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Transizione ecologica: chi paga?

Investire nella transizione energetica riguarda tutti: ha ragione chi guida i movimenti green nel pretendere di passare dalle parole ai fatti.

di Silvia Zambrini - mercoledì 3 aprile 2024 - 489 letture

Il risparmio energetico é un bene di “pubblica utilità” perché riduce l’inquinamento ambientale, la dipendenza dall’estero dell’energia, i costi di gestione degli edifici. (Corte di Cassazione – Ordinanza 26 novembre 2020, n. 27035)


​ Un mondo più pulito tutti lo vorrebbero, anche quelli che fanno un uso smodato di automobili, impianti di riscaldamento, condizionamento ecc. La transizione ecologica degli edifici è strategica perché questi concorrono alle emissioni nocive per circa il 45% del totale. Ma è anche molto costosa. É infatti stata stimata la spesa di 500 miliardi l’anno per passare all’utilizzo di energie rinnovabili. E ci vorranno vent’anni.

La transizione ecologica, di cui si parla come fatto nuovo, in realtà è già in corso da tempo: gli edifici costruiti dopo il 2006 sono obbligatoriamente NZEB, ovvero devono essere in classe energetica A++. Ma la maggior parte in Italia rimane in classe F/G con un consumo di energie da 10 a 30 volte maggiore rispetto a un edificio nuovo. Completare questo processo senza alcun intervento dello Stato imporrerebbe ai singoli un costo insostenibile: per chi ha più di cinquant’anni i tempi di ammortamento non compenserebbero il sacrificio nonostante la riduzione delle spese di riscaldamento.

L’educazione al risparmio energetico attraverso comportamenti più consapevoli non è sufficiente specie in regioni come la Lombardia (densità di popolazione, inverni rigidi ecc.). Da soli si può usare di meno la macchina, contenere i consumi di gas ed elettricità ma non è questo che fa la differenza: tutti hanno bisogno di una casa dove abitare, di scuole per i figli, ospedali in caso di necessità. Per mangiare occorre che i campi vengano coltivati. La transizione ecologica impone ai coltivatori l’utilizzo di tecniche e materiali ecosostenibili. Ed ecco che i trattori scendono in strada per protestare contro un adeguamento per loro troppo oneroso: un fatto di cui si è parlato relativamente poco, se non in termini di disagio per la cittadinanza.

​Un grosso investimento pubblico, sullo stile del piano Marshall che ha consentito di ricostruire velocemente l’Europa uscita distrutta dalla guerra, sarebbe a questo punto l’unica via: in un tempo a medio/lungo termine. Senza che le regole vengano cambiate ogni 6 mesi. Una possibilità che, a livello di sgravio fiscale, e incentivi di vario tipo, già c’è stata attraverso super bonus 100%, ma che ha anche lasciato dubbi e scontentezza. Il legislatore non aveva previsto un’altissima domanda da soddisfare entro scadenze di 1/ 2 anni quando invece i grandi cambiamenti richiedono tempi lunghi: per permettere alle industrie di costruzioni di fare ricerca, di svilupparsi aumentando la capacità produttiva, razionalizzando le procedure, migliorando i prodotti. È mancato il tempo per questo continuo divenire indotto dalla libera concorrenza di mercato. Confidare in un piano di sviluppo pubblico per rendere gli edifici meno inquinanti può sembrare un non senso in un momento in cui i fondi del PNR vengono impegnati in progetti spesso inutili in mancanza di un programma omogeneo come ridurre le emissioni nocive su tutto il territorio, da potersi realizzare nei tempi necessari.

​Investire nella transizione energetica riguarda tutti: ha ragione chi guida i movimenti green nel pretendere di passare dalle parole ai fatti. Le Direttive a livello europeo in tal senso non mancano ma occorre chiarire chi paga: se le famiglie e le imprese (e già si è visto che non è sostenibile). Oppure con un’emissione di bond europei con scadenza lunghissima e tassi agevolati come possibilità di finanziamento centralizzato. Sarebbe l’occasione per l’Europa di sviluppare un progetto comunitario duraturo e ambizioso. Che può rispondere alle esigenze ambientali del pianeta e della relativa economia.


Questo articolo è diffuso anche da Fana.one.


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