L’agonia, la morte, il funerale; cronaca della morte di un pontefice

La notizia era abbastanza semplice,netta: Giovanni Paolo II è morto. Ma l’occhio dei media ha deciso di non rispettare l’intimità di questo pontefice. Centinaia di ore di diretta hanno ostentato sulla salma di Giovanni Paolo II. L’informazione ha toccato il punto più basso della sua storia recente.
La notizia era abbastanza semplice, netta: Giovanni Paolo II è morto. Questo era quello che si poteva leggere nei dispacci d’agenzia di due sabati fà. L’enfatizzazione dei media, invece, ha superato i record storici dell’ 11 settembre e del maremoto nel sud-est asiatico. Già in questi due eventi i media avevano alzato, pesantemente, il tono della tragedia. Ma, con la morte del Papa si sono spazzati via tutti i più tristi limiti ed ha vinto la logica dell’informazione-intrattenimento. L’evento era di portata storica, non vi è dubbio. I modi per affrontarlo molti: si è scelto il meccanismo che vuole le telecamere sempre sull’evento. Il palinsesto televisivo ha accantonato tutta la sua programmazione per seguire, integralmente, le ultime fasi della vita del Papa.
I media hanno seguito, rigorosamente in diretta: l’agonia, la morte, il funerale. Per una durata complessiva di dodici giorni.
L’agonia del Papa è diventata, nel giro di pochi giorni, l’evento mediatico da seguire per forza, da raccontare minuto per minuto. Prima i vari ricoveri in ospedale, i comunicati stampa dei medici, le dichiarazioni del Vaticano. Poi il ritorno a S.Pietro, le telecamere puntate sulla finestra del Papa. Il calvario, cosi titolava la Rai. Un susseguirsi di telegiornali e cronache che non aspettavano altro che arrivare per prime sulla notizia tanto attesa, la morte del Papa. Una corsa all’ultima indiscrezione, all’ultimo sospiro del pontefice. L’attesa, estenuante, ha come accellerato l’evento.
La morte, sbattuta a gran voce su tutti i Tg: "il pontefice si è spento alle 21.37", una frase, questa, ripetuta in continuazione. Martellante. Un’ossessione ad arrivare sulla notizia che ha dato importanza anche al secondo esatto. La morte in diretta. Nove estenuanti giorni di lutto con televisioni e giornali monotematici. Un lunghissimo processo mediatico di santificazione del pontefice. Speciali, monografie, storie, appelli, e, soprattutto telecamere puntate sul corpo esanime di Wojtila.
Il pellegrinaggio alla Basilica raccontato in tutte le sue sfaccettature, senza pudore, senza la necessaria intimità. I fedeli che raccoglievano l’ultima immagine dell’importante defunto con, le loro handy-cam o con i loro cellulari. Anche loro, i fedeli, con l’occhio virtuale personale hanno voluto racogliere , per l’ultima volta, l’immagine del capo della chiesa. Anche loro con poco rispetto.
Il funerale forse è stato il punto più basso della moderna comunicazione. Non a livello tecnico, anzi, su questo punto si è toccato un livello di coordinamento e qualitativo senza precedenti. Mondovisione e reti unificate. Ma, si è caduti in basso per il contenuto e per i commenti. Era un funerale. Sì, certo, un funerale di portata storica. Ma pur sempre un funerale che aveva bisogno della necessaria discrezione. Invece nulla. Occhio della telecamera puntato sulla macchia nera, quella dei potenti del mondo che con eccezionale ipocrisia si stringevano mani e si scambiavano gesti di cortesia. Tutti vicini a far vedere che anche loro, in fondo, sono uomini umili ed addolorati. Tutti uniti per un giorno e tutti a gestire i propri, personalissimi, interessi il giorno dopo. I media hanno, a nostro avviso, esagerato e non hanno tenuto la misura neppure questa volta. Ansiosi di arrivare sulla notizia e smaniosi si raccontare, si sono trovati tutti ad esagerare e mancare di discrezione.
Il Papa "mediatico", il pontefice più ripreso nella storia della chiesa è morto. Ma quei media che Giovanni Paolo II aveva imparato ad utilizzare alla fine hanno voltato e, definitivamente, le spalle a questo grande comunicatore. Ha vinto nuovamente la logica dell’Auditel, del contrastro tra le reti Tv, della corsa all’ultimo spettatore.
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la copertura mediatica data alla morte del papa dimostra che ha pienamente ragione Travaglio quando scrive che viviamo in un regime. Lo dice uno di quelli che fino a qualche settimana fa pensava che il giornalista esagerasse. Invece no, ha proprio ragione!
Viviamo in un paese radicalmente legato alle radici cristiane. Abbiamo il Vaticano a casa nostra. La nostra repubblica non potrà mai essere sostanzialmente atea. La copertura mediatica vista in occasione della morte del Papa, ma anche in precendenza, è un chiaro segno che la religione nel nostro paese è un potere ancora forte. Un potere lontano dall’essere una sola fede religiosa, è anche un potere politico, economico e fortemente mediatico. La trasmissione e reti unificate( ad eccezione di Italia1) del funerale è solo un’esempio.