|
Giro98
Movimento forum sociale europeo
Riviste: GRANELLO DI SABBIA (n°68)
Bollettino elettronico settimanale
di ATTAC
Lunedì, 14-10-2002
______________________________
Vi preghiamo di diffondere il Granello
nella maniera più ampia
possibile.
Numero di abbonati attuali: 4 557
ATTENZIONE:
tutti i Granelli di Sabbia sono a disposizione
sul sito in versione .pdf e
.rtf al seguente indirizzo:
http://www.attac.org/italia/granello/indice.htm
____________________________________________________________
Indice degli argomenti
Verso il Forum sociale Europeo:
diritti in movimento!
Sabato 19 ottobre a Firenze con ATTAC verso il
Fse e per una campagna
europea contro le privatizzazioni dei beni pubblici
e comuni
1 - Ciò che non costa niente
non vale niente!"
di Alessandro Pellizzari (ATTAC Svizzera)
Da circa dieci anni è andato sviluppandosi
il "movimento" del New Public
Management (NPM, nuova gestione pubblica). Il
punto in comune di queste
"riforme", applicate tanto alle scuole
quanto agli ospedali, ai servizi
sociali e all'amministrazione pubblica, sta nel
fatto di essere ricalcate
sul modello organizzativo delle holding private
e di trasferire nel settore
pubblico le nuove tecniche di gestione d'impresa.
(.) Traduzione di Claudio
Carello
2 - La privatizzazione: una misura
Made in Perù?
di Raúl Luna Rodriguez
Un terzo della popolazione peruviana si è
espressa apertamente contro le
privatizzazioni. Manifestazioni di protesta si
sono sviluppate in tutto il
sud e più recentemente nelle regioni di
Junín, Huancavelica, Piura e Talara.
I sondaggi mostrano un rifiuto, da parte della
popolazione, del 70%. I
funzionari del governo hanno segnalato la scarsa
informazione sui vantaggi
di questo nuovo processo di privatizzazione. (.)
Traduzione a cura di Silvia
Galasso.
3 - A chi appartiene l'acqua? A
Suez, a RWE, a voi o a me?
di Mort Rosenblum (WaterIndustry)
In un mondo dove l'acqua fresca diventa sempre
più rara, prende piede un
nuovo dibattito: le aziende private sono libere
di estrarre il petrolio, l'
oro nero, ma che ne è della risorsa, il
cui valore è infinitamente più
grande, l'oro blu? (.) Traduzione a cura di di
Simone Bocchi
4 - Algeria. No alla miseria!
A cura di Adel Abderreza e Chouicha Kaddour (sindacalisti
del CNES)
L'anno 2002 si annuncia un anno pieno d'incertezze
sia sul piano politico
che economico. L'opera distruttrice della globalizzazione
liberale continua
ma su di uno sfondo di recessione economica, in
quanto la crescita
dell'economia mondiale marca il passo con il suo
bagaglio di disoccupazione,
di precarietà e di violenza sociale. (.)
Traduzione a cura di Lydia bellik
_____________________________
Verso il Forum sociale Europeo:
diritti in movimento!
____________________________________________________________
Sabato 19 ottobre,
Casa del Popolo 25 aprile,
via Bronzino 118, FIRENZE
Ore 10.30-13
Presentazione del Forum sociale Europeo e di ATTAC
al Fse
Intervengono: Vittorio Agnoletto, Salvatore Cannavò
e Marco Bersani
Ore 14.30-18.30
Diritti in movimento: le privatizzazioni in Europa
come resistere, cosa
proporre
Intervengono: Alexandra Strickner (ATTAC Austria),
Alessandro Pellizzari
(ATTAC Svizzera), Carlo Iannello (giurista), Lorenza
Zamboni (ATTACQUA),
Cinzia Arruzza (ATTAC Roma)
Coordina ATTAC Firenze.
Domenica 20 ottobre
Casa del Popolo 25 aprile,
via Bronzino 118, FIRENZE
Conferenza nazionale dei Comitati
locali ATTAC
Ore 9.30 - 13
Presentazione del percorso di consultazione verso
l'Assemblea nazionale 2003
(Severo Lutrario); Bilancio delle attività
del Consiglio Nazionale (Fiorino
Iantorno); Proposta di un metodo di raccolta e
di discussione per la
formulazione delle candidature per il Consiglio
Nazionale e raccolta delle
candidature al C.N da parte dei comitati locali
Ore 14.00 - 18.00
Discussione sulla lista di candidature.
Informazioni logistiche per la sistemazione notturna:
- Ostello Santa Monaca, in Via Santa Monaca, n°6
a Firenze, tel. 055.280185,
055.2396704, 055.268338
- Albergo Azzi, Via Faenza, n°56, Firenze
(vicino alla stazione di Santa
Maria Novella), numero di tel e fax: 055.213806
_____________________________
1 - Ciò che non costa niente
non vale niente!"
____________________________________________________________
di Alessandro Pellizzari (ATTAC
Svizzera)
La "modernizzazione"
del sistema di formazione nel cantone di Zurigo
Come tutto l'insieme dei servizi
pubblici, il sistema dell'insegnamento è
oggetto di profonde trasformazioni. Per "modernizzarlo",
un numero crescente
di governi si ispira a tecniche di gestione prese
a prestito dall'economia
privata allo scopo, come si può leggere
nei rapporti annuali dell'OCSE, di
"ripensare le ragioni che giustificano l'intervento
statale e rivedere
l'efficacia delle istituzioni in rapporto ai costi".
Appoggiandosi
contemporaneamente all'argomento "dell'indebitamento
statale lordo" e degli
"squilibri di budget" cosi come alle
nuove "abitudini" dei "consumatori",
i
governi "devono impegnarsi a fare meglio
utilizzando meno risorse, e
soprattutto agendo diversamente".
E' in questo contesto che da circa dieci anni
è andato sviluppandosi il
"movimento" del New Public Management
(NPM, nuova gestione pubblica). Il
punto in comune di queste "riforme",
applicate tanto alle scuole quanto agli
ospedali, ai servizi sociali e all'amministrazione
pubblica, sta nel fatto
di essere ricalcate sul modello organizzativo
delle holding private e di
trasferire nel settore pubblico le nuove tecniche
di gestione d'impresa come
il total quality management o il program controlling.
In Svizzera il cantone
che più ha portato avanti questa logica
è quello di Zurigo: il programma di
riforme "wif!", annunciato nel '96,
prevede che l'amministrazione del
cantone più importante a livello economico
e politico della Confederazione
venga addirittura trasformata "in una moderna
impresa di servizi", per usare
l'espressione dell'UDC Hans Hoffman, ex presidente
del Consiglio di Stato e
attuale Consigliere di Stato.
La scuola al tempo del New Public
Management
Il rullo compressore dell'NPM non
ha risparmiato la scuola zurighese, per
ovvie ragioni: il capo del dipartimento dell'istruzione
pubblica è
nientepopodimeno che Ernst Buschor (PDC), ex docente
di amministrazione
pubblica all'Università di San Gallo e
instancabile missionario dell'NPM a
livello nazionale e internazionale. Dopo aver
"rivoluzionato" il sistema
sanitario del cantone, a partire dal '95 si è
impegnato a mettere in atto la
"riforma del secolo" (Buschor), insieme
di una trentina di progetti su tutti
i livelli, dagli asili infantili all'università;
con questa riforma Buschor
ha promesso di "far scendere la scuola zurighese
dal suo gran cavallo
pedagogico per trasformarla in un'impresa di servizi"
(di nuovo!) entro il
2012. L'ultima tappa è la ridefinizione
della scuola primaria elementare,
presentata al pubblico quest'estate. Eppure la
Neue Zürcher Zeitung ha
recentemente raffreddato il suo entusiasmo iniziale
per i progetti del
professore, dopo aver fatto un primo bilancio
dell'NPM. Le conseguenze
finanziarie nemmeno si avvicinerebbero alle aspettative:
in sostanza non
sarebbe cambiato nulla nel funzionamento del settore
pubblico, compreso
l'insegnamento, se si esclude la grande facilità
con la quale i funzionari
di Zurigo parlano ora di "centralità
del cliente" o di "controllo qualità".
Molto rumore per nulla? Evidentemente no. Bisogna
ricordare che l'NPM è
sopraggiunto nel contesto di una radicale trasformazione
del settore
pubblico, una specie di dimostrazione "scientifica"
del "meno Stato" portata
avanti da un'ideologia segnata dalla controriforma
neoconservatrice. Il
ruolo del servizio pubblico oggi arretra su tutti
i fronti per lasciare
posto ad una ridefinizione dei suoi compiti in
termini di "redditività
economica" che spinge a privilegiare la domanda
solvibile e la clientela
accessibile al minor costo: l'individuo, portatore
di un insieme di diritti
acquisiti grazie alle lotte di forti movimenti
sociali, diventa un
compratore individualizzato di beni e servizi
su diversi mercati, in
funzione del suo potere d'acquisto.
Questa ridefinizione del settore pubblico si trova
oggi al cuore delle
strategie capitaliste per aumentare la redditività
dei capitali. Non
dimentichiamoci che uno dei settori maggiormente
presi di mira dall'AGCS
(Accordo Generale sul Commercio dei Servizi),
ora in fase di rinegoziato
presso l'OMC, è proprio l'istruzione, che
si sta rivelando uno dei rami più
redditizi: viene valutato come un mercato annuale
da più di 2.000 miliardi
di dollari. Gli investitori si interessano principalmente
ad alcuni settori
dell'insegnamento superiore e della formazione
professionale continua, a
condizione che venga assicurata innanzitutto un'elevata
redditività
finanziaria. In questo ambito l'NPM permette di
razionalizzare a piacimento
settori poco suscettibili allo schema produttività-redditività
(per es. la
formazione primaria), cioè di ridurli a
una sorta di "servizio pubblico
minimo per l'inserimento" che permette di
"mirare l'utente carente"
aumentando brutalmente la loro produttività,
calcolata in maniera primitiva
rapportando il numero degli studenti all'organico
delle scuole.
Sottofinanziamento sistematico
del sistema di formazione
Il cantone di Zurigo è un
ottimo esempio di come le nuove tecniche di
gestione possano portare ad un cambiamento radicale
di una politica, in
questo caso della formazione. A partire dai primi
anni '80 le organizzazioni
patronali e i partiti di destra zurighesi hanno
condotto una potente
offensiva destinata a limitare le entrate cantonali.
Questa offensiva è
stata orchestrata segnatamente dal Radicale Eric
Honegger, che dopo aver
lasciato la politica cantonale ha miseramente
fallito come presidente della
Swissair. Sotto la sua direzione la pressione
fiscale è stata ridotta a più
riprese, negli anni '80, a beneficio innanzitutto
degli strati più agiati e
ricchi, scavando nelle finanze pubbliche un buco
della bellezza di 22
miliardi di franchi tra l'83 e il '99!
Il risultato globale di questa politica, per gli
utenti e i dipendenti del
servizio pubblico, non si è fatto attendere.
Da un lato, i servizi cantonali
sono diventati nettamente più cari, poichè
la mancanza di risorse fiscali è
stata in parte colmata aumentando le più
disparate tariffe (tasse
d'iscrizione ecc.). Dall'altro, il governo e il
Gran consiglio di Zurigo
hanno dato il via ad una politica di restrizione
delle spese molto rigorosa,
col pretesto di ristabilire l'equilibrio di bilancio.
Sono stati messi in
atto addirittura sei piani d'austerità
uno dopo l'altro, che si sono
letteralmente abbattuti sui lavoratori dipendenti.
A titolo esplicativo
citiamo solamente che tra il '90 e il '98 le spese
rivolte dal cantone ai
suoi dipendenti sono diminuite del 4%, e gli impiegati
statali che
guadagnavano 5.700 franchi al mese hanno perso
il 7% del loro potere
d'acquisto nel solo periodo '92-'96.
Ovviamente non tutti i settori sono stati colpiti
allo stesso modo:
un'analisi più dettagliata dei conti dello
Stato zurighese non lascia dubbi
riguardo alle priorità del suo governo.
I programmi di austerità hanno
mirato prima di tutto alla sanità e alla
formazione: se per quest'ultima il
cantone spendeva nel 1985 il 25% circa del suo
budget, nel 1997 questa
percentuale è scesa al 22%, subendo così
una perdita relativa del 9%.
Buschor, appena assunta la posizione, ha "promesso"
di poter ridurre i costi
della formazione del 15-30%! Calcolando in franchi
per studente, nel 1997 il
cantone di Zurigo spendeva a livello di scuola
elementare il 10% in meno
rispetto al '92, mentre a livello secondario la
diminuzione superava il 15%.
E se per gli studenti universitari i "costi"
hanno potuto aumentare fino al
1995, la rottura è stata ancora più
violenta dopo: in soli due anni Buscher
è riuscito a risparmiare qualcosa come
il 23% a studente. Essendo oramai uno
dei cantoni svizzeri con le più basse spese
relative per la formazione, il
Dipartimento dell'istruzione pubblica lo considera
come una prova del "forte
aumento di produttività del settore".
In effetti, i lavoratori nel settore
dell'istruzione sono aumentati del 2,4% tra l'85
e il '97, e nello stesso
periodo la quantità totale di studenti,
a livello elementare, secondario e
universitario, è cresciuta del 10,2%.
Un sistema di formazione al servizio
di industria e finanza
Ora, la politica di austerità
e la retorica del "meno Stato" non nascondono
del tutto il tentativo di trasformare radicalmente
il sistema di formazione
zurighese nel suo insieme: l'obbiettivo della
"riforma del secolo" è
migliorare la selezione delle "elite"
abbassando il valore della forza
lavoro qualificata, e ciò in un momento
in cui le condizioni di lavoro
diventano precarie e le disparità sociali
aumentano. Attraverso una
ridefinita selettività del sistema di formazione,
le ineguaglianze devono
poter essere ricondotte sempre più alla
fioritura dei supposti talenti
innati di ogni individuo.
Buschor il gestore ha peraltro accennato a più
riprese la sua "visione" del
sistema formativo riorganizzato, in perfetta sintonia
con i progetti del
padronato: la formazione deve adattarsi ai bisogni
dello "Standort"
(ubicazione centrale) di Zurigo. L'Università
diventata "sfortunatamente
un'università di massa" responsabile
della produzione di "troppi accademici
con cattive formazione", deve allinearsi
al modello anglosassone, la
divisione in due degli studi: come previsto dalla
"Dichiarazione di
Bologna", la grande maggioranza degli studenti
deve accontentarsi di studi
corti e pratici (Bachelor) e l'accesso ai veri
e propri studi universitari è
riservato ad una minoranza (Master). Inoltre,
se necessario, agli studenti
sarà impedito di proseguire gli studi attraverso
"tasse disciplinari" a
partire dal sedicesimo semestre, un aumento delle
tasse d'iscrizione,
l'abolizione del sistema delle borse e ogni tipo
di limitazioni
all'ammissione. Questo modello prevede che tutti
quelli esclusi dagli studi
elitari ricevano una formazione di base fondata
sulle competenze elementari
richieste dal mercato del lavoro, che assicura
loro una probabilità di
trovare un lavoro. Il liceo è stato accorciato
al fine di "concentrarsi
sull'essenziale", ed è stata valorizzata
la formazione professionale
(creazione di una scuola superiore di specializzazione
cantonale (HES)).
E' anche in questo contesto che bisogna comprendere
la riforma della scuola
primaria. Si noti lo spostamento delle linee direttive
del Dipartimento: non
si parla quasi più di "pari opportunità"
ma di "giuste opportunità", che
permetterebbero ai giovani di formarsi come "personalità
competenti, atte ad
imparare durante tutto il corso della loro vita
e con la volontà di essere
competitive (leistungswillig)". Spirito d'impresa,
accettazione dei vincoli
di flessibilità e d'adattamento, conoscenza
delle lingue straniere,
familiarità con i moderni mezzi di comunicazione:
è questo il nuovo ideale
della formazione primaria, che deve sostituire
le qualifiche acquisite con
la formazione scolastica per diventare "più
conforme al mercato del lavoro
(berufsbildungsgerecht)".
L'"autonomia" delle scuole:
un'illusione
Riduzione dei costi della formazione,
apertura agli investitori privati dei
settori più redditizi del mercato dell'istruzione,
ridefinizione dei
contenuti della formazione per avvicinarli ai
bisogni del padronato: l'NPM,
facendo da cerniera, ha permesso il perseguimento
contemporaneo di tutti
questi obbiettivi. Al centro della trasformazione
stanno i "budget globali"
e l'"autonomia parziale" (Teilautonomie)
degli istituti scolastici. L'NPM
prevede che le autorità politiche deleghino
l'attuazione delle loro
decisioni a entità autonome e concorrenti,
privatizzate o unite tra loro con
"contratti di prestazione" di tipo mercantile
del genere cliente-fornitore.
Il finanziamento è legato a ciò
che alcuni sostenitori dell'NPM chiamano
orientationoutput dei servizi: viene messo l'accento
sul "prodotto" e
l'"autonomia" delle scuole crea una
situazione di "libera concorrenza" per
l'ottenimento del denaro pubblico, che viene però
equilibrata
dall'importanza assunta dal controllo finanziario,
dalla valutazione
permanente delle prestazioni nella gestione delle
scuole e dall'insediamento
di un "direttore", vero e proprio presidente-direttore
generale della
scuola, che detiene il potere assoluto sulla gestione
delle sovvenzioni
pubbliche.
Questo quadro finanziario che spinge le scuole
ad un miglioramento continuo
dell'"efficienza" costringe oggettivamente
gli istituti scolastici ad
adattarsi agli obbiettivi della "visione"
di Buschor. In caso contrario
questi istituti rischiano di vedere ridotti i
mezzi a loro disposizione.
L'"efficienza" viene calcolata in funzione
di una formula che mette in
relazione i costi e i benefici per ogni studente,
sulla base di una
contabilità analitica per le scuole, allo
scopo di dare al cantone gli
strumenti per "prendere delle decisioni in
materia di politica della
formazione essendo pienamente a conoscenza delle
conseguenze finanziarie
reali".
Ora, di fronte all'impossibilità teorica
di individuare e tantomeno
quantificare tutti i risultati politicamente riconducibili
al sistema di
formazione (istruzione, socializzazione ecc.),
l'NPM opera un trasferimento
di potere in favore dei gestori e a scapito degli
insegnanti, riducendo il
processo intimamente politico della definizione
degli obbiettivi della
politica per la formazione alla semplice attuazione
dei valori d'efficienza
ed efficacia. Parallelamente si assiste oggi ad
una massiccia
riburocratizzazione dell'amministrazione: questo
processo si svolge
attraverso lo sviluppo di istanze di definizione,
di valutazione e di
controllo della "qualità" dell'insegnamento
e anche attraverso
l'introduzione di un sistema di valutazione degli
insegnanti (Lohnwirksame
Leistungsbeurteilung), sistema secondo il quale
il 67% di loro fa delle
"cattive o pessime esperienze".
Ma la "qualità" della formazione
non è l'unico bersaglio del nuovo sistema
di finanziamento: ce n'è anche per la "quantità".
Eloquente è l'esempio dei
licei di Zurigo: dopo l'introduzione dei budget
globali il Dipartimento
della pubblica istruzione ha cominciato a mettere
a confronto il numero di
lauree in percentuale ai nuovi iscritti all'università
sul totale dei
diplomati di scuola media superiore in rapporto
al costo degli studenti
liceali. Il risultato, secondo Buschor, è
stato che "non c'è relazione
diretta tra il numero di laureati per liceo e
il costo degli studenti,
nemmeno con l'offerta di corsi facoltativi".
Risultato: i corsi facoltativi
sono stati ridotti. Buschor ha tuttavia dimenticato
di precisare che la
scuola usata come benchmark (quella con il miglior
rapporto costi-benefici)
è il Liceo Rämibühl, che si trova
nel ricco quartiere «Züriberg»,
popolato
di studenti molto privilegiati...
Se prendiamo come esempio l'Università
di Zurigo, il meccanismo emerge
ancora più chiaramente: come metro dell'efficienza
dell'istituto, il
contratto di prestazione prende in considerazione
tra le altre cose "l'alta
qualità internazionale della ricerca",
misurata in funzione del numero di
pubblicazioni, citazioni e premi internazionali,
e anche il "tasso di
occupazione dei laureati e l'utilizzo effettivo
delle conoscenze
universitarie nel mercato del lavoro", calcolato
sulla base di sondaggi
effettuati su ex-universitari. L'indicatore più
importante è tuttavia quello
della "durata degli studi", che permette
di mettere a confronto qualsiasi
cosa, e il cui scopo principale è tematizzare
la durata degli studi,
giudicata eccessiva. In effetti, mentre la durata
della formazione
rappresenta la misura sociale di un diploma o
di una qualifica, quindi il
valore di forza lavoro qualificata che il possessore
vuole far riconoscere
sul mercato, l'obbiettivo principale consiste
nel ridurre la durata media
degli studi. L'irrazionalità della "razionalizzazione"
nel sistema di
formazione diventa così palese: il "progresso
scientifico" si mostra solo
con la velocità della sua produzione e
il denaro pubblico viene ritirato dai
settori "non redditizi" per essere reinvestito,
come prevede Buschor, "nei
settori produttivi dell'università: i rami
in crescita come la biologia, la
farmaceutica, l'informatica o i mercati finanziari".
Gli istituti scolastici sono quindi costretti,
se vogliono mantenere
un'"offerta scolastica" più corposa,
a procurarsi i fondi altrove. Il
"Progetto scuola 21" (Schulprojekt 21)
prevede così l'autofinanziamento
delle infrastutture informatiche con sponsor privati,
che ricevono come
controparte il diritto ad essere consultati in
materia di definizione dei
contenuti dell'insegnamento. Peraltro si apre
anche la possibilità di
privatizzare sempre più componenti del
sistema di formazione, un'evoluzione
resa possibile nel cantone di Zurigo grazie alla
legge sui licei, a seguito
della quale hanno aperto una ventina di nuove
scuole private. Finalmente
saranno gli stessi "clienti" dell'offerta
di formazione a pagarne parte dei
costi, considerandolo come un investimento in
capitale umano che dovrebbe
tradursi in un alto salario nel corso della vita.
Il Segretario di Stato
Charles Kleiber è recentemente venuto in
soccorso alla politica di aumento
delle tasse d'iscrizione universitarie di Buschor
(attualmente circa 1200
franchi all'anno, ma si prevede che nei prossimi
anni verranno raddoppiate e
che il sistema di borse verrà sostituito
da prestiti): ha affermato che "ciò
che non costa niente non vale niente" e ha
sottolineato che "le nuove
tecniche di finanziamento servono a regolare il
numero di studenti".
La questione delle tasse d'iscrizione è
al centro del meccanismo dell'NPM:
qui si incontrano il comportamento individuale
in materia di formazione, le
risorse finanziarie e le esigenze del mercato
del lavoro. Con l'aumento
delle tasse d'iscrizione e la diminuzione delle
borse l'interesse oggettivo
della maggioranza degli studenti diventa subito
quello di fare degli studi
più brevi e più conformi al mercato;
saranno incitati a fare calcoli precisi
sul "rendimento" futuro del loro "investimento"
nella formazione. Sul
versante degli istituti scolastici sopraggiunge
un effetto complementare:
nella misura in cui essi dipendono sempre più
dalle risorse provenienti
dalle tasse d'iscrizione e devono dimostrare di
meritare sussidi statali
ottenendo una buona valutazione, dovranno nascere
offerte convincenti per
attirare gli studenti, e dunque si farà
riferimento alle esigenze del
mercato del lavoro esattamente come gli studenti,
che giudicheranno
l"attrattività" in funzione delle
opportunità sociali legate all'uno o
all'altro diploma universitario.
Per questo articolo contattate
Alessandro Pellizzari (alessandro@attac.org)
Traduzione a cura di Claudio Carello
_____________________________
2 - La privatizzazione: una misura
Made in Perù?
____________________________________________________________
di Raúl Luna Rodriguez
Un terzo della popolazione peruviana
si è espressa apertamente contro le
privatizzazioni. Manifestazioni di protesta si
sono sviluppate in tutto il
sud e più recentemente nelle regioni di
Junín, Huancavelica, Piura e Talara.
I sondaggi mostrano un rifiuto, da parte della
popolazione, del 70%. I
funzionari del governo hanno segnalato la scarsa
informazione sui vantaggi
di questo nuovo processo di privatizzazione.
La misura ultimamente proposta
dal governo non sembra poi così originale.
Essa fa parte dei Programmi di Aggiustamento Strutturale
che il FMI e la
Banca Mondiale hanno imposto al Perù e
all'America latina dopo l'epoca di
Morales Bermúdez. Un caso recente è
il tracollo dell'Argentina, che ha
privatizzato al 100%: passato a pieni voti l'esame
del FMI si è trovata in
piena crisi dopo qualche mese. Ora è un
paese in bancarotta.
1. Il mito dello Stato cattivo
e della buona impresa privata
Empiricamente non è dimostrato
che il monopolio dell'efficacia appartenga al
privato mentre quello della burocrazia, della
lentezza e dell'assenza di
competitività allo Stato. Frasi ideologiche
che, ripetute fino allo
sfinimento, senza mai essere messe in dubbio,
si sono profondamente radicate
nell'immaginario popolare. Ma è tutto vero?
O non è che un mito promosso da
coloro che creano l'opinione pubblica?
Noi, peruviani e peruviane, abbiamo
contemplato lo smantellamento della
Sicurezza Sociale e la nascita delle assicurazioni
sanitarie e delle
cliniche private. Coloro di noi che utilizzano
questi servizi privati hanno
potuto costatare che le imprese private hanno
i loro difetti: lunghe attese,
cattiva sorveglianza medica, poche medicine, incompleta
copertura delle
infermità, costi eccessivi, pessima attrezzatura
e numerose morti dovute a
negligenza sia medica che amministrativa. Noi
utenti muoviamo le nostre
critiche ma non vediamo miglioramenti del servizio.
Nel mondo esistono differenti esperienze
di imprese statali: l'educazione
principalmente pubblica in Francia ed in Inghilterra,
la televisione di
stato inglese e i sistemi di salute dei paesi
nordici non sono tutti
efficaci? Il sistema educativo giapponese - pubblico
- non è all'altezza? La
NASA, certamente una delle organizzazioni d'avanguardia
a livello mondiale
in materia di ricerca scientifica e tecnica, è
un ente statunitense,
federale e pubblico. Tutte sono efficaci. Purtroppo
non è così per il Perù.
2. La popolazione peruviana non
crede alle privatizzazioni
E' certo che c'è molta inefficacia
nello sviluppo delle aziende di
distribuzione dell'elettricità e dell'acqua.
Sicuramente questo non è dovuto
solo ad una cattiva gestione da parte dello Stato,
ma anche all'attuale
svendita delle sue imprese e alla corruzione operata
da numerose aziende
private.
E' altrettanto certo che molte
aziende private costituiscano lobby per lo
smantellamento delle aziende pubbliche, che in
ragione della loro crescente
perdita di produttività saranno vendute
largamente al disotto del loro vero
valore.
In differenti paesi dell'America
Latina, lo Stato ha giocato un ruolo
"sporco", sovvenzionando il processo
di privatizzazione, realizzando, per
esempio, importanti investimenti al momento della
vendita, licenziando
lavoratori per trasmettere ai nuovi proprietari
un ridotto assetto
salariale, diminuendo la produttività per
giustificare la cattiva gestione
dello Stato e dichiarando a volte attivi sottovalutati.
Alcune aziende
candidate all'acquisto hanno corrotto dei funzionari
statali.
3. Privatizzazione o vendita all'asta
Il governo, attraverso l'intermediario
della COPRI, ha segnalato che le
azienda EGASA e EGESUR saranno vendute per 156
milioni di dollari. Il prezzo
è stato determinato in base allo stesso
metodo di valutazione implementato
dal governo di Fujimori. Il Presidente della Commissione
Energia e Miniere
del Congresso sostiene che le due aziende abbiano
un valore di almeno 260
milioni di dollari. Nel Sud del Perù, si
parla di 460 milioni di dollari.
Entrambe sono aziende in piena attività,
senza alcun rischio di crollo o di
una diminuzione della domanda. Dobbiamo ricordare
il prezzo di vendita della
Telefónica, proposta sul mercato dallo
Stato al prezzo di 500 milioni e
acquistata per 2,5 miliardi di dollari. Realizziamo
solo oggi che questo
prezzo fu estremamente basso. Un altro caso è
quello della Electro Andes che
la COPRI ha introdotto sul mercato a 120 milioni
di dollari e che è stata
comprata per 227 milioni. L'offerta e la domanda
non spiegano questa
variazione del prezzo. Il problema è nel
metodo utilizzato per valutare il
prezzo delle aziende pubbliche, che sistematicamente
le sottovaluta.
Sicuramente non manca la corruzione.
4. Consultazione sul Modello Economico
Non si può prendere la decisione
di privatizzare le imprese di distribuzione
dell'acqua e dell'elettricità senza l'avvallo
della popolazione, tanto più
che il governo eletto ha scartato la privatizzazione
come fonte per colmare
il deficit pubblico.
Perché questa consultazione
sia uno spazio di educazione e di decisione, è
necessario che lo Stato, le aziende private e
gli utenti ed i consumatori
occupino spazio e media in maniera equa, al fine
di far conoscere tutte le
proposte evitando che si parli unicamente di quelle
delle aziende private.
Gli utenti ed i consumatori devono partecipare
al dibattito e le diverse
proposte dello Stato devono essere apertamente
dibattute.
Il principale ostacolo all'espansione
della rete di erogazione dell'
elettricità è il ridotto livello
dei guadagni della popolazione più povera
del paese, che non ha nemmeno accesso al servizio,
e questo non può essere
risolto dalla privatizzazione. Lo Stato in tutti
i paesi del mondo ha la
responsabilità di assicurare il servizio
base ai poveri, cosa non garantita
dalla privatizzazione dei servizi pubblici.
Quando nel 1991 in Perù
sono iniziate le privatizzazioni, le inchieste
mostravano che più di tre quarti della
popolazione le approvava. Oggi, i
risultati sono inversi: il disincanto della maggior
parte della popolazione
è evidente. La crescita dei prezzi, la
degradazione della qualità di certi
settori e l'esclusione delle fasce più
povere, spiega il cambio d'opinione.
González de Olarte segnala
che la maggior parte delle attività che
per lo
Stato rappresentavano dei guadagni è stata
venduta a privati nei settori
delle finanze, della pesca e delle telecomunicazioni.
Ulteriori settori sono
stati coinvolti: le miniere sono state privatizzate
al 90%, le manifatture
al 85,5%, gli idrocarburi al 68%, l'elettricità
al 68% e l'agricoltura al
35%. Parallelamente, 225 progetti di privatizzazione
e/o di concessione sono
stati iniziati, generando 65 miliardi di dollari
di per il Tesoro Pubblico,
aggiungendosi agli 11,4 miliardi di investimenti
promessi, di cui la maggior
parte sono stati realizzati. Nonostante ciò,
la situazione del paese, dei
consumatori e degli utenti, non è migliorata.
Tutto non si può spiegare con
la corruzione. Il modello economico costituisce
anche un ostacolo che non
permette né di uscire dalla povertà
né di soddisfare gli interessi e le
attese degli utenti.
Contatto per questo articolo: echla@attac.org
Traduzione a cura di Silvia Galasso.
_____________________________
3 - A chi appartiene l'acqua? A
Suez, a RWE, a voi o a me?
____________________________________________________________
Di Mort Rosenblum
In un mondo dove l'acqua fresca
diventa sempre più rara, prende piede un
nuovo dibattito: le aziende private sono libere
di estrarre il petrolio, l'
oro nero, ma che ne è della risorsa, il
cui valore è infinitamente più
grande, l'oro blu?
Due compagnie francesi, la Suez
e la Vivendi Environnement, da sole
forniscono l'acqua a 230 milioni di persone sulla
terra, andando da città
Usa come Atlanta a centri urbani a un capo all'altro
del Terzo Mondo.
Il tema della privatizzazione dell'acqua,
appena accennato ancora qualche
anno fa, è probabilmente uno dei grandi
problemi, affrontati al Summit
mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile
permanente di
Johannesburg in Sud Africa.
Il problema viene affrontato con
una domanda falsamente semplice: l'acqua,
costituisce un diritto per tutti gli uomini o
è una merce?
"La questione è proprio che è
entrambe le cose", dice Peter Gleick del
Pacific Institute di Berkeley in California. Ognuno
ha diritto ad un'acqua
pulita e senza pericoli, dice, ma a causa dei
fallimenti dei governi, 1,1
miliardi di persone, non vi hanno accesso.
Una nuova tendenza si sta diffondendo.
La Suez, come la Vivendi, si
aspettano una crescita a due cifre del loro commercio
dell'acqua e ciascuna
ha già contratti che ammontano a più
di 10 miliardi di dollari all'anno di
fatturato. Portorico ha appena firmato con la
Suez un accordo per la
distribuzione della sua acqua.
RWE, un gruppo tedesco che produce
e vende energia elettrica, è in procinto
di acquisire delle piccole aziende d'acqua al
fine di sconfiggere le società
francesi. Numerose altre società private
sono titolari di concessioni per
pompare, trattare e distribuire l'acqua.
Anche se queste aziende hanno il
diritto di commercializzare l'acqua, ma non
la sua proprietà in sé, Gleick e
altri si preoccupano che un'inevitabile
espansione del settore privato possa sfuggire
al mimino controllo pubblico.
"La privatizzazione ha un potenziale di crescita
enorme a causa dell'
assoluto bisogno di acqua dei paesi in via di
sviluppo. Ma l'acqua è troppo
importante per essere lasciata nelle mani solamente
di privati", dichiara
Gleick.
La Banca Mondiale, le agenzie delle
Nazioni Unite e un certo numero di
governi aderiscono ad un concetto che chiamano
PPP, partenariato
pubblico-privato.
Incoraggiano le compagnie ad investire fortemente
in pompe, collettori e
altre infrastrutture necessarie all'approvvigionamento
di acqua, in cambio
di profitti. In numerose grandi città,
quasi la metà dell'acqua potabile
prodotta viene persa a causa di fughe e rotture
nelle condotte. La
fatturazione è sovente confusa. I servizi
pubblici che gestiscono l'acqua
non hanno generalmente soldi e tecnologie, combattono
per rispondere ad una
domanda che si accresce rapidamente.
La Suez e la Vivendi rimarcano
alcuni casi al mondo in cui esse hanno esteso
il servizio, talvolta a prezzi modici. Le due
società insistono sul fatto
che esse vendono un servizio e non l'acqua in
sè, e sottolineano che il loro
operato si svolge sulla base di concessioni che
devono essere rinnovate.
Sostengono che migliori risorse permettono che
molte persone povere abbiano
accesso ad un'acqua affidabile per molto meno
di quanto pagavano ai
venditori ambulanti.
"Noi abbiamo soldi ed esperienza
e crediamo di potere gestire l'acqua meglio
degli stati", diceva Jacques Pétry,
direttore di Ondeo, la divisione acqua
di Suez. "Noi non siamo i proprietari di
queste risorse. Noi le gestiamo e
le proteggiamo." Per il momento la filiale
americana di Ondeo ha dovuto
affrontare una valanga di proteste, in seguito
alla ripresa della
distribuzione dell'acqua ad Atlanta nel 1999.
I consumatori hanno denunciato
interruzioni dell'erogazione inesplicabili, fatturazioni
confuse e lunghi
ritardi nel servizio.
La gestione dell'acqua è
un affare intimamente legato a delle difficoltà
economiche e culturali. Nel 2000, una sollevazione
popolare a Cochabamba,
Bolivia, ne mostra i pericoli. I consumatori si
sono rivoltati quando
Bechtel ha raddoppiato il prezzo dell'acqua. Sette
persone sono morte nel
corso di questi avvenimenti e l'azienda Usa ha
perso la concessione.
La militante canadese Maude Barlow,
autrice del libro Blue Gold (Oro blu),
afferma chiaramente la sua posizione nel sottotitolo:
La lotta per impedire
alle grandi imprese di rubare l'acqua del mondo.
Anche ammettendo che il
settore privato abbia un ruolo da giocare, l'autrice
afferma che l'acqua
deve imperativamente restare nelle mani del settore
pubblico, senza
confusione alcuna tra diritti dell'uomo e interessi
commerciali. "Nel
diritto, non possono essere uguali", dice.
Nel 2000, la Barlow ha reso un
omaggio entusiasta alla rivolta di
Cochabamba. Oggi, riconosce che la risorsa attuale,
gestita da una
cooperativa è in rovina, senza capitali
né esperienza. "perché è
possibile
trovare denaro per una compagnia privata e non
per una società pubblica?",
si chiede difendendo l'idea che le agenzie internazionali
dovrebbero aiutare
le autorità locali nella gestione del loro
sistema di distribuzione dell'
acqua.
Altri militanti si preoccupano
dei possibili risvolti della logica della
privatizzazione: se le compagnie fanno dei soldi
fornendo l'acqua, la loro
motivazione non sarà piuttosto quella di
venderne il più possibile piuttosto
che di proteggere una risorsa rara?
Eppure William Cosgrove, un consulente
canadese che ha partecipato alla
redazione del rapporto "World Water Vision"
per una conferenza sull'ambiente
l'anno scorso a La Hague, nei Paesi Bassi, insiste
sul fatto che la maggior
parte delle persone, ivi compresi i dirigenti
di impresa, sono convinti che
l'accesso all'acqua sia un diritto fondamentale.
"vi sono discussioni
unicamente perché questo [principio, n.d.t.]
non è tenuto nel debito conto."
sostiene. "Fintanto che sarà possibile
per i Governi, predisporre
regolamentazioni e definire gli obbiettivi, si
potrà utilizzare al meglio l'
acqua di cui dispongono".
I dirigenti di Suez e Vivendi
sono d'accordo. Un portavoce di Suez,
Jean-Luc Trancart, con una lunga esperienza nella
gestione dell'acqua in
Francia, argomenta come le compagnie private rispondano
ad un bisogno
vitale. Ha dichiarato: "io dico sempre agli
attivisti che vogliono causarci
un danno, che dovrebbero piuttosto fare in modo
che il settore pubblico
funzioni meglio."
Pierre Victoria, direttore delle
relazioni pubbliche della Vivendi, afferma
che il governo deve assumere un ruolo di regolatore
e che la gestione
privata non può che fallire se le persone
non ricevono un servizio migliore
ad un giusto prezzo.
Gleick, del Pacific Institute,
pensa che a lungo termine, le compagnie
private non saranno più il motore del settore.
Già alcune grandi città
americane ci pensano due volte prima di privatizzare.
"Se gli esempi
cardine, quali quello di Atlanta, non funzionano,
le cose rallenteranno
presto", prevede Gleick.
Di più, le possibilità
commerciali sono limitate nei paesi privi di
compagnie pubbliche solide. Raccoglieranno i frutti
dai rami bassi: il
sistema municipale esistente, manca di soldi e
di esperienza e rifornisce le
classi medie o elevate, dice Gleick. "I poveri
sono sempre lasciati da
parte".
Contattare per questo articolo
editor@waterindustry.org
http://www.waterindustry.org/
Traduzione a cura di Simone Bocchi
_____________________________
4 - Algeria. No alla miseria!
____________________________________________________________
A cura di Adel Abderreza e Chouicha
Kaddour (sindacalisti del CNES)
L'anno 2002 si annuncia un anno
pieno d'incertezze sia sul piano politico
che economico. L'opera distruttrice della globalizzazione
liberale continua
ma su di uno sfondo di recessione economica, in
quanto la crescita
dell'economia mondiale marca il passo con il suo
bagaglio di disoccupazione,
di precarietà e di violenza sociale. Inoltre,
la situazione politica segnata
dagli eventi tragici dell'11 settembre 2001 è
l'occasione per l'occidente
capitalista e gli Stati Uniti in particolare,
di rinforzare la loro egemonia
sull'economia-mondo e sulla geopolitica mondiale
utilizzando le guerre, "di
operazioni chirurgiche" e di ricatti economici.
L'opzione neo-liberale inaugurata
dalla Thatcher in Inghilterra e da Reagan
negli Stati Uniti alla fine degli anni '80, verrà
adottata da tutta l'Europa
ed estesa all'Asia e a tutti i paesi del Terzo
mondo tra cui l'Algeria. Ne
risultano delle politiche economiche fondate sul
primato dei criteri
monetari e finanziari che voltano le spalle ai
bisogni sociali e a qualsiasi
prospettiva di sviluppo duraturo per i paesi sotto-sviluppati.
Le
conseguenze di questo processo di "globalizzazione
liberale" sono note:
disoccupazione massiva, disindustrializzazione,
diminuzione netta dei salari
reali, allargamento delle ineguaglianze sociali,
aumenti dei superprofitti
capitalisti, riapparizione di forme di dipendenza
neo-coloniali, della
malnutrizione e della povertà di massa,
etc.
L'Algeria non sfugge a questo processo.
Dalla fine degli anni '80 subisce i
programmi draconiani imposti dall'FMI e dalla
Banca Mondiale. Dopo l'intifah
rampante dell'era Chadli, i governi di Hamrouche,
di Reda Malek e di Ouyahia
hanno attuato delle politiche di aggiustamento
strutturale che hanno
seppellito un settore industriale pubblico in
crisi, spinto alla rovina dei
servizi pubblici (sanità, educazione, protezione
sociale,.) e ridotto alla
disoccupazione e alla povertà più
di 15 milioni di cittadini algerini.
Questi effetti, anche se lungamente occultati
dagli eventi degli ultimi
dieci anni ove la violenza integralista e l'apparato
di pubblica sicurezza
del potere hanno provocato un concentrato di tragedie,
non cessano di
lavorare allo smembramento della società
e al dislocamento del tessuto
industriale e sociale. Questo contesto tragico
ha inevitabilmente
anestetizzato il movimento sociale e lasciato
il terreno libero alla
liberalizzazione economica a oltranza ed alla
privatizzazione dei beni
pubblici ad un valore del dinaro simbolico. I
detentori degli apparati
statali, i predatori del settore pubblico e gli
arrivisti dell'era affarista
si sono iscritti nel tutto-commerciabile e nel
lassismo ("laisser-faire"), l
'incuria ("laisser-aller"), accumulando,
senza alcuno scrupolo, ricchezze
materiali e arroganza sociale di fronte ad una
maggioranza della popolazione
largamente in stato di precarietà e emarginata.
La società algerina ha
provato, bene o male, a resistere ai colpi infertigli
dagli "incaricati di
missione" dell'opzione neo-liberale sia nella
versione "modernista" che
"islamica". Il movimento sociale, disarcionato
dall'allineamento della
maggioranza dei partiti politici alle scelte liberali
del potere, da una
UGTA (Unione Generale dei Lavoratori Algerina)
ridotta ad un ruolo
ausiliario di quest'ultimo e da un contesto di
violenza politica poco
favorevole all'azione sociale, non ha ceduto alla
rassegnazione. Delle
velleità di resistenza al "tutto liberale"
sono state espresse sia
attraverso il movimento sindacale (dei settori
combattivi dell'UGTA, dei
sindacati autonomi..) che nelle strade attraverso
movimenti di protesta e
sommosse popolari di cui l'ultimo in termini di
data ed il più radicale è
rappresentato dal movimento popolare in Kabilia.
Non si possono indefinitamente
chiudere gli orizzonti sociali a tutta una
gioventù senza vedere questa stessa gioventù
esprimersi attraverso i soli
mezzi che le rimangono e cioè la sommossa
in strada. Non si possono
indefinitamente licenziare centinaia di migliaia
di lavoratori, installare
nella precarietà milioni di algerini ed
annerire il loro divenire sociale
senza creare situazioni di disperazione sociale
propizie alle ideologie
irrazionali ed ai populismi regressivi.
Attualmente, il governo algerino tenta di completare
questa messa a morte
del tessuto industriale algerino e dell'economia
pubblica concretizzando la
firma dell'accordo d'associazione con l'Unione
europea (UE) e preparando
l'adesione dell'Algeria all'Organizzazione Mondiale
del Commercio (OMC).
Senza alcun dibattito di fondo e pubblico, le
autorità algerine vogliono
trascinarci, attraverso la loro politica, nell'aggravamento
della crisi che
stiamo attraversando e fare dell'Algeria un segmento
del mercato mondiale
per le merci dei paesi sviluppati ed una riserva
di caccia delle
multinazionali per ciò che concerne l'approvvigionamento
di petrolio di
questi stessi paesi. L'inserimento del nostro
paese nella globalizzazione
capitalista ci rinchiude in una logica di commercializzazione
distruttrice.
Il popolo argentino delle baraccopoli e delle
industrie privatizzate ci
mostra il cammino, lui che, nella sua determinazione,
ha fatto fuggire il
presidente della Repubblica occupando le strade
per protestare contro la
miseria sociale generata dalla politica neo-liberale
del governo e dal
diktat delle istituzioni internazionali.
Non possiamo subire senza reagire.
Non possiamo avvalere questa convergenza
liberale dove, islamici e democratici, aparatchiks
dello stato e
contrabbandieri ("trabendistes") ottengono
il consenso sulla scelta liberale
dietro il potere politico sulla pelle della società.
La nostra posizione non
è né quella dei nostalgici del socialismo
specifico algerino, né quella di
coloro che, alloggiati nella burocrazia politica,
amministrativa (holdings,
ministeri) o sindacale, cercano di far perdurare
la loro situazione di
predatori e di coloro che beneficiano del mondo
del lavoro. Noi siamo
chiaramente contrari ai cantori del liberalismo,
dell'economia di mercato e
della globalizzazione sotto il suo aspetto più
schifoso, e cioè la miseria
per la maggioranza e l'essenziale delle ricchezze
per la minoranza sociale.
Il movimento alter-globalizzazione,
che si batte contro il modello
neo-liberale e la trasformazione del mondo in
merce e che ha saputo creare
un polo di resistenza internazionale alla globalizzazione
liberale,
partecipa attivamente ed efficacemente al delineamento
attraverso le sue
azioni e la sua riflessione ed un'alternativa
alla globalizzazione liberale.
La nostra posizione non può che raggiungere
quelle e quelli che si battono a
livello internazionale per una globalizzazione
sociale, vale a dire che
ponga come prima preoccupazione la presa a carico
dei bisogni della
popolazione attraverso delle modalità di
sviluppo che sfuggano al dispotismo
della merce e del profitto.
Il nostro obiettivo è di
costruire insieme un'associazione che avrà
cura di
dibattere e di divulgare quelle questioni che
rimangono appannaggio degli
pseudo-esperti e di battersi per esigere un'altra
politica economica. Sarà
un quadro di riflessione e d'azione universitaria,
sindacalista, ove attori
associativi e cittadini congiungeranno i loro
sforzi per costruire insieme
una scuola d'opposizione a questo liberismo sfrenato
portato dalla
globalizzazione liberale in seno all'opinione
pubblica, nei media, nel
movimento sindacale e sociale,.
Questo testo traccia le basi programmatiche
elementari di una tale azione e
non è che un progetto che bisognerà
discutere ed arricchire al fine di
permettere a tutti coloro che vogliano battersi
su questo terreno di
raggrupparsi e organizzarsi in un'associazione
di cui bisognerà definire i
contorni insieme.
Traduzione a cura di Lydia Bellik
---
Il Granello di Sabbia è realizzato da un
gruppo di traduttori e traduttrici volontari/e
e dalla redazione di ATTAC Italia redazione@attac.org
Riproduzione autorizzata previa citazione e segnalazione
del "Granello di Sabbia - ATTAC - http://attac.org/"
|