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Morto un detenuto di 27 anni e in fin di vita un sessantenne

Il primo pesava 186 chili e aveva lo sviluppo mentale di un bambino di 3 anni. Era in carcere per aver rubato tre palloni di cuoio. Il secondo, in carcere a Messina, è molto malato e deve scontare una pena di poco più di un anno. Ha senso averli tenuti in carcere?

di Adriano Todaro - venerdì 7 gennaio 2011 - 3027 letture

Fernando Paniccia, 27 anni, disabile grave, è morto – forse per arresto cardiaco – la mattina del 27 dicembre nel carcere di Sanremo.

Un morto come tanti. Nelle carceri, si sa, si muore facilmente. Ma in questa morte c’è qualcosa di diverso, di terribilmente diverso che la rende diversa da tutte le altre tragedie che avvengono nelle carceri nella completa indifferenza dell’opinione pubblica.

In questo periodo, poi, di feste, abbuffate, di falsi e grondanti sentimenti, a chi può importare che sia morto un detenuto? E poi, si domanderanno in molti, chissà cosa avrà combinato per essere in carcere?

Sì, Francesco Paniccia era in carcere ed ora che è morto la società può tirare un respiro di sollievo, si sente più sicura. Del resto i delinquenti è giusto siano messi nella condizione di non nuocere. Ma Francesco era un delinquente? Se cerchiamo sul dizionario questa parola, veniamo a sapere che i delinquenti sono coloro che “hanno la tendenza a commettere delitti”.

La prima volta che Francesco Paniccia è finito in carcere è stato nel 2003. Aveva rubato, con la complicità del fratello e di un amico, tre palloni di cuoio da una palestra. Così descrive il “ladro” Fernando, il quotidiano La Stampa del 31 gennaio 2003: “Diciannove anni, completamente invalido, incapace di muovere le mani, di parlare correttamente e di controllare gli stimoli fisiologici, provvisto di assistenza continua da parte dell’Azienda sanitaria locale”.

In carcere ci finisce altre volte per piccoli reati. Probabilmente non sa neppure perché ruba, considerato che, secondo i medici che l’hanno in cura, la sua capacità di comprensione è pari a quella di un bambino di tre anni. Francesco era alto 1,90 e pesava 186 chili. Come ci racconta La Stampa, non riusciva ad esprimersi, aveva un’invalidità al 100% e non era in grado di controllare gli stimoli fisiologici. Eppure era in carcere. E’ giusto che una persona in quelle condizioni fosse in carcere?

Dal punto di vista “tecnico” sì, perché il disabile non è incompatibile con il carcere e in Italia ce ne sono ben 500 di disabili finiti negli istituti di pena. Poi, però, c’è sempre il fattore umano, il buon senso dei magistrati suffragato dall’articolo 47 dell’Ordinamento penitenziario che ad un certo punto recita che “La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali”.

Qua però si apre un altro problema che è anche burocratico, lungo e farraginoso. Prima c’è la perizia medica eseguita dal medico di fiducia del detenuto, poi altre perizie mediche diciamo così istituzionali e, per ultimo, la decisione del Tribunale di sorveglianza.

Nel caso di Francesco, l’infermità, la disabilità era evidente. In base a quali considerazioni i giudici hanno deciso che Francesco era pericoloso? Invece del carcere non potevano mandarlo in una struttura protetta? Domande che non avranno mai risposte. D’altronde Francesco non era famoso, non aveva nessun potere contrattuale, non aveva conti segreti alle isole Cayman o affondato banche, truffato risparmiatori. Lui aveva rubato 3 palloni. Di cuoio, però!

Dicevamo che Francesco non è un caso anomalo perché sono 500 i disabili nelle carceri (in Lombardia 121, in Sicilia, 34). Pochi giorni fa, la radicale Rita Bernardini ha denunciato il caso di Salvatore Coci, 60 anni, affetto da angina instabile post infartuata, ipertensione arteriosa, bronco pneumopatia cronica ostruttiva, artrosi generalizzata con netta diminuzione della funzionalità dell’apparato locomotore, lombo sciatalgie, ernia e molto altro ancora. Ha già subito diversi interventi chirurgici tra i quali l’impianto di un by-pass.

Dovrebbe stare in ospedale e invece è nel carcere di Messina dove sconta una pena di 1 anno, 1 mese e 25 giorni. Non sappiamo di quale terribile reato si sia macchiato Salvatore Coco per scontare poco più di un anno. Comunque sia, dovrebbe stare in ospedale ed invece sta in una cella assieme ad altre cinque persone. Cosa si aspetta a trasferirlo e curarlo? Forse che muoia?

L’articolo 27 della Costituzione chiarisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. E allora, ci domandiamo, qual è stato il “senso di umanità” per questi due detenuti? La permanenza in carcere di Fernando e Salvatore avrebbe favorito la loro “rieducazione”?

Dall’inizio del 2010, nelle carceri, si sono impiccati 54 detenuti; 6 si sono suicidati inalando gas; 1 è morto dopo essersi tagliato le vene; 1 si è soffocato con un sacchetto di plastica; 3 sono morti avvelenandosi con dei farmaci; 105 sono morti per malattia o “altre cause”.

Francesco detenuto di 186 chili con lo sviluppo mentale di un bambino di 3 anni è morto. Salvatore, se continua a restare in carcere, morirà. Poco male. Due “delinquenti” di meno. Possiamo stare tranquilli e continuare a fare festa.


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