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La Gladio Rossa del PCI: quando nella Sicilia interna si preparava la rivoluzione

Nel dopoguerra, in Sicilia, gli effetti del mondo diviso e della guerra fredda determinarono il noto e nefasto clima di tensione che provocò scontri politici e ‘militari’

di silvestro livolsi - giovedì 26 ottobre 2006 - 5558 letture

Nel dopoguerra, in Sicilia, gli effetti del mondo diviso e della guerra fredda determinarono il noto e nefasto clima di tensione che provocò scontri politici e ‘militari’: dagli assalti dell’Evis alla strage di Portella delle Ginestre si delinea una linea di sangue e di mistero che aggroviglia l’isola in una fitta trama di connessioni tra fatti e personaggi siciliani con realtà, interessi e pressioni nazionali e internazionali.

Molti nodi dell’ingarbugliata storia sono stati sciolti: chiare risultano le mire americane al controllo del mediterraneo attraverso l’esercizio di una loro ‘sovranità’ in Sicilia, che si sono concretizzate, secondo molti storici, sin dallo sbarco nel ’43 e poi per tutti gli anni ‘50, quando venne accreditata una leadearship siciliana di fede atlantica, attraverso l’appoggio, ideologico e finanziario, che gli americani diedero ad uomini e partiti a loro fedeli.

Non di secondo piano o di minore interesse l’attenzione dell’area ideologica comunista verso i destini isolani: non meno pressante la voglia di determinarne il corso e la natura, anche in difesa degli interessi del blocco sovietico. A dar fede al ponderoso studio di Gianni Donno, La gladio rossa del Pci. 1945-1967 (Rubbettino Editore), molti dirigenti e militanti del Partito Comunista Italiano avrebbero pensato, sino al ’48, ad una realistica possibilità di insurrezione comunista in Italia, per attuare la quale sarebbe esistita una struttura paramilitare, la Gladio Rossa. Questa avrebbe operato in tutta Italia con proprie basi e nuclei di attivisti e fiancheggiatori.

Una parte consistente di tale organizzazione si formò in Sicilia e a tal proposito Donno mette in risalto il convincimento dei militanti della Gladio Rossa, che proprio nell’isola ritenevano fosse più facile dar vita ad una rivolta popolare armata. Raccogliendo, nel suo volume, centinaia di documenti, traendoli dagli archivi del Ministero degli Interni, dalle carte riservate di Prefetture e Questure d’Italia, Donno documenta l’attività della gladio rossa del Pci in Sicilia e mostra come dirigenti e teorici del movimento comunista siciliano credessero all’imminente eventualità di un conflitto armato per la conquista del potere.

Scrive infatti Donno: ‘la Sicilia del dopoguerra viveva l’atmosfera separatistica, con una forte contrapposizione al governo centrale, sulla quale la propaganda comunista si inseriva strumentalmente. La Sicilia ricoprirà un ruolo centrale nei piani da parte del Pci, per la sua posizione geografica che la rendeva (così come avvenuto nel 1943) idoneo punto d’approdo per le armate americane, impegnate da un possibile conflitto tra i due blocchi’. Non solo, ma in Sicilia, secondo lo studioso, documenti di eccezionale rilievo dimostrerebbero che s’era fatta avanti l’ipotesi di un Piano insurrezionalistico ‘regionale’, al quale buona parte del Partito, nella sua veste pubblica e legale, aderisce e per il quale ci si dà operativamente da fare.

Un documento della Prefettura di Messina, del 1949, indicherebbe che ‘sarebbe stata tenuta in San Filippo d’Agira (Enna), una riunione segreta a cui sarebbero intervenuti esponenti del partito comunista siciliano che in seno ad esso non rivestirebbero apparentemente nessuna carica. Detta riunione sarebbe stata presieduta dal noto Paolo Robotti, della segreteria regionale del Partito, facente parte del comitato dell’ufficio politico della direzione centrale.[…] Robotti, che alla riunione si sarebbe presentato in divisa di capo della Resistenza, ma senza distintivi e fregi, avrebbe fatto presente ai convenuti che a fianco ad un piano insurrezionale del partito comunista in Italia, ne esisterebbe un altro di resistenza Siciliano, che dovrebbe essere attuato non appena la situazione nei Balcani (specie in Albania) precipiterebbe nel senso voluto. In tal caso, a dire del Robotti, l’azione del partito in Sicilia si presenterebbe dura per il fatto che gli anglo-americani con certezza occuperebbero l’Isola per cui ai comunisti non rimarrebbe altra via che quella della resistenza’. Come centri, organizzativi e d’azione, secondo i diversi documenti raccolti nel libro, per la rivolta e resistenza comunista vengono ripetutamente indicati le zone granarie, vinicole e olearie, dove la riforma agraria è particolarmente sentita e dove il territorio è particolarmente adatto, perché interno e impervio, all’addestramento e alla pianificazione della guerriglia: in particolare, l’area tra San Fratello e Tortorici nel messinese e a quanto pare l’ennese, visto che è proprio il Prefetto di Enna a informare il Ministero dell’Interno che la federazione provinciale del Pci è stata invitata a darsi una struttura clandestina di azione rivoluzionaria.

Da qui, da questi dati, che sono di interesse generale e servono ad ampliare l’informazione su anni cruciali della storia, non solo siciliana, emerge anche una Sicilia interna, la provincia ennese principalmente, attraversata da avvenimenti dei quali non vi è memoria, che andrebbero pienamente indagati, perché in qualche modo hanno coinvolto anche la realtà locale e potrebbero rivelare un passato storico più complesso, che ha caratterizzato le vicende di piccole comunità apparentemente lontane dai grandi eventi.


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