posto di lavoro e che spesso lo perdono e a quel punto si sentono, le cronache purtroppo ce lo raccontano in maniera molto forte , totalmente smarriti e soli, questo facciamo più fatica come paese a capirlo. E quando si dice formazione tra i 25 e i 64 anni, si dice che la Spagna come altri paesi ha avuto l’intelligenza di capire che il contrasto del sentimento di insicurezza della società avviene attraverso la strutturazione di processi formativi che accompagnino verso nuovi lavori. E che questo è il nuovo “stato sociale” o è la nuova società sociale della quale le società moderne hanno bisogno. Ma qui sta la grande questione italiana. Come il nostro paese riesce a recuperare questo entusiasmo, questa forza? Non è che l’Italia non ha mai avuto il ruolo e persino la fisionomia che oggi ha la Spagna; negli anni ‘60 ce l’ha avuto, ha incrociato come altri paesi europei un ciclo di crescita economica ma a questo ha corrisposto anche un’espansione della vita politica, sociale, dei diritti civili che è durata per molto tempo. E l’Italia ha fatto delle operazioni di risanamento finanziario che sono state esemplari perché il raggiungimento dell’obiettivo dell’entrata nell’euro, che era da tutti considerato inimmaginabile, è stato raggiunto per virtù di questo paese e dei suoi soggetti sociali. Però vogliamo dirci la verità? Il problema sta in una riga dell’intervista di Michele Salvati, il quale dice “in Spagna chi governa decide”, qui è il problema. Vogliamo continuare a girarci intorno, vogliamo continuare a far finta che non sia così? Ma il problema della democrazia italiana è esattamente questo: è una democrazia che non produce decisioni. E io sono convinto – l’ho detto al Lingotto, Filippo (Penati, ndr) prima ha ricordato l’intervento fatto al Lingotto - che il nostro paese vive una crisi di sistema democratico. Ma queste parole, non sono due paroline così che si mettono lì per ingannare il tempo delle persone che ascoltano. Per me sono delle parole di una gravità e di una pesantezza enorme: sistema democratico in crisi. Vuol dire: in crisi di decisione. Però, guardate che oggi, per come è fatta la società, il bisogno di decisione è enorme. La velocità della società – dei tempi dell’economia, della finanza, della comunicazione, dei tempi della vita di ciascuno di noi che sono molto più concitati di quanto fossero prima (andiamo forse alla stessa velocità alla quale andavamo vent’anni fa? No. Abbiamo tutti gli strumenti tecnologici per risparmiare tempo… perché io, quando andavo in macchina in autostrada, andavo in giro con pile di gettoni e mi fermavo… – vallo a spiegare ai nostri figli…. – oggi, di fronte alla velocità della società la lentezza della politica crea una divaricazione. E io vorrei dire, a noi tutti per primi, badate che se si divaricano la democrazia e il potere di decisione non è affatto scontato che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica scelga la prima cosa rispetto alla seconda. Perché l’accensione di uno spirito particolare può portare a giustiziare la fiducia nel più grande e meraviglioso strumento che ci siamo dati al prezzo di sangue scorso a fiumi nel Novecento: la democrazia. Ma non è solo un problema italiano. In Italia è particolarmente acuto ma non è solo un problema italiano. Si guardi al Belgio dove, da sei mesi, non riescono a fare un governo; questo accade in un grande paese civile come il Belgio. O noi riusciremo a fare una democrazia che decide oppure sfide e innovazioni in questo paese non si riusciranno a fare. Ed io so la ragione per la quale la parola decisione mette paura. Perché noi abbiamo avuto il fascismo. E il fascismo è stato un regime che certo decideva ma faceva pagare il prezzo di questa decisione alla libertà degli italiani. Non ho bisogno di ricordare la galera, le leggi razziali, la guerra… Guardate, avere dentro di sé il dna di questa esperienza è un fatto positivo anche perché poi c’è il dna, ancora più positivo, della guerra di liberazione. Però sono passati sessant’anni, e noi oggi abbiamo il dovere, come grande forza democratica, di rispondere altrimenti si possono creare delle condizioni storicamente diverse ma non dissimili da quelle che hanno portato in certi momenti della storia italiana al tracollo degli assetti istituzionali. La capacità di decisione. La capacità di rispondere a un problema qui e ora. La possibilità di esercitare quel potere democratico che serve a vincere sfide contro i conservatorismi. Prendete l’esempio che ha fatto adesso Linda del decreto sulla sicurezza. Il decreto sulla sicurezza è stato fatto per rispondere a un problema che noi tutti sentiamo nel nostro paese. Il problema della sicurezza è avvertito con enorme forza soprattutto negli strati più deboli della popolazioni o in quegli strati che si sono emancipati dalla debolezza, hanno raggiunto un obiettivo sociale che considerano importante e si vedono minacciati. Quando io leggo che in certe ville del trevigiano o in certe ville della Lombardia, che sono le villette unifamiliari che una famiglia di operai o di artigiani o di commercianti si è fatta come coronamento di una vita di lavoro e di fatica, è arrivata la violenza ed è entrata in quelle case la violenza, so che questo spezza un equilibrio e persino un rapporto epistemologico tra il cittadino e il presente e futuro. E allora quel decreto serviva ad affrontare questo tema, servirà ad affrontare questo tema perché il governo lo dovrà rifare. Questo è poco ma sicuro. Ma perché siamo costretti a dover discutere…. Perché in Parlamento è stato introdotto un emendamento – non stiamo a discutere come e perché, non sono abituato a fare di quelle polemiche, tipiche della vita politica italiana, che animano certi talk show televisivi – un emendamento che era sbagliato, erano sbagliati i riferimenti normativi a giurisdizione europea e il Presidente della Repubblica giustamente non può firmare un decreto che contiene qualcosa di sbagliato. Non si può chiedere al Presidente della Repubblica – geloso custode delle istituzioni di questo paese – di fare una cosa che sarebbe sbagliata. Ma, in virtù di questo, il governo è chiamato a predisporre un decreto nuovo che corrisponda alla stessa sfida. Io ci aggiungerei anche una riflessione su questa storia dei flussi. Perché se in 38 minuti in questo paese si esaurisce la quota dei flussi, vuol dire che a fronte di tanta ipocrisia, c’è una domanda di forza-lavoro straniera che noi abbiamo tutto l’interesse ad accompagnare e sostenere. Perché quello è il tipo di immigrazione di cui abbiamo bisogno, perché fa bene all’economia del paese e fa bene alle persone che arrivano. Decisione, decisione democratica. Faccio un esempio che mi ha riguardato direttamente nella mia qualità di sindaco di Roma: la questione dei taxi. Noi abbiamo realizzato, prima della legge Bersani e dopo la legge Bersani, un incremento di 1500 licenze, in una città nella quale per tanti anni nono si erano date licenze perché, ogni volta che si affrontava il tema, veniva bloccata la città. Noi abbiamo dato 1500 licenze senza un’ora di sciopero. Benissimo, qualche settimana fa sono venuti i tassisti, anzi i rappresentanti dei tassisti che è cosa diversa dai tassisti, a dire che era necessario un aumento delle tariffe. Ed era giusto un aumento delle tariffe perché per chi lavora con la benzina e per chi lavora con le macchine non c’è dubbio che, essendo le tariffe ferme dal 2001, era giusto un aumento delle tariffe. E tutte le demagogie ideologiche sono stupide. Io però ho detto loro: “benissimo, facciamo l’aumento delle tariffe, incrementiamo però di cinquecento ulteriori licenze” in modo da arrivare ad un incremento complessivo di 2mila per passare dai 6mila taxi che ho trovato nel 2001 ad 8mila taxi attraverso un incremento del 35% e 650 ragazzi che avevano una possibilità di lavoro avendo partecipato ad una selezione. Non ho finito di dire questo, chiedendo loro di darmi un’opinione - non è che gli ho detto che avevo già fatto uno strumento - che i rappresentanti hanno fatto appello ai taxi perché si bloccasse la città. Benissimo, hanno bloccato la città per un giorno e mi hanno chiesto un incontro. E io questo incontro non l’ho fatto. Nonostante il prefetto, sulla base delle sue responsabilità, mi invitasse ad un incontro in prefettura dopo aver lui ricevuto i tassisti, alle 3 del pomeriggio io non sono andato perché ho detto che avrei partecipato ad un incontro solo nel momento in cui la città fosse stata sgombra. Alle 7, il prefetto mi ha chiesto di convocare questa riunione ed io ho dichiarato la disponibilità alle 7 se la città fosse stata sgombra. Alle 7 la città non era sgombra; li ho ricevuti alle 9 e mezza e la prima cosa che ho detto loro è che avendo scelto quella forma di lotta, di una cosa potevano star certi che le cinquecento licenze si sarebbero fatte. E così abbiamo fatto. Ma perché ho potuto fare così? Perché loro sapevano che io comunque avevo nelle mani lo strumento. Se io fossi andato in giunta e avessi deciso cinquecento licenze, quelle cinquecento licenze si facevano. Perché si decide in giunta. Se avessero saputo che si andava in consiglio comunale avrebbero detto “vai, vai, prova in consiglio comunale”, dopo di che si sarebbero messi al lavoro e utilizzando l’opposizione una volta, utilizzando qualche contraddizione, alla fine sarebbero riusciti a bloccare. Avete visto? E’ un esempio di decisione democratica. Che avviene anche attraverso una concertazione, perché abbiamo fatto un faccia molto duro. Io ho detto loro anche che se un gruppo di operai avesse fatto quella forma di lotta avrebbero pagato un prezzo molto più alto. E che nessuno si può permettere, tanto più se fa un servizio pubblico, di bloccare una città. E quindi abbiamo avuto un confronto molto duro, al termine del quale loro si sono divisi e, alla fine, hanno sottoscritto l’accordo che gli avevamo proposto. Ma ho citato questo piccolo esempio personale per dire che non dobbiamo avere paura di fare una democrazia che decide. La nostra è la società dei veto players, è la società nella quale tutti vogliono giocare la partita del veto. E questo è un fatto culturale. La nostra storia nazionale non è educata alla formazione democratica tradizionale - perché abbiamo avuto il fascismo e prima abbiamo avuto altre cose - per cui esistono il principio della responsabilità (Max Weber) al quale corrisponde un’etica della responsabilità e alla quale corrisponde un tempo delimitato entro il quale questa responsabilità può essere esercitata. Perché in Francia o negli Stati Uniti o in Inghilterra si può avere la massima responsabilità per un certo periodo di tempo e poi si va a fare altro? E perché invece in Italia nessuno ha questa responsabilità? Perché tutti vogliono avere il potere del veto. E questo potere del veto può durare per quaranta, cinquant’anni. E’ un’idea della democrazia che il Partito democratico deve incarnare. Altrimenti il Partito Democratico non assolverà la sua funzione. Se si presenta sul filo di quello che è successo nel corso di questi anni, non sarà quello che potrebbe essere: la forza che sblocca la democrazia italiana. E guardate, è così che io guardo anche la questione della legge elettorale. Sono d’accordo assolutamente con Linda: infatti, noi faremo una conferenza operaia del Partito Democratico, perché bisogna tornare a occuparsi di quella cosa della quale la politica italiana ha smesso di occuparsi che è la materialità della condizione di quelli che stanno in fabbrica e che vivono e che muoiono nelle fabbriche; perché bisogna occuparsi della questione dei salari, degli stipendi e del carovita; perché bisogna occuparsi della questione della sicurezza; perché bisogna occuparsi del tema dell’ambiente con un linguaggio assolutamente nuovo (faremo a Firenze un grande summit sull’ambiente il 25 gennaio). Quindi sono assolutamente d’accordo, però so benissimo che possiamo fare e dire quel che ci pare sul piano dell’innovazione ma se la macchina non funziona… – e nessuno meglio di Linda sa quanto sia duro poter governare un paese in queste condizioni. Fatemelo dire, perché io sento grandi nostalgie per il sistema in cui siamo stati nel corso di questi anni, ma che cosa c’è di democratico nel fatto che tre senatori che si mettono a parte contano più di milioni di persone che sono andate a votare? Io non ci trovo nulla di democratico. Penso che noi abbiamo bisogno di un sistema elettorale, politico e istituzionale che dia a chi governa la possibilità di proporsi agli italiani su una base coesa. L’ho detto ieri e ho scelto di dirlo sul Foglio perché mi rivolgo a quelle forze che sono dall’altra parte e che per fortuna oggi sono divise e dico per fortuna perché è un risultato della nostra azione. Pensate com’era l’Italia due mesi fa. Due mesi c’era la Casa della Libertà tutta unita, si sosteneva che non si poteva fare il dialogo, si diceva che bisognava andare alle urne e basta. Son passati due mesi e questo scenario è completamente cambiato. Penso che sia stato in ragione della nostra iniziativa, non solo del nostro atto di nascita – perché non basta l’atto di nascita – ma di quello che abbiamo detto. E la cosa che abbiamo detto, e che ho ribadito ieri sul Foglio e che voglio ribadire oggi, è che sarebbe di enorme importanza se le principali forze politiche di questo paese avessero il coraggio di dire una cosa semplice: quale che sia il sistema elettorale, compreso il sistema elettorale previsto dal referendum, le coalizioni che abbiamo conosciuto nel corso di questi anni – (e che, guardate non sono solo un problema in questa legislatura perché abbiamo pochi voti, ma nella scorsa legislatura che avevano un sacco di voti di maggioranza alla Camera sono andati sotto cento volte. E si è potuto fare un grande programma d’innovazione riformista seppure col segno de centrodestra? No, no perché stavano tutti i giorni a navigare, cambiavano un ministro del tesoro ogni tre mesi, un ministro degli esteri ogni quattro mesi, perché è così è la vita politicoistituzionale di questo paese) quale che sia lo scenario nel quale si va a votare, soggettivamente si decide di andare da soli, in modo tale da presentare agli elettori la possibilità di scegliere sulla base di programmi coesi. Oggi, scendendo dall’aereo in un secondo la hostess mi ha detto “guardi, l’unica cosa che vorrei come persona che lavora è stare tranquilla e cioè non avere un paese in cui ogni giorno c’è la sensazione che sta per saltare tutto per aria”; è il punto di vista di una donna che lavora e che, naturalmente, lavorando in Alitalia, ha un motivo in più per essere preoccupata. Ma se voi girate tra la gente, se girate tra le persone in carne ed ossa vi dicono tutte la stessa cosa. Sono stufi della frammentazione politica. Siamo arrivati a 24 partiti. Ne abbiamo 12 al governo, 12 al governo oggi. E se vincesse il centrodestra ne avrebbe altrettanti perché non è solo An, Forza Italia, ci dovete metter il nuovo Psi, il partito repubblicano, il partito dei pensionati, perché poi con questa legge elettorale c’è chi mi ha detto che pensavano di fare la lista di Corona, non stella e corona, la monarchia, di Corona il fotografo con tutto rispetto per i colleghi qui presenti. Perché? Perché il sistema elettorale produce questa frammentazione esasperata, questa coriandolizzazione della vita politica italiana. Sarebbe molto importante se le forze politiche avessero il coraggio di dire e fare questo. Non solo di dirlo ma poi di farlo. Noi da parte nostra siamo convinti della necessità di presentarci da soli davanti agli elettori. E per questo devo considerare una legge elettorale che consente questo senza rinunciare al bipolarismo - perché io avrei paura di una legge elettorale tutta proporzionale che alla fine creasse per paradosso una condizione per la quale per dare un governo al paese bisogna fare delle coalizioni ancora più larghe di quelle che abbiamo adesso. Perché questo rischio è un rischio reale. Vorrei che trovassimo un meccanismo di legge proporzionale che consenta a ciascuno di andare da solo ma che abbia dei forti elementi di riequilibrio, un sistema che non necessariamente deve essere bipartitico ma che può essere bipolare. E che poi consenta agli elettori la scelta dei loro rappresentanti, indichi prima il nome del premier, indichi prima le coalizioni che si vogliono fare. Ma in un contesto di legge che restituisca agli italiani la possibilità di decidere. Io lo ripeto e vi faccio una previsione, perché quello che vi sto dicendo adesso, tra qualche anno, come successe per altre cose compreso il Partito Democratico, tra qualche anno lo diranno tutti: noi avremo bisogno di uscire da questa crisi con un sistema di tipo francese, elezione diretta del Presidente della Repubblica e sistema a doppio turno. Tra qualche anno di questo si renderanno conto tutti. Tutti si renderanno conto che è la risposta istituzionale più moderna alle esigenze di un sistema democratico ma con un principio di responsabilità che funzioni. Allora, io vedo in tutto questo percorso il profilo di un Partito Democratico nuovo, nuovo anche per il sentimento e persino per l’allegria che lo deve attraversare, perché - diciamoci la verità - nei partiti dai quali veniamo, alla fine era diventata una cosa …. Intanto si discuteva quasi sempre di nomi e di persone. Quindi il destino dei singoli era diventata la cosa più importante, quella che muoveva; e, naturalmente per una parte è fisiologico che sia così ma per una parte, poi il resto non può esserlo. Guardando i dati di questa analisi ci sono delle cose molto interessanti. Una cosa che mi ha molto interessato è che quasi il 60% dei delegati ha meno di cinquant’anni e che il 22% ha fino 35 anni . E’ un dato interessante perché già significa uno spostamento generazionale non tradizionale per i partiti dai quali si proviene, però dobbiamo andare ancora molto avanti. Per esempio, noi non vogliamo fare il movimento giovanile del Partito Democratico con la fusione del movimento della Sinistra giovanile con quello dei giovani della Margherita, abbiamo deciso di fare a marzo le primarie dei ragazzi: cioè nelle scuole, davanti alle discoteche, senza le liste, ma con una lista alla quale uno si iscrive, dice “io voglio essere eletto, mi metto in lista”, poi avrà dieci amici suoi che lo voteranno, cinquanta o cento ma si divertiranno, ragazzi di quindici sedici anni, a costruire un’esperienza democratica. Noi dobbiamo fare cose nuove. E se qualcuno storcerà il naso, sappia che, prima cosa, non c’è nessuna intenzione di fare partiti leaderistici, perché è una parola della quale non conosco il significato; i partiti sono organismi collettivi nei quali solo chi ha scarsa intelligenza può pensare di fare tutto da solo. I partiti sono organismi plurali e collettivi nei quali si ascolta ma, naturalmente, vale anche per i partiti ciò che vale per la società italiana: poi alla fine si decide, perché non può scattare dentro un partito il meccanismo che vogliamo respingere dalla società. Però con una capacità di ascolto e con il riconoscimento del fatto che c’è una struttura e una realtà federale che bisogna valorizzare. E, in conclusione, investendo molto sul sapere. Quindi come nella ronde, torno da dove sono partito, per dire che noi avremo bisogno di voi. Queste cose un po’ da Uncle Sam wants you sono un po’ imbarazzanti, però veramente avremo bisogno di voi. Avremo bisogno di aprire porte e finestre e di fare entrare forze nuove, linguaggi nuovi, freschezze, energie che siano libere e che non siano ostaggi delle biografie. Poi, i più intelligenti tra noi cercheranno di avere una biografia che guardano con rispetto ma della quale non sono ostaggi. Però la cosa più bella in qualsiasi comunità umana, e noi possiamo farlo in un partito, è incontrare chi non è uguale a se stesso e costruire insieme un’identità, una cultura, una politica. E, da questo punto di vista, sarà importante quello che noi riusciremo a fare, ma sarà molto importante anche il lavoro di formazione, di discussione e di crescita collettiva che strutture come la tua e come la vostra riescono ad assicurare. Grazie

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Il Partito Democratico per una democrazia capace di decidere
3 maggio 2008

Come no!!!!