Maria Nadotti presenta "Shah in Shah" di Ryszard Kapuscinski
Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18, ottobre 2001 (sito: www.lostraniero.net) riprendiamo il seguente articolo di Maria Nadotti.
Iran 1980. Chiuso in una camera d’albergo a Teheran, Ryszard Kapuscinski, all’epoca inviato dell’agenzia di stampa polacca, cerca di spiegarsi cosa abbia provocato il crollo - all’apparenza repentino - del regime dispotico dell’ultimo monarca persiano e cosa abbia assicurato, proprio in quel momento, il successo del movimento rivoluzionario sciita. Sul suo tavolo ci sono un pugno di fotografie, gli appunti degli ultimi mesi e la trascrizione di una serie di conversazioni svoltesi nei due anni precedenti. Si tratta di provare a rimettere al loro posto le schegge di un discorso sul potere e sulle sue alterne vicende. Ovviamente andando al di la’ delle interpretazioni ufficiali e dei comunicati stampa di regime o dei proclami rivoluzionari. Ovviamente senza accontentarsi di ricostruire la muta catena degli eventi. Shah in Shah (1982), pubblicato ora in Italia da Feltrinelli nella traduzione di Vera Verdiani, nasce cosi’. Dall’accanimento di un autore che ha dalla sua gli strumenti dello storico e del narratore, l’intuito e l’ostinazione del buon "cronista", fiuto e spericolatezza da detective professionale. Il risultato e’ un’agile, luminosa lezione di storia: per ricostruire la caduta dell’ultimo monarca persiano, Reza Pahlavi, e l’ascesa dell’ayatollah Khomeini, Kapuscinski non puo’ esimersi, infatti, da una riflessione piu’ ampia e complessa sulle dinamiche della storia e sui mutamenti fluidi e "arbitrari" che sembrano contraddistinguerla.
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Per l’autore i fatti rischiano di precipitare nel vuoto, di perdersi nell’indecifrabilita’ o nell’indifferenziazione, se chi li racconta, occupato a rincorrere la notizia del giorno, non sa scoprirne e comunicarne il senso. E il senso - legato com’e’ alla capacita’ di chi ne scrive di riconoscere nessi, somiglianze, ripetizioni - non si da’ nell’assoluto presente del singolo evento. Esso va rinvenuto a poco a poco in una catena temporale e spaziale, che coinvolge il passato e l’altrove (cio’ che e’ successo prima, non necessariamente in un solo luogo, non unicamente ai personaggi che oggi occupano la ribalta), e il futuro (il mondo delle previsioni, dei progetti, delle speranze, dei sogni). Storico e giornalista, giornalista perche’ storico, Kapuscinski sa bene che il passaggio di informazione avviene solo se chi scrive sa ricordare, collegare, prevedere, e tuttavia lasciarsi sorprendere e "modestamente" tradurre il proprio stupore in racconto. E se il suo interrogare la realta’ si accompagna a una riflessione costante sul "come" narrarla, tenendo conto del baratro geografico e culturale, che spesso separa cio’ di cui egli/ella scrive dai lettori ai quali la sua scrittura e’ destinata. In Iran, paese di cui non conosce la lingua, il polacco Kapuscinski sa di essere inchiodato alla propria alterita’, condannato a una sorta di spaesamento. Ma proprio la non appartenenza, quel senso di disorientamento e insieme di liberta’ che si produce in noi quando ci spingiamo molto lontano dal "nostro" mondo, possono - se uniti a una schietta passione per gli altri e per le loro storie - trasformarsi in un formidabile strumento di lavoro. Solo lo sguardo dell’osservatore "distante" puo’ infatti appoggiarsi sulle cose con l’acuta obliquita’ che e’ necessaria a vedere senza perdere di vista se stessi.
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"E’ il potere", riflette ad esempio Kapuscinski, "a provocare la rivoluzione". E, aprendo una delle sue tipiche parentesi riflessive cariche di verita’ e di humour, prosegue: "Inconsciamente, beninteso... La scelta del momento in cui cio’ accade e’ il piu’ grande enigma della Storia. Perche’ quel giorno e non un altro? Perche’ e’ un certo avvenimento e non un altro a far precipitare le cose? Dopotutto, in passato il governo si e’ reso responsabile di abusi ben piu’ gravi senza provocare la minima reazione.
’Che cosa ho fatto?’, si chiede il sovrano, sgomento. ’Che cosa gli e’ preso tutt’a un tratto?’. Che cosa ha fatto? Ha abusato della pazienza della gente. Ma dove sta il limite di questa pazienza? Come definirlo? Se anche si tentasse di dare una risposta, essa varierebbe a seconda dei casi. La sola cosa certa e’ che i sovrani che conoscono l’esistenza di tale limite e lo sanno rispettare possono sperare di conservare a lungo il potere. Ma i sovrani di questo tipo non sono molti".
E subito dopo, coniugando il buon senso con un imbattibile spirito d’osservazione, ecco la soluzione del mistero, o almeno di questo specifico mistero: "Come ha fatto lo scia’ a violare tale limite e a condannarsi con le proprie mani? Attraverso un articolo di giornale. Il potere dovrebbe sapere che una negligenza verbale puo’ far crollare il piu’ grande degli imperi. Sembra averne coscienza, sembra vigilante, eppure a un certo punto il suo istinto di conservazione lo tradisce e, fidandosi di se stesso e sopravvalutando le proprie forze, finisce male per aver peccato díarroganza. L’8 gennaio 1978 il giornale di regime "Etelat" pubblica un articolo che attacca Khomeini. All’epoca, Khomeini stava facendo guerra allo scia’ dall’estero, dove viveva in esilio. Perseguitato dal despota, espulso dal paese, Khomeini era l’idolo e la coscienza del popolo. Distruggere il suo mito significava distruggere qualcosa di sacro, mandare in frantumi le speranze degli umiliati e degli offesi. Tali erano precisamente le intenzioni di quell’articolo.
Cosa bisogna scrivere per screditare un avversario? La cosa migliore e’ dimostrare che non e’ uno dei nostri - che e’ uno straniero. A tale fine si crea la categoria della vera famiglia. Noi, voi e io, le autorita’ e la nazione, siamo una vera famiglia. Noi viviamo uniti, tra i nostri. Abbiamo lo stesso tetto sulla testa, ci sediamo alla stessa tavola, sappiamo intenderci, darci una mano tra di noi. Purtroppo, non siamo soli.
Tutt’intorno a noi vivono orde di sconosciuti, di immigrati, di stranieri che vogliono turbare la nostra pace e installarsi in casa nostra. Che cos’e’ uno straniero? Innanzitutto e’ un individuo peggiore di noi - e, al contempo, e’ un individuo pericoloso. Se si accontentasse di essere peggiore e si limitasse a questo! Nient’affatto! Sconvolgera’ le acque, fomentera’ i disordini, distruggera’. Lo straniero e’ in agguato. E’ la causa delle vostre disgrazie. E da dove gli viene il suo potere? Dal fatto che dietro di se’ ha forze strane (straniere). Tali forze possono essere identificate o meno; ma una cosa e’ certa: sono potenti. O meglio sono potenti se le prendiamo sotto gamba. Se, invece, non smettiamo di essere vigilanti e continuiamo a lottare, avremo la meglio. Guardate Khomeini. Ecco uno straniero. Suo nonno veniva dall’India, dunque chiediamoci: quali interessi serve questo nipote di straniero?".
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L’autore e’ partito da una constatazione di ordine generale, paradossale e sensata: "e’ il potere a provocare la rivoluzione". Vale per l’Iran del 1979, come e’ valso per la Francia del 1789 o per la Russia del 1917. E’ una legge storica universale. Solo che va ogni volta dimostrata. E lo storico (o quello storico del presente che dovrebbe essere il giornalista) che voglia riuscire a farlo deve saper individuare il microavvenimento che consuma una volta per tutte la pazienza di un popolo, facendo capovolgere il vaso della storia. Sono l’attenzione ai dettagli, alle minuzie apparentemente insignificanti del quotidiano a fare la differenza: Kapuscinski arriva a individuare nell’articolo di "Etelat" l’elemento scatenante della rivoluzione, perche’ per mesi ha prestato molta attenzione agli umori degli uomini e delle donne della strada e non si e’ mai affidato alle voci del palazzo. Lo individua, perche’ se lo aspetta. E se lo aspetta perche’, se da un lato conosce bene i giochi tutto sommato ripetitivi del potere, dall’altro e’ strutturalmente dalla parte di chi a esso con ogni mezzo e’ pronto a opporsi non appena gliene si presenti l’indiscutibile occasione. "Una nazione schernita da un despota", commenta infatti, facendo anticipatamente luce sui fondamentalismi a venire e invitandoci a guardare al di la’ delle apparenze, "umiliata, ridotta al rango di oggetto, cerca un rifugio, un luogo dove riuscire a rintanarsi, murarsi, essere se stessa...
Ma una nazione intera non puo’ migrare, essa dunque intraprende una migrazione nel tempo invece che nello spazio. Di fronte alle afflizioni che la opprimono e alle minacce del reale, fa ritorno a un passato che le sembra un paradiso perduto. Ritrova la sicurezza in costumi cosi’ vecchi, e di conseguenza cosi’ sacri, che il potere non osa combatterli. Ecco come si spiega, sotto tutte le dittature, la progressiva rinascita di usanze e costumi antichi, di simboli secolari - contro la volonta’ della dittatura, in opposizione ad essa... Piu’ che di desiderio di rianimare l’universo dimenticato degli avi, si potrebbe parlare di ripicca politica".
Fonte: La nonviolenza è in cammino, n. 1042, 3 settembre 2005 - Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
[Dalla bella rivista diretta da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18, ottobre 2001 (sito: www.lostraniero.net) riprendiamo il seguente articolo. Maria Nadotti, giornalista, saggista, traduttrice, consulente editoriale, scrive di teatro, cinema, arte e cultura per molte testate italiane e straniere, ed ha promosso varie attivita’ culturali e di solidarieta’. Tra le opere di Maria Nadotti: Silenzio = morte. Gli Usa nel tempo dell’Aids, Anabasi, 1994; Nata due volte, il Saggiatore, Milano 1995; Cassandra non abita piu’ qui, La Tartaruga, Milano 1996; Sesso & Genere, il Saggiatore, Milano 1996; Scrivere al buio, La Tartaruga, Milano 1998. Con traduzioni, interviste, curatele delle edizioni italiane, ha dato un utilissimo contributo a far conoscere autori ed autrici, opere e tematiche, di fondamentale importanza. Ryszard Kapuscinski e’ un illustre scrittore e giornalista polacco. Riportiamo la motivazione dell’attribuzione del Premio Grinzane Cavour per la Lettura 2003 a Ryszard Kapuscinski: "Grande maestro di giornalismo, Ryszard Kapuscinski, nato a Pinsk nella Polonia orientale nel 1932, ha lavorato come corrispondente estero dell’Agenzia di stampa polacca Pap fino all’inizio degli anni ’80. Viaggiatore instancabile, curioso e partecipe testimone dei destini dei diseredati in Africa e in America Latina, Kapuscinski ha scritto numerosi libri-reportage che sono diventati veri e propri classici del genere, una ’straordinaria mistura di arte e reportage’, come ebbe a dire Salman Rushdie. La sua penna mette a fuoco con estrema lucidita’ fin dagli anni ’60 la complessita’ del continente africano, registrando fenomeni politici e culturali, contraddizioni e tragedie umane, in un’epoca in cui l’Occidente guardava con preoccupazione all’Africa per l’incognita rappresentata da 300 milioni di individui in procinto di entrare nel panorama politico mondiale. Storia e drammatica quotidianita’ si mescolano felicemente nelle sue pagine, in opere come Il Negus (1982), La prima guerra del football e altre guerre di poveri (1990) fino al piu’ recente Ebano (2000, Premio Viareggio-Repaci), raccolta di articoli che riassumono quarant’anni di esperienza come inviato nei paesi africani. La sua e’ l’ Africa dei dannati della terra, vissuta con i poveri delle bidonville, i contadini della savana, i camionisti del Sahara. Kapuscinski esula da ogni forma di colore od esotismo locali: vuole andare alla radice dei fatti, individuare le leggi, vecchie e nuove che li governano. E’ l’ottica che lo guida anche altrove: ad esempio in un testo di grande successo come Shah-in-Shah (1982) che narra un momento cruciale della storia dell’ Iran tra la fine della monarchia sanguinaria di Reza Pahlevi e l’avvento religioso di Khomeini nel 1979. Anche il tramonto e il dissolvimento dell’ Unione sovietica e’ diventato con Imperium (1994), un libro di intensa ed efficace testimonianza. Perche’ gli eventi, grandi o piccoli che siano, rappresentano per Kapuscinski l’occasione per vivisezionare, con il tratto felice e disinvolto dello scrittore, storia, politica e societa’ di un paese. Cittadino del mondo, portavoce delle minoranze, Kapuscinski ha saputo conciliare curiosita’ e responsabilita’ morale, impegno e vivacita’ di scrittura in nome di coloro per i quali e’ data la speranza, perche’, come disse una volta Walter Benjamin, non ne conoscono alcuna". Opere di Ryszard Kapuscinski: in edizione italiana cfr. La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Serra e Riva, poi Feltrinelli; Shah-in-Shah, Feltrinelli; Il Negus, splendori e miserie di un autocrate, Feltrinelli; Imperium, Feltrinelli; Lapidarium, Feltrinelli; Ebano, Feltrinelli. Cfr. anche il libro di interviste e colloqui (a cura di Maria Nadotti), Il cinico non e’ adatto a questo mestiere. Conversazioni sul buon giornalismo, e/o, Roma 2002]
Leggi anche la recensione che abbiamo pubblicato su Bancarella nel 2001.
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