segnali dalle città invisibili
  Giro98 Movimento forum sociale europeo
Riviste: GRANELLO DI SABBIA (n°68)

Bollettino elettronico settimanale di ATTAC
Lunedì, 14-10-2002
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Indice degli argomenti

Verso il Forum sociale Europeo: diritti in movimento!
Sabato 19 ottobre a Firenze con ATTAC verso il Fse e per una campagna
europea contro le privatizzazioni dei beni pubblici e comuni

1 - Ciò che non costa niente non vale niente!"
di Alessandro Pellizzari (ATTAC Svizzera)
Da circa dieci anni è andato sviluppandosi il "movimento" del New Public
Management (NPM, nuova gestione pubblica). Il punto in comune di queste
"riforme", applicate tanto alle scuole quanto agli ospedali, ai servizi
sociali e all'amministrazione pubblica, sta nel fatto di essere ricalcate
sul modello organizzativo delle holding private e di trasferire nel settore
pubblico le nuove tecniche di gestione d'impresa. (.) Traduzione di Claudio
Carello

2 - La privatizzazione: una misura Made in Perù?
di Raúl Luna Rodriguez
Un terzo della popolazione peruviana si è espressa apertamente contro le
privatizzazioni. Manifestazioni di protesta si sono sviluppate in tutto il
sud e più recentemente nelle regioni di Junín, Huancavelica, Piura e Talara.
I sondaggi mostrano un rifiuto, da parte della popolazione, del 70%. I
funzionari del governo hanno segnalato la scarsa informazione sui vantaggi
di questo nuovo processo di privatizzazione. (.) Traduzione a cura di Silvia
Galasso.

3 - A chi appartiene l'acqua? A Suez, a RWE, a voi o a me?
di Mort Rosenblum (WaterIndustry)
In un mondo dove l'acqua fresca diventa sempre più rara, prende piede un
nuovo dibattito: le aziende private sono libere di estrarre il petrolio, l'
oro nero, ma che ne è della risorsa, il cui valore è infinitamente più
grande, l'oro blu? (.) Traduzione a cura di di Simone Bocchi

4 - Algeria. No alla miseria!
A cura di Adel Abderreza e Chouicha Kaddour (sindacalisti del CNES)
L'anno 2002 si annuncia un anno pieno d'incertezze sia sul piano politico
che economico. L'opera distruttrice della globalizzazione liberale continua
ma su di uno sfondo di recessione economica, in quanto la crescita
dell'economia mondiale marca il passo con il suo bagaglio di disoccupazione,
di precarietà e di violenza sociale. (.) Traduzione a cura di Lydia bellik

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Verso il Forum sociale Europeo: diritti in movimento!
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Sabato 19 ottobre,
Casa del Popolo 25 aprile,
via Bronzino 118, FIRENZE

Ore 10.30-13
Presentazione del Forum sociale Europeo e di ATTAC al Fse
Intervengono: Vittorio Agnoletto, Salvatore Cannavò e Marco Bersani

Ore 14.30-18.30
Diritti in movimento: le privatizzazioni in Europa come resistere, cosa
proporre
Intervengono: Alexandra Strickner (ATTAC Austria), Alessandro Pellizzari
(ATTAC Svizzera), Carlo Iannello (giurista), Lorenza Zamboni (ATTACQUA),
Cinzia Arruzza (ATTAC Roma)

Coordina ATTAC Firenze.

Domenica 20 ottobre
Casa del Popolo 25 aprile,
via Bronzino 118, FIRENZE

Conferenza nazionale dei Comitati locali ATTAC

Ore 9.30 - 13
Presentazione del percorso di consultazione verso l'Assemblea nazionale 2003
(Severo Lutrario); Bilancio delle attività del Consiglio Nazionale (Fiorino
Iantorno); Proposta di un metodo di raccolta e di discussione per la
formulazione delle candidature per il Consiglio Nazionale e raccolta delle
candidature al C.N da parte dei comitati locali

Ore 14.00 - 18.00
Discussione sulla lista di candidature.


Informazioni logistiche per la sistemazione notturna:
- Ostello Santa Monaca, in Via Santa Monaca, n°6 a Firenze, tel. 055.280185,
055.2396704, 055.268338
- Albergo Azzi, Via Faenza, n°56, Firenze (vicino alla stazione di Santa
Maria Novella), numero di tel e fax: 055.213806

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1 - Ciò che non costa niente non vale niente!"
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di Alessandro Pellizzari (ATTAC Svizzera)

La "modernizzazione" del sistema di formazione nel cantone di Zurigo

Come tutto l'insieme dei servizi pubblici, il sistema dell'insegnamento è
oggetto di profonde trasformazioni. Per "modernizzarlo", un numero crescente
di governi si ispira a tecniche di gestione prese a prestito dall'economia
privata allo scopo, come si può leggere nei rapporti annuali dell'OCSE, di
"ripensare le ragioni che giustificano l'intervento statale e rivedere
l'efficacia delle istituzioni in rapporto ai costi". Appoggiandosi
contemporaneamente all'argomento "dell'indebitamento statale lordo" e degli
"squilibri di budget" cosi come alle nuove "abitudini" dei "consumatori", i
governi "devono impegnarsi a fare meglio utilizzando meno risorse, e
soprattutto agendo diversamente".
E' in questo contesto che da circa dieci anni è andato sviluppandosi il
"movimento" del New Public Management (NPM, nuova gestione pubblica). Il
punto in comune di queste "riforme", applicate tanto alle scuole quanto agli
ospedali, ai servizi sociali e all'amministrazione pubblica, sta nel fatto
di essere ricalcate sul modello organizzativo delle holding private e di
trasferire nel settore pubblico le nuove tecniche di gestione d'impresa come
il total quality management o il program controlling. In Svizzera il cantone
che più ha portato avanti questa logica è quello di Zurigo: il programma di
riforme "wif!", annunciato nel '96, prevede che l'amministrazione del
cantone più importante a livello economico e politico della Confederazione
venga addirittura trasformata "in una moderna impresa di servizi", per usare
l'espressione dell'UDC Hans Hoffman, ex presidente del Consiglio di Stato e
attuale Consigliere di Stato.

La scuola al tempo del New Public Management

Il rullo compressore dell'NPM non ha risparmiato la scuola zurighese, per
ovvie ragioni: il capo del dipartimento dell'istruzione pubblica è
nientepopodimeno che Ernst Buschor (PDC), ex docente di amministrazione
pubblica all'Università di San Gallo e instancabile missionario dell'NPM a
livello nazionale e internazionale. Dopo aver "rivoluzionato" il sistema
sanitario del cantone, a partire dal '95 si è impegnato a mettere in atto la
"riforma del secolo" (Buschor), insieme di una trentina di progetti su tutti
i livelli, dagli asili infantili all'università; con questa riforma Buschor
ha promesso di "far scendere la scuola zurighese dal suo gran cavallo
pedagogico per trasformarla in un'impresa di servizi" (di nuovo!) entro il
2012. L'ultima tappa è la ridefinizione della scuola primaria elementare,
presentata al pubblico quest'estate. Eppure la Neue Zürcher Zeitung ha
recentemente raffreddato il suo entusiasmo iniziale per i progetti del
professore, dopo aver fatto un primo bilancio dell'NPM. Le conseguenze
finanziarie nemmeno si avvicinerebbero alle aspettative: in sostanza non
sarebbe cambiato nulla nel funzionamento del settore pubblico, compreso
l'insegnamento, se si esclude la grande facilità con la quale i funzionari
di Zurigo parlano ora di "centralità del cliente" o di "controllo qualità".
Molto rumore per nulla? Evidentemente no. Bisogna ricordare che l'NPM è
sopraggiunto nel contesto di una radicale trasformazione del settore
pubblico, una specie di dimostrazione "scientifica" del "meno Stato" portata
avanti da un'ideologia segnata dalla controriforma neoconservatrice. Il
ruolo del servizio pubblico oggi arretra su tutti i fronti per lasciare
posto ad una ridefinizione dei suoi compiti in termini di "redditività
economica" che spinge a privilegiare la domanda solvibile e la clientela
accessibile al minor costo: l'individuo, portatore di un insieme di diritti
acquisiti grazie alle lotte di forti movimenti sociali, diventa un
compratore individualizzato di beni e servizi su diversi mercati, in
funzione del suo potere d'acquisto.
Questa ridefinizione del settore pubblico si trova oggi al cuore delle
strategie capitaliste per aumentare la redditività dei capitali. Non
dimentichiamoci che uno dei settori maggiormente presi di mira dall'AGCS
(Accordo Generale sul Commercio dei Servizi), ora in fase di rinegoziato
presso l'OMC, è proprio l'istruzione, che si sta rivelando uno dei rami più
redditizi: viene valutato come un mercato annuale da più di 2.000 miliardi
di dollari. Gli investitori si interessano principalmente ad alcuni settori
dell'insegnamento superiore e della formazione professionale continua, a
condizione che venga assicurata innanzitutto un'elevata redditività
finanziaria. In questo ambito l'NPM permette di razionalizzare a piacimento
settori poco suscettibili allo schema produttività-redditività (per es. la
formazione primaria), cioè di ridurli a una sorta di "servizio pubblico
minimo per l'inserimento" che permette di "mirare l'utente carente"
aumentando brutalmente la loro produttività, calcolata in maniera primitiva
rapportando il numero degli studenti all'organico delle scuole.

Sottofinanziamento sistematico del sistema di formazione

Il cantone di Zurigo è un ottimo esempio di come le nuove tecniche di
gestione possano portare ad un cambiamento radicale di una politica, in
questo caso della formazione. A partire dai primi anni '80 le organizzazioni
patronali e i partiti di destra zurighesi hanno condotto una potente
offensiva destinata a limitare le entrate cantonali. Questa offensiva è
stata orchestrata segnatamente dal Radicale Eric Honegger, che dopo aver
lasciato la politica cantonale ha miseramente fallito come presidente della
Swissair. Sotto la sua direzione la pressione fiscale è stata ridotta a più
riprese, negli anni '80, a beneficio innanzitutto degli strati più agiati e
ricchi, scavando nelle finanze pubbliche un buco della bellezza di 22
miliardi di franchi tra l'83 e il '99!
Il risultato globale di questa politica, per gli utenti e i dipendenti del
servizio pubblico, non si è fatto attendere. Da un lato, i servizi cantonali
sono diventati nettamente più cari, poichè la mancanza di risorse fiscali è
stata in parte colmata aumentando le più disparate tariffe (tasse
d'iscrizione ecc.). Dall'altro, il governo e il Gran consiglio di Zurigo
hanno dato il via ad una politica di restrizione delle spese molto rigorosa,
col pretesto di ristabilire l'equilibrio di bilancio. Sono stati messi in
atto addirittura sei piani d'austerità uno dopo l'altro, che si sono
letteralmente abbattuti sui lavoratori dipendenti. A titolo esplicativo
citiamo solamente che tra il '90 e il '98 le spese rivolte dal cantone ai
suoi dipendenti sono diminuite del 4%, e gli impiegati statali che
guadagnavano 5.700 franchi al mese hanno perso il 7% del loro potere
d'acquisto nel solo periodo '92-'96.
Ovviamente non tutti i settori sono stati colpiti allo stesso modo:
un'analisi più dettagliata dei conti dello Stato zurighese non lascia dubbi
riguardo alle priorità del suo governo. I programmi di austerità hanno
mirato prima di tutto alla sanità e alla formazione: se per quest'ultima il
cantone spendeva nel 1985 il 25% circa del suo budget, nel 1997 questa
percentuale è scesa al 22%, subendo così una perdita relativa del 9%.
Buschor, appena assunta la posizione, ha "promesso" di poter ridurre i costi
della formazione del 15-30%! Calcolando in franchi per studente, nel 1997 il
cantone di Zurigo spendeva a livello di scuola elementare il 10% in meno
rispetto al '92, mentre a livello secondario la diminuzione superava il 15%.
E se per gli studenti universitari i "costi" hanno potuto aumentare fino al
1995, la rottura è stata ancora più violenta dopo: in soli due anni Buscher
è riuscito a risparmiare qualcosa come il 23% a studente. Essendo oramai uno
dei cantoni svizzeri con le più basse spese relative per la formazione, il
Dipartimento dell'istruzione pubblica lo considera come una prova del "forte
aumento di produttività del settore". In effetti, i lavoratori nel settore
dell'istruzione sono aumentati del 2,4% tra l'85 e il '97, e nello stesso
periodo la quantità totale di studenti, a livello elementare, secondario e
universitario, è cresciuta del 10,2%.

Un sistema di formazione al servizio di industria e finanza

Ora, la politica di austerità e la retorica del "meno Stato" non nascondono
del tutto il tentativo di trasformare radicalmente il sistema di formazione
zurighese nel suo insieme: l'obbiettivo della "riforma del secolo" è
migliorare la selezione delle "elite" abbassando il valore della forza
lavoro qualificata, e ciò in un momento in cui le condizioni di lavoro
diventano precarie e le disparità sociali aumentano. Attraverso una
ridefinita selettività del sistema di formazione, le ineguaglianze devono
poter essere ricondotte sempre più alla fioritura dei supposti talenti
innati di ogni individuo.
Buschor il gestore ha peraltro accennato a più riprese la sua "visione" del
sistema formativo riorganizzato, in perfetta sintonia con i progetti del
padronato: la formazione deve adattarsi ai bisogni dello "Standort"
(ubicazione centrale) di Zurigo. L'Università diventata "sfortunatamente
un'università di massa" responsabile della produzione di "troppi accademici
con cattive formazione", deve allinearsi al modello anglosassone, la
divisione in due degli studi: come previsto dalla "Dichiarazione di
Bologna", la grande maggioranza degli studenti deve accontentarsi di studi
corti e pratici (Bachelor) e l'accesso ai veri e propri studi universitari è
riservato ad una minoranza (Master). Inoltre, se necessario, agli studenti
sarà impedito di proseguire gli studi attraverso "tasse disciplinari" a
partire dal sedicesimo semestre, un aumento delle tasse d'iscrizione,
l'abolizione del sistema delle borse e ogni tipo di limitazioni
all'ammissione. Questo modello prevede che tutti quelli esclusi dagli studi
elitari ricevano una formazione di base fondata sulle competenze elementari
richieste dal mercato del lavoro, che assicura loro una probabilità di
trovare un lavoro. Il liceo è stato accorciato al fine di "concentrarsi
sull'essenziale", ed è stata valorizzata la formazione professionale
(creazione di una scuola superiore di specializzazione cantonale (HES)).
E' anche in questo contesto che bisogna comprendere la riforma della scuola
primaria. Si noti lo spostamento delle linee direttive del Dipartimento: non
si parla quasi più di "pari opportunità" ma di "giuste opportunità", che
permetterebbero ai giovani di formarsi come "personalità competenti, atte ad
imparare durante tutto il corso della loro vita e con la volontà di essere
competitive (leistungswillig)". Spirito d'impresa, accettazione dei vincoli
di flessibilità e d'adattamento, conoscenza delle lingue straniere,
familiarità con i moderni mezzi di comunicazione: è questo il nuovo ideale
della formazione primaria, che deve sostituire le qualifiche acquisite con
la formazione scolastica per diventare "più conforme al mercato del lavoro
(berufsbildungsgerecht)".

L'"autonomia" delle scuole: un'illusione

Riduzione dei costi della formazione, apertura agli investitori privati dei
settori più redditizi del mercato dell'istruzione, ridefinizione dei
contenuti della formazione per avvicinarli ai bisogni del padronato: l'NPM,
facendo da cerniera, ha permesso il perseguimento contemporaneo di tutti
questi obbiettivi. Al centro della trasformazione stanno i "budget globali"
e l'"autonomia parziale" (Teilautonomie) degli istituti scolastici. L'NPM
prevede che le autorità politiche deleghino l'attuazione delle loro
decisioni a entità autonome e concorrenti, privatizzate o unite tra loro con
"contratti di prestazione" di tipo mercantile del genere cliente-fornitore.
Il finanziamento è legato a ciò che alcuni sostenitori dell'NPM chiamano
orientationoutput dei servizi: viene messo l'accento sul "prodotto" e
l'"autonomia" delle scuole crea una situazione di "libera concorrenza" per
l'ottenimento del denaro pubblico, che viene però equilibrata
dall'importanza assunta dal controllo finanziario, dalla valutazione
permanente delle prestazioni nella gestione delle scuole e dall'insediamento
di un "direttore", vero e proprio presidente-direttore generale della
scuola, che detiene il potere assoluto sulla gestione delle sovvenzioni
pubbliche.
Questo quadro finanziario che spinge le scuole ad un miglioramento continuo
dell'"efficienza" costringe oggettivamente gli istituti scolastici ad
adattarsi agli obbiettivi della "visione" di Buschor. In caso contrario
questi istituti rischiano di vedere ridotti i mezzi a loro disposizione.
L'"efficienza" viene calcolata in funzione di una formula che mette in
relazione i costi e i benefici per ogni studente, sulla base di una
contabilità analitica per le scuole, allo scopo di dare al cantone gli
strumenti per "prendere delle decisioni in materia di politica della
formazione essendo pienamente a conoscenza delle conseguenze finanziarie
reali".
Ora, di fronte all'impossibilità teorica di individuare e tantomeno
quantificare tutti i risultati politicamente riconducibili al sistema di
formazione (istruzione, socializzazione ecc.), l'NPM opera un trasferimento
di potere in favore dei gestori e a scapito degli insegnanti, riducendo il
processo intimamente politico della definizione degli obbiettivi della
politica per la formazione alla semplice attuazione dei valori d'efficienza
ed efficacia. Parallelamente si assiste oggi ad una massiccia
riburocratizzazione dell'amministrazione: questo processo si svolge
attraverso lo sviluppo di istanze di definizione, di valutazione e di
controllo della "qualità" dell'insegnamento e anche attraverso
l'introduzione di un sistema di valutazione degli insegnanti (Lohnwirksame
Leistungsbeurteilung), sistema secondo il quale il 67% di loro fa delle
"cattive o pessime esperienze".
Ma la "qualità" della formazione non è l'unico bersaglio del nuovo sistema
di finanziamento: ce n'è anche per la "quantità". Eloquente è l'esempio dei
licei di Zurigo: dopo l'introduzione dei budget globali il Dipartimento
della pubblica istruzione ha cominciato a mettere a confronto il numero di
lauree in percentuale ai nuovi iscritti all'università sul totale dei
diplomati di scuola media superiore in rapporto al costo degli studenti
liceali. Il risultato, secondo Buschor, è stato che "non c'è relazione
diretta tra il numero di laureati per liceo e il costo degli studenti,
nemmeno con l'offerta di corsi facoltativi". Risultato: i corsi facoltativi
sono stati ridotti. Buschor ha tuttavia dimenticato di precisare che la
scuola usata come benchmark (quella con il miglior rapporto costi-benefici)
è il Liceo Rämibühl, che si trova nel ricco quartiere «Züriberg», popolato
di studenti molto privilegiati...
Se prendiamo come esempio l'Università di Zurigo, il meccanismo emerge
ancora più chiaramente: come metro dell'efficienza dell'istituto, il
contratto di prestazione prende in considerazione tra le altre cose "l'alta
qualità internazionale della ricerca", misurata in funzione del numero di
pubblicazioni, citazioni e premi internazionali, e anche il "tasso di
occupazione dei laureati e l'utilizzo effettivo delle conoscenze
universitarie nel mercato del lavoro", calcolato sulla base di sondaggi
effettuati su ex-universitari. L'indicatore più importante è tuttavia quello
della "durata degli studi", che permette di mettere a confronto qualsiasi
cosa, e il cui scopo principale è tematizzare la durata degli studi,
giudicata eccessiva. In effetti, mentre la durata della formazione
rappresenta la misura sociale di un diploma o di una qualifica, quindi il
valore di forza lavoro qualificata che il possessore vuole far riconoscere
sul mercato, l'obbiettivo principale consiste nel ridurre la durata media
degli studi. L'irrazionalità della "razionalizzazione" nel sistema di
formazione diventa così palese: il "progresso scientifico" si mostra solo
con la velocità della sua produzione e il denaro pubblico viene ritirato dai
settori "non redditizi" per essere reinvestito, come prevede Buschor, "nei
settori produttivi dell'università: i rami in crescita come la biologia, la
farmaceutica, l'informatica o i mercati finanziari".
Gli istituti scolastici sono quindi costretti, se vogliono mantenere
un'"offerta scolastica" più corposa, a procurarsi i fondi altrove. Il
"Progetto scuola 21" (Schulprojekt 21) prevede così l'autofinanziamento
delle infrastutture informatiche con sponsor privati, che ricevono come
controparte il diritto ad essere consultati in materia di definizione dei
contenuti dell'insegnamento. Peraltro si apre anche la possibilità di
privatizzare sempre più componenti del sistema di formazione, un'evoluzione
resa possibile nel cantone di Zurigo grazie alla legge sui licei, a seguito
della quale hanno aperto una ventina di nuove scuole private. Finalmente
saranno gli stessi "clienti" dell'offerta di formazione a pagarne parte dei
costi, considerandolo come un investimento in capitale umano che dovrebbe
tradursi in un alto salario nel corso della vita. Il Segretario di Stato
Charles Kleiber è recentemente venuto in soccorso alla politica di aumento
delle tasse d'iscrizione universitarie di Buschor (attualmente circa 1200
franchi all'anno, ma si prevede che nei prossimi anni verranno raddoppiate e
che il sistema di borse verrà sostituito da prestiti): ha affermato che "ciò
che non costa niente non vale niente" e ha sottolineato che "le nuove
tecniche di finanziamento servono a regolare il numero di studenti".
La questione delle tasse d'iscrizione è al centro del meccanismo dell'NPM:
qui si incontrano il comportamento individuale in materia di formazione, le
risorse finanziarie e le esigenze del mercato del lavoro. Con l'aumento
delle tasse d'iscrizione e la diminuzione delle borse l'interesse oggettivo
della maggioranza degli studenti diventa subito quello di fare degli studi
più brevi e più conformi al mercato; saranno incitati a fare calcoli precisi
sul "rendimento" futuro del loro "investimento" nella formazione. Sul
versante degli istituti scolastici sopraggiunge un effetto complementare:
nella misura in cui essi dipendono sempre più dalle risorse provenienti
dalle tasse d'iscrizione e devono dimostrare di meritare sussidi statali
ottenendo una buona valutazione, dovranno nascere offerte convincenti per
attirare gli studenti, e dunque si farà riferimento alle esigenze del
mercato del lavoro esattamente come gli studenti, che giudicheranno
l"attrattività" in funzione delle opportunità sociali legate all'uno o
all'altro diploma universitario.

Per questo articolo contattate Alessandro Pellizzari (alessandro@attac.org)
Traduzione a cura di Claudio Carello

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2 - La privatizzazione: una misura Made in Perù?
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di Raúl Luna Rodriguez

Un terzo della popolazione peruviana si è espressa apertamente contro le
privatizzazioni. Manifestazioni di protesta si sono sviluppate in tutto il
sud e più recentemente nelle regioni di Junín, Huancavelica, Piura e Talara.
I sondaggi mostrano un rifiuto, da parte della popolazione, del 70%. I
funzionari del governo hanno segnalato la scarsa informazione sui vantaggi
di questo nuovo processo di privatizzazione.

La misura ultimamente proposta dal governo non sembra poi così originale.
Essa fa parte dei Programmi di Aggiustamento Strutturale che il FMI e la
Banca Mondiale hanno imposto al Perù e all'America latina dopo l'epoca di
Morales Bermúdez. Un caso recente è il tracollo dell'Argentina, che ha
privatizzato al 100%: passato a pieni voti l'esame del FMI si è trovata in
piena crisi dopo qualche mese. Ora è un paese in bancarotta.

1. Il mito dello Stato cattivo e della buona impresa privata

Empiricamente non è dimostrato che il monopolio dell'efficacia appartenga al
privato mentre quello della burocrazia, della lentezza e dell'assenza di
competitività allo Stato. Frasi ideologiche che, ripetute fino allo
sfinimento, senza mai essere messe in dubbio, si sono profondamente radicate
nell'immaginario popolare. Ma è tutto vero? O non è che un mito promosso da
coloro che creano l'opinione pubblica?

Noi, peruviani e peruviane, abbiamo contemplato lo smantellamento della
Sicurezza Sociale e la nascita delle assicurazioni sanitarie e delle
cliniche private. Coloro di noi che utilizzano questi servizi privati hanno
potuto costatare che le imprese private hanno i loro difetti: lunghe attese,
cattiva sorveglianza medica, poche medicine, incompleta copertura delle
infermità, costi eccessivi, pessima attrezzatura e numerose morti dovute a
negligenza sia medica che amministrativa. Noi utenti muoviamo le nostre
critiche ma non vediamo miglioramenti del servizio.

Nel mondo esistono differenti esperienze di imprese statali: l'educazione
principalmente pubblica in Francia ed in Inghilterra, la televisione di
stato inglese e i sistemi di salute dei paesi nordici non sono tutti
efficaci? Il sistema educativo giapponese - pubblico - non è all'altezza? La
NASA, certamente una delle organizzazioni d'avanguardia a livello mondiale
in materia di ricerca scientifica e tecnica, è un ente statunitense,
federale e pubblico. Tutte sono efficaci. Purtroppo non è così per il Perù.

2. La popolazione peruviana non crede alle privatizzazioni

E' certo che c'è molta inefficacia nello sviluppo delle aziende di
distribuzione dell'elettricità e dell'acqua. Sicuramente questo non è dovuto
solo ad una cattiva gestione da parte dello Stato, ma anche all'attuale
svendita delle sue imprese e alla corruzione operata da numerose aziende
private.

E' altrettanto certo che molte aziende private costituiscano lobby per lo
smantellamento delle aziende pubbliche, che in ragione della loro crescente
perdita di produttività saranno vendute largamente al disotto del loro vero
valore.

In differenti paesi dell'America Latina, lo Stato ha giocato un ruolo
"sporco", sovvenzionando il processo di privatizzazione, realizzando, per
esempio, importanti investimenti al momento della vendita, licenziando
lavoratori per trasmettere ai nuovi proprietari un ridotto assetto
salariale, diminuendo la produttività per giustificare la cattiva gestione
dello Stato e dichiarando a volte attivi sottovalutati. Alcune aziende
candidate all'acquisto hanno corrotto dei funzionari statali.

3. Privatizzazione o vendita all'asta

Il governo, attraverso l'intermediario della COPRI, ha segnalato che le
azienda EGASA e EGESUR saranno vendute per 156 milioni di dollari. Il prezzo
è stato determinato in base allo stesso metodo di valutazione implementato
dal governo di Fujimori. Il Presidente della Commissione Energia e Miniere
del Congresso sostiene che le due aziende abbiano un valore di almeno 260
milioni di dollari. Nel Sud del Perù, si parla di 460 milioni di dollari.
Entrambe sono aziende in piena attività, senza alcun rischio di crollo o di
una diminuzione della domanda. Dobbiamo ricordare il prezzo di vendita della
Telefónica, proposta sul mercato dallo Stato al prezzo di 500 milioni e
acquistata per 2,5 miliardi di dollari. Realizziamo solo oggi che questo
prezzo fu estremamente basso. Un altro caso è quello della Electro Andes che
la COPRI ha introdotto sul mercato a 120 milioni di dollari e che è stata
comprata per 227 milioni. L'offerta e la domanda non spiegano questa
variazione del prezzo. Il problema è nel metodo utilizzato per valutare il
prezzo delle aziende pubbliche, che sistematicamente le sottovaluta.
Sicuramente non manca la corruzione.

4. Consultazione sul Modello Economico

Non si può prendere la decisione di privatizzare le imprese di distribuzione
dell'acqua e dell'elettricità senza l'avvallo della popolazione, tanto più
che il governo eletto ha scartato la privatizzazione come fonte per colmare
il deficit pubblico.

Perché questa consultazione sia uno spazio di educazione e di decisione, è
necessario che lo Stato, le aziende private e gli utenti ed i consumatori
occupino spazio e media in maniera equa, al fine di far conoscere tutte le
proposte evitando che si parli unicamente di quelle delle aziende private.
Gli utenti ed i consumatori devono partecipare al dibattito e le diverse
proposte dello Stato devono essere apertamente dibattute.

Il principale ostacolo all'espansione della rete di erogazione dell'
elettricità è il ridotto livello dei guadagni della popolazione più povera
del paese, che non ha nemmeno accesso al servizio, e questo non può essere
risolto dalla privatizzazione. Lo Stato in tutti i paesi del mondo ha la
responsabilità di assicurare il servizio base ai poveri, cosa non garantita
dalla privatizzazione dei servizi pubblici.

Quando nel 1991 in Perù sono iniziate le privatizzazioni, le inchieste
mostravano che più di tre quarti della popolazione le approvava. Oggi, i
risultati sono inversi: il disincanto della maggior parte della popolazione
è evidente. La crescita dei prezzi, la degradazione della qualità di certi
settori e l'esclusione delle fasce più povere, spiega il cambio d'opinione.

González de Olarte segnala che la maggior parte delle attività che per lo
Stato rappresentavano dei guadagni è stata venduta a privati nei settori
delle finanze, della pesca e delle telecomunicazioni. Ulteriori settori sono
stati coinvolti: le miniere sono state privatizzate al 90%, le manifatture
al 85,5%, gli idrocarburi al 68%, l'elettricità al 68% e l'agricoltura al
35%. Parallelamente, 225 progetti di privatizzazione e/o di concessione sono
stati iniziati, generando 65 miliardi di dollari di per il Tesoro Pubblico,
aggiungendosi agli 11,4 miliardi di investimenti promessi, di cui la maggior
parte sono stati realizzati. Nonostante ciò, la situazione del paese, dei
consumatori e degli utenti, non è migliorata. Tutto non si può spiegare con
la corruzione. Il modello economico costituisce anche un ostacolo che non
permette né di uscire dalla povertà né di soddisfare gli interessi e le
attese degli utenti.

Contatto per questo articolo: echla@attac.org
Traduzione a cura di Silvia Galasso.

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3 - A chi appartiene l'acqua? A Suez, a RWE, a voi o a me?
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Di Mort Rosenblum

In un mondo dove l'acqua fresca diventa sempre più rara, prende piede un
nuovo dibattito: le aziende private sono libere di estrarre il petrolio, l'
oro nero, ma che ne è della risorsa, il cui valore è infinitamente più
grande, l'oro blu?

Due compagnie francesi, la Suez e la Vivendi Environnement, da sole
forniscono l'acqua a 230 milioni di persone sulla terra, andando da città
Usa come Atlanta a centri urbani a un capo all'altro del Terzo Mondo.

Il tema della privatizzazione dell'acqua, appena accennato ancora qualche
anno fa, è probabilmente uno dei grandi problemi, affrontati al Summit
mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile permanente di
Johannesburg in Sud Africa.

Il problema viene affrontato con una domanda falsamente semplice: l'acqua,
costituisce un diritto per tutti gli uomini o è una merce?
"La questione è proprio che è entrambe le cose", dice Peter Gleick del
Pacific Institute di Berkeley in California. Ognuno ha diritto ad un'acqua
pulita e senza pericoli, dice, ma a causa dei fallimenti dei governi, 1,1
miliardi di persone, non vi hanno accesso.

Una nuova tendenza si sta diffondendo. La Suez, come la Vivendi, si
aspettano una crescita a due cifre del loro commercio dell'acqua e ciascuna
ha già contratti che ammontano a più di 10 miliardi di dollari all'anno di
fatturato. Portorico ha appena firmato con la Suez un accordo per la
distribuzione della sua acqua.

RWE, un gruppo tedesco che produce e vende energia elettrica, è in procinto
di acquisire delle piccole aziende d'acqua al fine di sconfiggere le società
francesi. Numerose altre società private sono titolari di concessioni per
pompare, trattare e distribuire l'acqua.

Anche se queste aziende hanno il diritto di commercializzare l'acqua, ma non
la sua proprietà in sé, Gleick e altri si preoccupano che un'inevitabile
espansione del settore privato possa sfuggire al mimino controllo pubblico.
"La privatizzazione ha un potenziale di crescita enorme a causa dell'
assoluto bisogno di acqua dei paesi in via di sviluppo. Ma l'acqua è troppo
importante per essere lasciata nelle mani solamente di privati", dichiara
Gleick.

La Banca Mondiale, le agenzie delle Nazioni Unite e un certo numero di
governi aderiscono ad un concetto che chiamano PPP, partenariato
pubblico-privato.
Incoraggiano le compagnie ad investire fortemente in pompe, collettori e
altre infrastrutture necessarie all'approvvigionamento di acqua, in cambio
di profitti. In numerose grandi città, quasi la metà dell'acqua potabile
prodotta viene persa a causa di fughe e rotture nelle condotte. La
fatturazione è sovente confusa. I servizi pubblici che gestiscono l'acqua
non hanno generalmente soldi e tecnologie, combattono per rispondere ad una
domanda che si accresce rapidamente.

La Suez e la Vivendi rimarcano alcuni casi al mondo in cui esse hanno esteso
il servizio, talvolta a prezzi modici. Le due società insistono sul fatto
che esse vendono un servizio e non l'acqua in sè, e sottolineano che il loro
operato si svolge sulla base di concessioni che devono essere rinnovate.
Sostengono che migliori risorse permettono che molte persone povere abbiano
accesso ad un'acqua affidabile per molto meno di quanto pagavano ai
venditori ambulanti.

"Noi abbiamo soldi ed esperienza e crediamo di potere gestire l'acqua meglio
degli stati", diceva Jacques Pétry, direttore di Ondeo, la divisione acqua
di Suez. "Noi non siamo i proprietari di queste risorse. Noi le gestiamo e
le proteggiamo." Per il momento la filiale americana di Ondeo ha dovuto
affrontare una valanga di proteste, in seguito alla ripresa della
distribuzione dell'acqua ad Atlanta nel 1999. I consumatori hanno denunciato
interruzioni dell'erogazione inesplicabili, fatturazioni confuse e lunghi
ritardi nel servizio.

La gestione dell'acqua è un affare intimamente legato a delle difficoltà
economiche e culturali. Nel 2000, una sollevazione popolare a Cochabamba,
Bolivia, ne mostra i pericoli. I consumatori si sono rivoltati quando
Bechtel ha raddoppiato il prezzo dell'acqua. Sette persone sono morte nel
corso di questi avvenimenti e l'azienda Usa ha perso la concessione.

La militante canadese Maude Barlow, autrice del libro Blue Gold (Oro blu),
afferma chiaramente la sua posizione nel sottotitolo: La lotta per impedire
alle grandi imprese di rubare l'acqua del mondo. Anche ammettendo che il
settore privato abbia un ruolo da giocare, l'autrice afferma che l'acqua
deve imperativamente restare nelle mani del settore pubblico, senza
confusione alcuna tra diritti dell'uomo e interessi commerciali. "Nel
diritto, non possono essere uguali", dice.

Nel 2000, la Barlow ha reso un omaggio entusiasta alla rivolta di
Cochabamba. Oggi, riconosce che la risorsa attuale, gestita da una
cooperativa è in rovina, senza capitali né esperienza. "perché è possibile
trovare denaro per una compagnia privata e non per una società pubblica?",
si chiede difendendo l'idea che le agenzie internazionali dovrebbero aiutare
le autorità locali nella gestione del loro sistema di distribuzione dell'
acqua.

Altri militanti si preoccupano dei possibili risvolti della logica della
privatizzazione: se le compagnie fanno dei soldi fornendo l'acqua, la loro
motivazione non sarà piuttosto quella di venderne il più possibile piuttosto
che di proteggere una risorsa rara?

Eppure William Cosgrove, un consulente canadese che ha partecipato alla
redazione del rapporto "World Water Vision" per una conferenza sull'ambiente
l'anno scorso a La Hague, nei Paesi Bassi, insiste sul fatto che la maggior
parte delle persone, ivi compresi i dirigenti di impresa, sono convinti che
l'accesso all'acqua sia un diritto fondamentale. "vi sono discussioni
unicamente perché questo [principio, n.d.t.] non è tenuto nel debito conto."
sostiene. "Fintanto che sarà possibile per i Governi, predisporre
regolamentazioni e definire gli obbiettivi, si potrà utilizzare al meglio l'
acqua di cui dispongono".

I dirigenti di Suez e Vivendi sono d'accordo. Un portavoce di Suez,
Jean-Luc Trancart, con una lunga esperienza nella gestione dell'acqua in
Francia, argomenta come le compagnie private rispondano ad un bisogno
vitale. Ha dichiarato: "io dico sempre agli attivisti che vogliono causarci
un danno, che dovrebbero piuttosto fare in modo che il settore pubblico
funzioni meglio."

Pierre Victoria, direttore delle relazioni pubbliche della Vivendi, afferma
che il governo deve assumere un ruolo di regolatore e che la gestione
privata non può che fallire se le persone non ricevono un servizio migliore
ad un giusto prezzo.

Gleick, del Pacific Institute, pensa che a lungo termine, le compagnie
private non saranno più il motore del settore. Già alcune grandi città
americane ci pensano due volte prima di privatizzare. "Se gli esempi
cardine, quali quello di Atlanta, non funzionano, le cose rallenteranno
presto", prevede Gleick.

Di più, le possibilità commerciali sono limitate nei paesi privi di
compagnie pubbliche solide. Raccoglieranno i frutti dai rami bassi: il
sistema municipale esistente, manca di soldi e di esperienza e rifornisce le
classi medie o elevate, dice Gleick. "I poveri sono sempre lasciati da
parte".

Contattare per questo articolo editor@waterindustry.org
http://www.waterindustry.org/

Traduzione a cura di Simone Bocchi

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4 - Algeria. No alla miseria!
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A cura di Adel Abderreza e Chouicha Kaddour (sindacalisti del CNES)

L'anno 2002 si annuncia un anno pieno d'incertezze sia sul piano politico
che economico. L'opera distruttrice della globalizzazione liberale continua
ma su di uno sfondo di recessione economica, in quanto la crescita
dell'economia mondiale marca il passo con il suo bagaglio di disoccupazione,
di precarietà e di violenza sociale. Inoltre, la situazione politica segnata
dagli eventi tragici dell'11 settembre 2001 è l'occasione per l'occidente
capitalista e gli Stati Uniti in particolare, di rinforzare la loro egemonia
sull'economia-mondo e sulla geopolitica mondiale utilizzando le guerre, "di
operazioni chirurgiche" e di ricatti economici.

L'opzione neo-liberale inaugurata dalla Thatcher in Inghilterra e da Reagan
negli Stati Uniti alla fine degli anni '80, verrà adottata da tutta l'Europa
ed estesa all'Asia e a tutti i paesi del Terzo mondo tra cui l'Algeria. Ne
risultano delle politiche economiche fondate sul primato dei criteri
monetari e finanziari che voltano le spalle ai bisogni sociali e a qualsiasi
prospettiva di sviluppo duraturo per i paesi sotto-sviluppati. Le
conseguenze di questo processo di "globalizzazione liberale" sono note:
disoccupazione massiva, disindustrializzazione, diminuzione netta dei salari
reali, allargamento delle ineguaglianze sociali, aumenti dei superprofitti
capitalisti, riapparizione di forme di dipendenza neo-coloniali, della
malnutrizione e della povertà di massa, etc.

L'Algeria non sfugge a questo processo. Dalla fine degli anni '80 subisce i
programmi draconiani imposti dall'FMI e dalla Banca Mondiale. Dopo l'intifah
rampante dell'era Chadli, i governi di Hamrouche, di Reda Malek e di Ouyahia
hanno attuato delle politiche di aggiustamento strutturale che hanno
seppellito un settore industriale pubblico in crisi, spinto alla rovina dei
servizi pubblici (sanità, educazione, protezione sociale,.) e ridotto alla
disoccupazione e alla povertà più di 15 milioni di cittadini algerini.
Questi effetti, anche se lungamente occultati dagli eventi degli ultimi
dieci anni ove la violenza integralista e l'apparato di pubblica sicurezza
del potere hanno provocato un concentrato di tragedie, non cessano di
lavorare allo smembramento della società e al dislocamento del tessuto
industriale e sociale. Questo contesto tragico ha inevitabilmente
anestetizzato il movimento sociale e lasciato il terreno libero alla
liberalizzazione economica a oltranza ed alla privatizzazione dei beni
pubblici ad un valore del dinaro simbolico. I detentori degli apparati
statali, i predatori del settore pubblico e gli arrivisti dell'era affarista
si sono iscritti nel tutto-commerciabile e nel lassismo ("laisser-faire"), l
'incuria ("laisser-aller"), accumulando, senza alcuno scrupolo, ricchezze
materiali e arroganza sociale di fronte ad una maggioranza della popolazione
largamente in stato di precarietà e emarginata. La società algerina ha
provato, bene o male, a resistere ai colpi infertigli dagli "incaricati di
missione" dell'opzione neo-liberale sia nella versione "modernista" che
"islamica". Il movimento sociale, disarcionato dall'allineamento della
maggioranza dei partiti politici alle scelte liberali del potere, da una
UGTA (Unione Generale dei Lavoratori Algerina) ridotta ad un ruolo
ausiliario di quest'ultimo e da un contesto di violenza politica poco
favorevole all'azione sociale, non ha ceduto alla rassegnazione. Delle
velleità di resistenza al "tutto liberale" sono state espresse sia
attraverso il movimento sindacale (dei settori combattivi dell'UGTA, dei
sindacati autonomi..) che nelle strade attraverso movimenti di protesta e
sommosse popolari di cui l'ultimo in termini di data ed il più radicale è
rappresentato dal movimento popolare in Kabilia.

Non si possono indefinitamente chiudere gli orizzonti sociali a tutta una
gioventù senza vedere questa stessa gioventù esprimersi attraverso i soli
mezzi che le rimangono e cioè la sommossa in strada. Non si possono
indefinitamente licenziare centinaia di migliaia di lavoratori, installare
nella precarietà milioni di algerini ed annerire il loro divenire sociale
senza creare situazioni di disperazione sociale propizie alle ideologie
irrazionali ed ai populismi regressivi.
Attualmente, il governo algerino tenta di completare questa messa a morte
del tessuto industriale algerino e dell'economia pubblica concretizzando la
firma dell'accordo d'associazione con l'Unione europea (UE) e preparando
l'adesione dell'Algeria all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
Senza alcun dibattito di fondo e pubblico, le autorità algerine vogliono
trascinarci, attraverso la loro politica, nell'aggravamento della crisi che
stiamo attraversando e fare dell'Algeria un segmento del mercato mondiale
per le merci dei paesi sviluppati ed una riserva di caccia delle
multinazionali per ciò che concerne l'approvvigionamento di petrolio di
questi stessi paesi. L'inserimento del nostro paese nella globalizzazione
capitalista ci rinchiude in una logica di commercializzazione distruttrice.
Il popolo argentino delle baraccopoli e delle industrie privatizzate ci
mostra il cammino, lui che, nella sua determinazione, ha fatto fuggire il
presidente della Repubblica occupando le strade per protestare contro la
miseria sociale generata dalla politica neo-liberale del governo e dal
diktat delle istituzioni internazionali.

Non possiamo subire senza reagire. Non possiamo avvalere questa convergenza
liberale dove, islamici e democratici, aparatchiks dello stato e
contrabbandieri ("trabendistes") ottengono il consenso sulla scelta liberale
dietro il potere politico sulla pelle della società. La nostra posizione non
è né quella dei nostalgici del socialismo specifico algerino, né quella di
coloro che, alloggiati nella burocrazia politica, amministrativa (holdings,
ministeri) o sindacale, cercano di far perdurare la loro situazione di
predatori e di coloro che beneficiano del mondo del lavoro. Noi siamo
chiaramente contrari ai cantori del liberalismo, dell'economia di mercato e
della globalizzazione sotto il suo aspetto più schifoso, e cioè la miseria
per la maggioranza e l'essenziale delle ricchezze per la minoranza sociale.

Il movimento alter-globalizzazione, che si batte contro il modello
neo-liberale e la trasformazione del mondo in merce e che ha saputo creare
un polo di resistenza internazionale alla globalizzazione liberale,
partecipa attivamente ed efficacemente al delineamento attraverso le sue
azioni e la sua riflessione ed un'alternativa alla globalizzazione liberale.
La nostra posizione non può che raggiungere quelle e quelli che si battono a
livello internazionale per una globalizzazione sociale, vale a dire che
ponga come prima preoccupazione la presa a carico dei bisogni della
popolazione attraverso delle modalità di sviluppo che sfuggano al dispotismo
della merce e del profitto.

Il nostro obiettivo è di costruire insieme un'associazione che avrà cura di
dibattere e di divulgare quelle questioni che rimangono appannaggio degli
pseudo-esperti e di battersi per esigere un'altra politica economica. Sarà
un quadro di riflessione e d'azione universitaria, sindacalista, ove attori
associativi e cittadini congiungeranno i loro sforzi per costruire insieme
una scuola d'opposizione a questo liberismo sfrenato portato dalla
globalizzazione liberale in seno all'opinione pubblica, nei media, nel
movimento sindacale e sociale,.

Questo testo traccia le basi programmatiche elementari di una tale azione e
non è che un progetto che bisognerà discutere ed arricchire al fine di
permettere a tutti coloro che vogliano battersi su questo terreno di
raggrupparsi e organizzarsi in un'associazione di cui bisognerà definire i
contorni insieme.

Traduzione a cura di Lydia Bellik


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Il Granello di Sabbia è realizzato da un gruppo di traduttori e traduttrici volontari/e e dalla redazione di ATTAC Italia redazione@attac.org
Riproduzione autorizzata previa citazione e segnalazione del "Granello di Sabbia - ATTAC - http://attac.org/"

 

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