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Fake news. Una bufala, un raggiro... un atto di fede?

Una intervista a Stefano Pogliani, "nativo digitale" che analizza il fenomeno con pertinenza data la sua formazione professionale in psicologia della comunicazione.

di Silvia Zambrini - mercoledì 29 dicembre 2021 - 5705 letture

Ne parliamo con Stefano Pogliani "nativo digitale" che analizza il fenomeno con pertinenza data la sua formazione professionale in psicologia della comunicazione, partendo dalle motivazioni che lo hanno spinto ad approfondire questo argomento.

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Stefano Pogliani

«Tre anni fa, quando stavo valutando quale argomento scegliere per la mia tesi triennale, mi sono confrontato con il mio professore di “Psicologia della Comunicazione”. È stato lui a farmi riflettere su quanto stesse diventando dirompente il fenomeno delle fake news (era il 2018) in un mondo dove basta un “tweet” per raggiungere un numero (potenzialmente) imponderabile di destinatari. È interessante studiare l’argomento da un punto di vista psicologico, perché permette di spiegare in modo più approfondito la pericolosità di una falsa informazione: quando questa si inserisce nelle nostre strutture di conoscenza, è difficile che poi venga allontanata: screditarla significherebbe compromettere le “lenti” con cui leggiamo la realtà, e quindi la percezione di sé e della propria auto efficacia».

La falsa informazione non è certo una novità. Sono però cambiate la velocità e ampiezza di raggio con cui si diffondono notizie incomplete, manipolate, col lettore che fruisce di innumerevoli contenuti e al tempo stesso ne offre di nuovi. La rete, in assenza di filtri, specie in contesti come quello che stiamo vivendo, favorisce la formazione di nuove comunità virtuali in cui, senso di appartenenza e condizionamento reciproco, sono alla base. Quanto e come può pesare la falsa notizia come quella di una nuova ondata di contagio in arrivo?

«Sicuramente non passerebbe inosservata. Il problema è che non tutti hanno il tempo, la voglia o le risorse di controllarne la veridicità. Questo succede soprattutto per notizie emotivamente impattanti che attivano nelle persone il circuito della paura, che le paralizza e annebbia la loro capacità di discernere con lucidità il vero dal falso. Inutile dire come il Covid abbia stravolto le nostre esistenze e abbattuto le nostre certezze. Abbiamo vissuto un periodo di grande paura, seguito dalla rabbia di molti per la limitata libertà. Questo di certo spinge verso pensieri e comportamenti istintivi, dove la riflessione e la prudenza di verificare le fonti non trovano molto spazio. Qui l’attitudine a credere alle prime informazioni che spieghino qualcosa per noi incomprensibile (come una pandemia mondiale) è forte. Soprattutto nei casi in cui si trova un capro espiatorio (es. lo Stato, le multinazionali farmaceutiche, ecc...) da incolpare e verso il quale canalizzare la rabbia per sentirsi meglio».

Il dibattito tra chi sostiene l’importanza del vaccino anti Covid e chi è contrario è particolarmente vivace. La risonanza di notizie su possibili danni che il vaccino potrebbe causare a posteriori ha il suo peso.

«C’è una parte della popolazione che non crede al vaccino perché vuole credere alle false notizie. Si crea e si consolida un’idea coerente sul rifiuto di una narrazione che si convince essere falsa, creata ad hoc; paradossalmente si propende a dare fiducia ad altrettante informazioni realmente fittizie».

Ciò induce a riflettere su certi effetti a catena a seguito del fenomeno. I membri del neo gruppo a sostegno di opinioni controtendenti si sentono vincolati ad esso nonostante possibili dubbi e perplessità. Per capire questa dipendenza da opinioni condivise diventa necessario studiare il fenomeno dal punto di vista psicologico oltre che formale.

«E’ facile che, se una notizia sembra plausibile, la gente non senta la necessità di confermarne l’esattezza o la completezza. Quando poi l’informazione si rivela palesemente falsa è “cognitivamente faticoso” riconsiderare le proprie posizioni, soprattutto a livello intimo e profondo».

La possibilità di esprimersi liberamente sul web può essere positiva ai fini di un’informazione più trasparente?

«Con ottimismo dico di sì: abbiamo capito che la rete e soprattutto i social non sono solo contenitori di foto di gattini e frasi motivazionali, ma importanti canali di comunicazione e relazione, anche a livello istituzionale. Il passo importante che si sta compiendo è discernere con attenzione a quali “creators” dare credibilità per poter rimanere aggiornati e connessi con gli accadimenti nel mondo, sfruttando i vantaggi dei social: velocità e immediatezza. Penso soprattutto all’ambito giornalistico…».

Genericamente viene da associare la fake news ad argomenti scandalistici o satirici, trascurandone gli aspetti più nascosti, svianti. Ci si chiede come potrà evolvere l’attuale fenomeno, se aumenteranno movimenti di opinione forti delle proprie convinzioni acquisite o se si imparerà a selezionare l’informazione ed approfondirne le fonti.

«Mi piace pensare alla seconda ipotesi: aumenterà la sensibilità verso quello che si legge online e si comprenderà che una cattiva informazione non è solo un gossip, ma spesso una meschina azione strategica con importanti effetti psicologici e soprattutto sociali. Realisticamente è però vero che le notizie sono estremizzate dai gruppi sociali che si fanno da portavoce: si verificano dei processi di polarizzazione verso precise opinioni (e spesso precisi obiettivi), la cui solidità viene fortificata proprio dal fatto che sono condivise da una comunità».

La forza di una comunità virtuale, coesa all’interno, idonea a coinvolgere il popolo offline, è insita del suo essere stata creata sulla base di obbiettivi comuni, rilevati attraverso la rete; dai quali possono dipendere la particolare candidatura di un sindaco così come lo sviluppo di imprese e ruoli professionali nati attraverso relazioni facilitate dal web, ora legalmente riconosciuti come nel caso di cuochi a domicilio, affittacamere, tassisti privati e altre professioni che stanno trasformando il mondo del lavoro.

«Sicuramente aumenteranno professioni, settori, mercati e target di riferimento sulla base dei nuovi bisogni, nuovi stili di vita, nuove priorità».

Da questo incontro emerge un fatto nuovo rispetto a quando leggende metropolitane e cronache farlocche diventavano storie correnti. Ora, attraverso una comunicazione digitalizzata, sempre più dominante e per molti aspetti illusoria, infinite informazioni di dubbia fondatezza, ma apparentemente plausibili, arrivano ad assumere una loro funzionalità: la scelta di appartenere a una comunità di pensiero implica un atto di fede verso sé stessi, da difendere anche, e soprattutto, quando i fatti smentiscono le ragioni.

«Le fake news, come già dicevo, aiutano a costruire uno scenario narrativo che è uno degli strumenti che le persone (forse soprattutto quelle giovani) utilizzano per creare una determinata rappresentazione del mondo, ma soprattutto, una precisa visione di sé nel mondo. Questo ritengo possa impattare significativamente su un equilibrio psichico, già messo a dura prova dal periodo difficile e da un’epoca, quella dei social e dell’iperconnessione, dove i confronti sociali sono più feroci che mai».


Questo articolo è pubblicato anche su Fana.one



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