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Goor: un film documentario per l’integrazione

Storia del progetto per l’integrazione della Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania.

di Serena Maiorana - mercoledì 15 settembre 2010 - 3989 letture

Ormai da diversi anni il laboratorio multimediale la.mu.s.a è il fiore all’occhiello della Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania: l’acronimo sta per “laboratorio multimediale di sperimentazione audiovisiva”, un laboratorio permanente interno alla facoltà che permette agli studenti più competenti e motivati di lavorare davvero con le immagini e gli immaginari, misurandosi sul piano della pratica sperimentale e non più della mera teoria.

Goor invece è il fiore all’occhiello di la.mu.s.a, un docu-film che in meno di un anno ha fatto il giro dei festival e dei cinema di mezza Europa ( Francia e Spagna ad esempio, ma anche Marzamemi e Roma) nato da un più ampio progetto sull’immigrazione e per l’integrazione.

Ne abbiamo parlato con il prof. Alessandro De Filippo, che oltre ad essere il responsabile di la.mu.s.a è anche regista di Goor . Lui ci ha raccontato, con l’enorme entusiasmo che contraddistingue il gruppo di la.mu.s.a e l’orgoglio che Goor merita, la storia e le caratteristiche di questo progetto di successo.

Abbiamo così scoperto che la sua realizzazione è stata possibile grazie ai fondi F.E.I. (fondi europei per l’integrazione), che la.mu.s.a si è saputa aggiudicare grazie ad un progetto che va molto più in la della semplice realizzazione di un film-documentario. A Goor hanno infatti partecipato 25 stranieri di 8 nazionalità diverse (senegalese, albanese, colombiana, marocchina, cinese, egiziana, keniana e vietnamita) che insieme a 10 studenti della facoltà hanno realizzato il docu-film, dopo aver seguito un laboratorio pratico di linguaggio cinematografico. Gli stranieri hanno partecipato a tutte le fasi di realizzazione del progetto e alcuni di loro hanno anche stretto amicizia con gli studenti della facoltà: l’integrazione dunque non solo come argomento ma come obiettivo. Per di più raggiunto.

Un progetto di successo dunque, anche se portato avanti in mezzo a non poche difficoltà. Le prime certamente di carattere burocratico dato che “i vincoli per ottenere i finanziamenti – spiega De Filippo – erano molti. Gli stranieri partecipanti, ad esempio, dovevano essere residenti in Italia da massimo 5 anni e dovevano avere tutti un lavoro e il permesso di soggiorno. Non è stato affatto facile rispettare obblighi come questo, ma per fortuna abbiamo potuto contare sulla preziosa collaborazione della Casa dei Popoli di Catania, che ormai da 15 anni si occupa di integrazione sul territorio”.

Ma i problemi più grossi sono stati quelli relativi al linguaggio, o meglio alla modalità di narrazione perché “l’immagine dell’immigrato che normalmente ci offrono i media finisce sempre per essere stereotipata e quindi inefficace. Le derive principali sono due: o il barcone o il racconto buonista, entrambe forme né veritiere né efficaci. Chi fa comunicazione ha il dovere di raccontare con parole semplici non di semplificare, e tra le due cose c’è una bella differenza. La banalità è sempre il rischio più grande”.

L’illuminazione è arrivata con le parole di Alberto Grifi, regista sperimentale italiano scomparso nel 2007 cui Goor è dedicato: “non trovi la giusta forma del racconto perché non hai il diritto di raccontarlo”. Le storie di immigrazione appartengono agli immigrati, ecco perché raccontarle dall’esterno appare tanto complicato. Da qui l’idea di raccontare con loro la loro storia, ma non solo: “abbiamo fatto la scelta calviniana di spostare l’attenzione sulle difficoltà del racconto”. Così è nato Goor, che si apre con un’immagine di finzione di un barcone carico di disperati, per poi passare la parola direttamente a loro, che invece in Italia sono arrivati legalmente e in aereo, come capita spesso alla maggior parte degli stranieri, che poi però diventano illegali nel Bel Paese. “Il tentativo – continua De Filippo – è stato quello di saturare un luogo comune fino a farlo esplodere, dando allo spettatore ciò che già sa grazie ai racconti univoci e forvianti di Tg tutti identici tra loro, per poi toglierglielo. Non abbiamo solo voluto raccontare una storia ma mettere in discussione un modello che piuttosto che fare informazione crea luoghi comuni e fenomeni mediatici vuoti di significato”. Sarà per tutte queste ragioni che alla fine Goor si è aggiudicato il premio come miglior progetto fondi F.E.I. dell’anno.

Per ulteriori informazioni:

http://goor.lamusa.net


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