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Il mio nome è Katy

Purtroppo l’estate è diventata la stagione delle morti inutili: morti fisiche, morti sociali, morte dei sentimenti più umanitari. Ritroviamo nel nostro cuore la ragione per ribellarci a ciò!

di Erminia Bosnia - venerdì 1 agosto 2014 - 5615 letture

Mi dovevo far forza! Vagavo, ormai vuota dentro, per le strade di una città sconosciuta o, forse, non la riconoscevo. Mi autoconvincevo che la vita continuava, che non mi dovevo abbattere, ma mi mancava tanto Mirko, proprio tanto. Gli piangevano gli occhi mentre mi diceva: “Scusami, ma è meglio per te se ti lascio. Tu non puoi capirmi! Devi prendere la tua strada; ti auguro di conoscere qualcuno migliore di me, Katy. Qualcuno che sappia volerti bene, più di quanto te ne ho voluto io, ma non possiamo continuare a stare insieme. I miei sono retrogradi... non vogliono: devono esser tutti alla loro altezza...” PERDONAMI Katy! Come erano belli quegli occhi pieni di lacrime; verdi come un mare profondo. Ed erano buoni quegli occhi. Ricordo ancora come ci conoscemmo. Io ero nella Villa Comunale e giocavo con una bambina, quando lui mi notò da lontano e mi disse: “Ehi! Ma non hai niente di meglio da fare!?” Che voce dolce e carezzevole. Andai da lui. Ero trascinata in un sogno, non vedevo altri che lui. Era il mio tutto. L’aria che respiravo, il cibo che mangiavo. Ci incontravamo ogni pomeriggio e lui mi viziava, mi portava dolcetti e caramelle; mi regalò un nastro rosso e mi fece un bel fiocco in testa: “Come sei carina! Ti presenterò ai miei genitori”. Ed io vi andai senza protestare. Credevo in lui. Aveva gli occhi buoni... Forse è meglio ora. Sono libera di girare per le strade, di guardare gli altri negli occhi, orgogliosa della mia nuova libertà. Fiera di essere stata amata da Mirko. Ma non potrò mai dimenticare i suoi genitori, quando mi videro. Che vergogna! Che umiliazione! “Ma chi è questa pezzente!” Non sai che non tolleriamo queste cose?” E dopo c’incontravamo di nascosto. Correvo sempre verso casa sua, sperando di poterlo vedere anche per poco; ma un giorno mi disse:” Devo partire, perdonami!”. Che cosa avrei fatto ora? Per chi avrei vissuto? Perchè andavo ancora in quella strada? Tutto mi era caro e familiare... ed ora sono qua, non so nemmeno io come ci sono venuta. Cosa farò: sono stanca di questa vita, di questa gente. Colori, luci, rumori sconosciuti. Tutto mi mette paura. Vorrei scappare lontano. Però porto con me sempre il suo nastro rosso che mi rende così bella e particolare. Eccomi: è come una calamita entrare in parchi verdi, spiare di nascosto i bambini che giocano, le mamme che cullano, i nonni che borbottano. Che monotonia! È tutto così uguale in ogni villa cittadina; tutti fanno sempre le stesse cose: gridano, piangono, scherzano, vivono. Anch’io devo vivere, ma non ce la faccio nemmeno a respirare. Che splendida giornata! Un cielo luminosissimo nel quale vorrei tuffarmi. Che fame che sento! “Ehi tu, scostati!” Un trillo di campanello mi fa sobbalzare. “Aiuto!” -Scherck- Katy si chiude nelle spalle, serra gli occhi ed aspetta il peggio pensando che fosse giunto il suo destino e... “Apri gli occhi. Forza che non ti nemmeno sfiorata. Aprili fifona, prima te ne vai a spasso sognante e poi muori di paura”. Katy apre un occhio e poi l’altro e scioccata si guarda intorno tremante. La bici è in terra, i cigni nuotano tranquilli nel laghetto lì vicino, e il cielo è di un azzurro stupendo. “Mio Dio, che sciocca!” pensa tra sé e sé. Poi vede i suoi occhi caldi e profondi che le sorridono, l’accarezzano, la cullano e le dicono: “Vieni a casa. Sei così malandata! Avrai proprio bisogno di mangiare... Chissà chi ha avuto il coraggio di abbandonare una bella cagnetta come te!... Ti comprerò un altro fiocco... I miei genitori saranno d’accordo... Vieni andiamo via... Ah ti devo scegliere un nome... Uhm, ti chiamerò Katy. Mi piace”.


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