Che fine hanno fatto i bambini soldato?

L’uso di bambini soldato è una questione che negli ultimi anni ha trovato sempre più spazio nei temi e nei dibattiti dell’organizzazione internazionale grazie al lavoro congiunto di associazioni e Unicef: un problema, tuttavia, come mostra l’incremento dei dati, che è ancora lontano dall’essere risolto.
Il numero di governi e gruppi armati che reclutano tra le proprie forze bambini soldato è passato da 40 nel 2006 a 57 nel 2007, distribuiti in 14 scenari di crisi internazionali. Questi, almeno, i dati rilasciati dal report annuale del segretario generale ONU sul tema dei bambini e dei conflitti armati, attorno al quale il 12 febbraio si è trovato a discutere il Consiglio di Sicurezza, in occasione dell’anniversario per il sesto anno dalla firma del Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.
L’uso di bambini soldato è una questione che negli ultimi anni ha trovato sempre più spazio nei temi e nei dibattiti dell’organizzazione internazionale grazie al lavoro congiunto di associazioni e Unicef: un problema, tuttavia, come mostra l’incremento dei dati, che è ancora lontano dall’essere risolto. Tra le 57 forze militari che violano le norme di diritto internazionale vi sono sia gruppi ribelli sia governi legittimi di paesi. Tra questi, ben 14 sono ultra-recidivi, in quanto compaiono in tutti e cinque i dossier stilati dal segretariato delle Nazioni Unite dal 2002. A far parte della lista nera vi sono le FARC (le forze armate rivoluzionarie colombiane); i guerriglieri dell’ELN (l’esercito di liberazione nazionale colombiano); l’LRA ugandese (Lord’s Resistance Army); il fronte hutu rwandese stanziato in Congo (Palipehutu-FDLR); l’SPLA (le forze di liberazione sudanesi, impegnate nel conflitto in Darfur); le tigri Tamil cingalesi; le forze governative di Congo e Myanmar.
Secondo le fonti ONU, l’incremento nasconde una realtà più complessa di quella che potrebbe apparire a prima vista come un fallimento delle misure fin qui prese per arginare e combattere il fenomeno. Da una parte, infatti, è il risultato di più efficaci attività di monitoraggio dei diversi contesti di crisi; dall’altra, è espressione di un deterioramento della situazione nelle aree centro-africane, in particolare Chad e Sudan. In altre parole, il dossier attribuisce una parte di quell’incremento all’acuirsi della tensione nella regione del Fur e all’esplosione delle violenze nello stato confinante con la regione stessa.
La lettura dei dati però non ha convinto le diverse organizzazioni non governative impegnate nella difficile battaglia contro l’uso di bambini nelle forze militari, che ha pesanti ripercussioni sia sul bambino – con un difficile reinserimento nella società – sia sul tessuto sociale. Secondo Human Rights Watch, infatti, a conti fatti si tratta pur sempre di un incremento che sarebbe legato alla mancanza di severe sanzioni verso i trasgressori. Jo Becker, consigliere dell’ong impegnata nella salvaguardia dei diritti umani nel mondo, esorta le Nazioni Unite e le sue agenzie a rendere responsabili quei governi e quei gruppi delle loro violazioni, attraverso misure più restrittive. Misure specifiche che già nel 2004 e nel 2005 il Consiglio di Sicurezza aveva deciso di adottare (come ad esempio l’embargo di armamenti); tuttavia, nel 2006 solo una sanzione è stata imposta dal Consiglio di Sicurezza tra i diversi trasgressori, precisamente contro Martin Koukakou Fofie, l’ex comandante in capo delle forze armate ivoriane, al quale è stata vietata la possibilità di recarsi all’estero e il congelamento dei beni.
Secondo HRW, dunque, il pericolo maggiore è lasciare che le minacce di sanzioni risuonino vuote nelle orecchie di chi approfitta dei bambini come soldati, rischio che fino ad oggi hanno corso anche le promesse di cancellare la fame e l’esclusione dalle aree di povertà endemica. “I comandanti militari” dice Becker “devono sapere che, se proseguono a reclutare i bambini nelle loro fila, affronteranno gravi sanzioni o embarghi militari”.
L’invito a misure più severe e ad una più coerente applicazione non cancella però i risultati, se non soddisfacenti almeno incoraggianti, ottenuti dal Protocollo opzionale dal momento della sua costituzione nel 2002 ad oggi: 119 stati l’hanno ratificato e, dal febbraio dell’anno scorso, ben 66 nazioni hanno sottoscritto gli impegni di Parigi a proteggere i bambini dal reclutamento militare.
Un impegno degli stati sottolineato anche dall’adozione della Dichiarazione presidenziale sui conflitti e i bambini da parte del Consiglio di Sicurezza, salutato dall’Unicef come un fondamentale passo in avanti nella battaglia. Purché, appunto, gli impegni sottoscritti non rimangano sforzi solo sulla carta, altrimenti la nostra inerzia sarebbe molto più che indifferenza, ma degradazione dell’animo.
- Ci sono 2 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Il titolo in se stesso sollecita quasi una risposta che potrebbe sembrare aberrante. Sono morti?
In tal caso per molti il problema sarebbe in fondo risolto: niente più bambini soldato, niente più problema.
In realtà il problema inizia proprio ora, nel senso che il rischio per molti di loro si è concretizzato. Cosa fare per il futuro? Per evitare altre vittime? Qualsiasi vittima, di qualsiasi età, sesso, religione e via dicendo?
Ho un’idea: perchè non la smettiamo con le guerre?