segnali dalle città invisibili
  Giro98 Movimento forum sociale europeo
Riviste: GRANELLO DI SABBIA (n°69)

Bollettino elettronico settimanale di ATTAC
Giovedì, 17-10-2002
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Vi preghiamo di diffondere il Granello nella maniera più ampia
possibile.
Numero di abbonati attuali: 4 645

ATTENZIONE:
tutti i Granelli di Sabbia sono a disposizione sul sito in versione .pdf e
.rtf al seguente indirizzo:
http://www.attac.org/italia/granello/indice.htm
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Indice degli argomenti

Questo Granello di Sabbia speciale
La Redazione
Questo Granello di Sabbia vi offre due soli contributi, un appello a
scioperare domani e un materiale di "autoeducazione" sulle privatizzazioni.
Ci avviciniamo al Forum Sociale Europeo e ad una stagione di lotte sociali
nella quale saremo presenti con una grande iniziative sui "diritti in
movimento". Crediamo che il vostro contributo sia fondamentale perché "tutti
insieme è possibile".

1 - Diritti in movimento!
di Consiglio Nazionale ATTAC Italia
ATTAC Italia aderisce allo sciopero nazionale del 18 ottobre promosso dalla
CGIL.
Difendere i diritti e le condizioni dei lavoratori è oggi uno dei tasselli
fondamentali per rimettere al centro le persone in carne ed ossa e mettere
in discussione il modello di globalizzazione liberista imperante.

2 - Materiali di autoeducazione per un'iniziativa locale ed europea contro
le privatizzazioni.
di Cinzia Arruzza (ATTAC Roma)
Paragrafi: Privatizzare è bello; Le grandi privatizzazioni in Italia; La
privatizzazione dei servizi pubblici locali; La trappola del GATS; La
questione acqua; La campagna europea contro le privatizzazioni e il GATS;
Alcune osservazioni sul senso politico della campagna e del ruolo dei
servizi.

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Questo Granello di Sabbia speciale
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La Redazione

Questo Granello di Sabbia vi offre due soli contributi.

Il primo è il motivo per cui aderiamo e vi invitiamo ad aderire allo
sciopero generale di domani 18 ttobre.

Il secondo un "materiale di autoeducazione" sulle privatizzazioni in vista
del grande impegno che ATTAC (in Italia e in Europa) dedicherà al processo
di privatizzazione dei servizi sociali e di mercificazione dei beni pubblici
fondamentali in corso (attraverso il Gats così come nella Finanziaria).
Parleremo sempre più in questi mesi di "diritti in movimento" e crediamo sia
importante cominciare a riflettere e contribuire tutt* insieme alla difesa e
allargamento dei diritti nel lavoro, nei servizi sociali, nella
cittadinanza.

Vi ricordiamo a questo proposito due importanti appuntamenti:

La presentazione di ATTC al Forum Sociale Europeo di Firenze e la conferenza
dibattito sulle privatizzazioni di sabato 19 ottobre ( a Firenze presso
Casa del Popolo 25 aprile, via Bronzino 118, a partire dalle 10.30)
Per informazioni ciccate su:
http://www.attac.org/italia/in%20italia/associazione/prog19-20ott02.htm

L'adesione e sottoscrizione entro il 10 novembre ad ATTAC Italia per
permetterci di costruire questa grande iniziativa per la partecipazione
democratica e contro la mercificazione della nostra vita.
Per informazioni cliccate su:
http://www.attac.org/italia/in%20italia/associazione/aderire02-03.htm

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1 - Diritti in Movimento!
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di Consiglio Nazionale ATTAC Italia

ATTAC Italia aderisce allo sciopero nazionale del 18 ottobre promosso dalla
CGIL.
Difendere i diritti e le condizioni dei lavoratori è oggi uno dei tasselli
fondamentali per rimettere al centro le persone in carne ed ossa e mettere
in discussione il modello di globalizzazione liberista imperante.
E' chiaro a tutti noi come la volontà di attacco all'Irak a tutti i costi,
espressa dal Governo degli Stati Uniti ci propone la guerra come mezzo
ordinario di regolazione delle relazioni internazionali e le manifestazioni
del 18 ottobre sono per noi un momento decisivo per generalizzare ed
esprimere un sentimento comune di contrasto a questa tendenza.
La guerra corre il rischio di diventare il quadro generale che giustifica i
processi di precarizzazione e di smantellamento dei diritti contro cui si
vuole lottare.
La messa in discussione del processo di precarizzazione del lavoro non solo
deve portarci a sconfiggere l'attacco all'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori e l'ulteriore precarizzazione del lavoro, ma a cercare di portare
avanti, in controtendenza, un allargamento dei diritti a chi da sempre ne è
privo e alle figure di lavoratori frutto dei processi di modifica del
rapporto di lavoro di questi anni, così come ai migranti.
A questo proposito noi consideriamo un passaggio fondamentale il referendum
per l'estensione dell'art.18 alle aziende con meno di 15 dipendenti, a cui
come ATTAC abbiamo aderito.
Manifestare contro la finanziaria di Berlusconi e il "Patto per l'Italia"
significa per noi mettere in discussione un passaggio importante del Governo
verso la cancellazione della conflittualità sociale in questo paese e la
privatizzazione dei servizi sociali.
Individuare invece una controtendenza per una gestione pubblica dei beni
comuni e quindi fuori delle regole di mercato è uno degli obiettivi centrali
che ci poniamo.
Guerra, privatizzazioni e attacco ai diritti delle persone e dei lavoratori
sono le caratteristiche fondamentali della globalizzazione neoliberista che
vanno contrastati per costruire un modo diverso.
Per questo consideriamo lo sciopero del 18 come un passaggio importante per
ATTAC e per tutto il movimento che si batte contro la globalizzazione
neoliberista e per questo saremo in piazza a sostegno delle lotte dei
lavoratori e con i nostri obiettivi.

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2 - Materiali di autoeducazione per una iniziativa locale ed europea contro
le privatizzazioni
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di Cinzia Arruzza (ATTAC Roma)


Privatizzare è bello. Alcuni cenni sulle privatizzazioni in Europa

La vague privatizzatrice che sta attraversando l'Europa trova la sua ragion
d'essere nella fase di crisi che il capitalismo a livello mondiale sta
attraversando a partire dagli anni '70. La necessità di incrementare i
profitti in un momento di rallentamento nell'accumulazione capitalista, ha
spinto governi e tecnici ad abbandonare le ricette neo-keynesiane, per
abbracciare dei programmi più compiutamente liberisti. Lo smantellamento
dello stato sociale nei diversi paesi europei e la trasformazione dei
servizi pubblici in settori soggetti al mercato e degli utenti in clienti ha
permesso e permetterà un'ulteriore riduzione della ridistribuzione dei
profitti: essa risponde alla necessità di aprire agli investimenti delle
imprese settori nuovi che prima erano coperti dall'intervento statale. L'
avanguardia di questo processo in Europa è stata la Gran Bretagna, che a
partire dal 1979 ha avviato una politica neoconservatrice di vendita del
patrimonio pubblico e di privatizzazione degli enti e dei servizi pubblici
(trasporti, poste, energia, reti idriche, telecomunicazioni), con gravissime
conseguenze sulla possibilità d'accesso ai servizi e sulle condizioni di
vita e di lavoro dei lavoratori. Il resto d'Europa si è avviato su questa
strada a partire all'incirca dall'inizio degli anni '90: a una politica di
progressive privatizzazioni si è accompagnata una massiccia campagna
ideologica basata un po' dappertutto sulla svalorizzazione dei servizi e
degli enti pubblici (inefficienze, ritardi, qualità dei servizi, costi..),
sulla celebrazione delle virtù del libero mercato e della libera
concorrenza, sulla drammatizzazione della situazione dei conti pubblici
degli stati e dunque la necessità di una drastica riduzione della spesa
pubblica. La necessità di risanare il debito pubblico è stata utilizzata
come scusa per svendere il patrimonio pubblico, mentre al contrario sul
piano fiscale non solo nulla è stato fatto per colpire i redditi da impresa,
ma anzi sono state create politiche di incentivi fiscali e sgravi a
vantaggio delle imprese, come in Germania e in Italia, che hanno contribuito
ad allargare il debito pubblico. Fatta eccezione per la Gran Bretagna, la
prima ondata di privatizzazioni nel corso degli anni '90 ha riguardato
soprattutto i settori delle telecomunicazioni, delle poste e i servizi
pubblici a livello locale. Adesso, in sintonia con il GATS, si assiste a una
nuova massiccia ondata di privatizzazioni che riguardano i trasporti, il
settore idrico, l'istruzione pubblica, la sanità. In Francia il governo sta
attualmente lavorando alla privatizzazione dell'EDF (l'ente per l'energia
elettrica) e del GDF (l'ente per il gas, per cui si sono già candidate la
Total e la Suez, due aziende legate ai fondi pensione statunitensi). I
settori sottoposti a privatizzazione in Francia in questi anni sono stati:
sanità, poste, servizi locali e telecomunicazioni. In Germania si sta
vendendo la rete idrica: nel giugno del 1999 la SARL Acqua, una filiale del
trust tedesco RWE, insieme alla Compagnie Générale des Eaux (CGE), che
appartiene a Vivendi, e alla SARL Allianz Capital Partner, ha compiuto l'
acquisizione del 49,9% della fornitura in acqua berlinese. A un processo di
privatizzazione è sottoposto in questo momento anche l'LBK, cioè l'insieme
degli ospedali del Land di Amburgo, che è una delle più grosse aziende
ospedaliere d'Europa. Le privatizzazioni, contrariamente alle belle
dichiarazioni sulle virtù della libera concorrenza, hanno favorito in tutta
Europa la formazione di oligopoli, come dimostrano il settore delle
telecomunicazioni e il trust francese Vivendi. Non va però fatto l'errore di
pensare che la privatizzazione di un servizio comporti immediatamente l'
aumento delle tariffe per gli utenti e una maggiore difficoltà di accesso;
non è raro che in settori privatizzati si verifichi inizialmente un
abbassamento delle tariffe finalizzato a garantirsi e stabilizzare una fetta
di mercato. Soltanto nel medio periodo sarà possibile valutare
effettivamente e con cognizione di causa i reali effetti delle
privatizzazioni sull'accessibilità e la diffusione dei servizi. Altro
discorso può essere fatto, invece, per quanto riguarda il peggioramento
delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle lavoratrici, in
quanto le privatizzazioni hanno comportato finora generalmente tagli degli
organici, introduzione della precarietà, peggioramento delle condizioni
contrattuali, aumento del mobbing. Tuttavia, uno studio approfondito sugli
effetti delle politiche di privatizzazione portate avanti in questi anni in
Europa deve essere ancora condotto.

Le grandi privatizzazioni in Italia

Iniziamo con alcune cifre: al Fondo di ammortamento dei titoli di stato, che
è quasi interamente finanziato dalle privatizzazioni, sono giunti per
dismissioni di patrimonio pubblico dal 1994 al 1999 111.870 miliardi di
lire, vale a dire 57.776.033.301 Euro; il volume complessivo delle cessioni
realizzate dal gruppo Iri dal luglio del 1992 al 30 giugno 1999 è pari a
27.240.519.142 Euro (52.745 miliardi di lire); il volume complessivo delle
cessioni realizzate dal gruppo Eni dal luglio 1992 al 31 dicembre 1998 è
pari a 4.186.399.624 Euro (8106 miliardi di lire). Valutando soltanto la
scorsa legislatura, complessivamente, l'incasso globale derivato dalle
privatizzazioni del Tesoro, del Gruppo IRI e del Gruppo ENI ammonta a 160
mila miliardi di lire (82,5 miliardi di e). Se si prende in considerazione
il periodo 1992-2000 e i proventi derivanti da privatizzazione, l'Italia
risulta detenere l'infelice primato europeo in termini di cessione del
patrimonio pubblico. I proventi delle privatizzazioni sono stati interamente
destinati al risanamento del debito pubblico; a tale scopo nel 1993 è stato
istituito il Fondo di ammortamento dei titoli di stato, in cui sono stati
versati i ricavati. La riduzione del debito pubblico è stata condotta,
tramite questo Fondo, con il riacquisto di titoli di Stato e con il rimborso
di titoli di Stato in scadenza.
Il processo di privatizzazione dei grandi enti pubblici e di cessione delle
partecipazioni statali nei diversi settori imprenditoriali ha avuto inizio
con l'emanazione del decreto-legge 5 dicembre 1991, n. 386,
convertito, senza modificazioni, con legge 29 gennaio 1992 n. 35, che
riguardava la trasformazione in società per azioni degli enti di gestione
delle Partecipazioni Statali e degli altri enti pubblici economici
nonché delle aziende autonome statali e del decreto legge 11 luglio1992,
n. 333, che prevedeva la trasformazione dei grandi enti pubblici in società
per azioni, trasferendone la proprietà direttamente al Ministero del Tesoro.
Con il governo Ciampi, il 30 giugno 1993 è stato istituito il Comitato
permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni; il 27
settembre è stato presentato il decreto legge n. 389, primo di una serie di
provvedimenti che, l'anno successivo, hanno portato alla legge 474, che
rappresenta ancora oggi la griglia operativa delle procedure di dismissione
delle partecipazioni dirette e indirette del Tesoro. A livello europeo sono
stati due gli eventi che hanno dato un forte impulso all'avvio del processo
di privatizzazione (oltre ovviamente la necessità dell'adeguamento ai
parametri sanciti dal patto di stabilità): l''accordo Savona-Van Miert'
(1993), che, a condizione di privatizzare il settore, permetteva allo Stato
italiano la ricapitalizzazione della siderurgia in quel momento in crisi; il
protocollo, siglato nell'estate del 1993 dall'allora Ministro degli Esteri,
Beniamino Andreatta e da Karel Van Miert, Commissario europeo alla
concorrenza, che impegnava il governo italiano a ridurre entro il 1996 l'
indebitamento delle imprese pubbliche fino ad arrivare a livelli accettabili
per gli investitori privati.
Le prime operazioni di vendita da parte del Tesoro sono iniziate nel 1994;
in questo anno sono state messe in vendita la prima tranche dell'INA e dell'
IMI, tramite collocazione in Borsa, e la Banca Commerciale Italiana, e sono
state realizzate dall'IRI la cessione della Acciai Speciali Terni e dell'
ultima parte della SME (con queste due operazioni l'IRI ha avviato la sua
fuoriuscita dal settore siderurgico e da quello della ristorazione e della
grande distribuzione). Queste operazioni sono proseguite nel 1995 con la
messa in vendita della seconda tranche dell'INA e dell'IMI, che saranno
vendute per intero l'anno successivo, e con l'inizio della vendita dell'ENI.
Sempre nel 1995 è stata varata la legge istitutiva delle Autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità (L.481/95), che avrebbe
successivamente permesso l'inizio della vendita di Telecom Italia e dell'
Enel. Nel 1997 il processo di privatizzazione ha compiuto un deciso salto di
qualità, sia per l'entità delle cessioni sia per la loro qualità e incidenza
dal punto di vista sociale. In quest'anno, infatti, oltre a vendere la terza
tranche dell'ENI e le proprie partecipazioni nell'Istituto bancario S. Paolo
di Torino, nel Banco di Napoli e nella SEAT, il Ministero del Tesoro ha
dismesso la propria partecipazione in Telecom Italia. In un primo momento si
è provveduto a costituire un azionariato stabile rappresentato dai seguenti
soggetti:
Azionisti stabili Quota acquistata (%)
Assicurazioni Generali 0,6
Alleanza Assicurazioni 0,4
Banca Commerciale Italiana 0,5
Credito Italiano 0,7
Rolo Banca 1473 0,3
Imi - Istituto Mobiliare Italiano 0,8
Banca Monte dei Paschi di Siena 0,5
INA - Istituto Nazionale delle Assicurazioni 0,5
Compagnia di San Paolo 0,6
IFIL - Finanziaria di partecipazioni 0,6
Fondazione Cariplo 0,5
Credit Suisse Group 0,7
Totale 6,7

Nella fase successiva il resto delle partecipazioni del Ministero del Tesoro
è stato venduto mediante un'offerta pubblica di azioni private in Italia e
mediante un collocamento privato destinato agli investitori professionali
italiani ed istituzionali esteri, in Italia, Regno Unito e Repubblica d'
Irlanda, Resto del Mondo. Complessivamente per questa operazione il Tesoro
ha incassato 22.883 miliardi di lire (11,82 miliardi di euro). Il costo
sociale di questa operazione è stato molto elevato: nel corso degli ultimi
anni 11000-12000 lavoratori sono stati, in un modo o nell'altro, espulsi
dalla Telecom. Sempre nel 1997 l'IRI ha realizzato la vendita delle proprie
partecipazioni nella Banca di Roma. L'anno successivo è stata continuata la
dismissione dell'Eni, sono state vendute le partecipazioni del Tesoro nella
BNL ed è stata avviata la dismissione delle partecipazioni detenute dall'IRI
in Alitalia: la quota di partecipazione, ridotta al 53 %, è stata poi nel
2000 trasferita al Ministero del Tesoro in modo da agevolare ulteriormente
il compimento del processo di dismissione. Nel 1999 è stata avviata la
vendita dell'Enel, che era stata prevista dalle direttive del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 1993 ed era stata però sospesa nel 1996. A
termine della privatizzazione della prima tranche dell'Enel, al marzo 2001,
il Ministero del Tesoro deteneva il 67,58 % del capitale sociale; all'
acquisto delle azioni dell'Enel hanno partecipato, oltre ai piccoli
risparmiatori e a investitori stranieri, soprattutto Assicurazioni, Fondi
pensione, Banche, Fondazioni Bancarie e Fondi comuni. L'incasso complessivo,
al termine dell'operazione, è stato di 32.045 miliardi di lire (16,55
miliardi di e). Proprio nelle ultime settimane è trapelata sui giornali,
probabilmente fatta trapelare ad arte dai vertici Enel, la notizia che in
azienda si verificheranno prossimamente 15000-20000 esuberi su un totale di
73000 dipendenti.
Sempre nel corso del 1999 il Tesoro ha di fatto completato la sua
fuoriuscita dal sistema finanziario e bancario cedendo la propria
partecipazione nel Mediocredito centrale, mentre l'IRI ha proseguito nelle
dismissioni alienando la propria partecipazione in Autostrade S.p.A. Gli
anni dal 1997 al 1999 sono stati complessivamente i più intensi dal punto di
vista del processo di privatizzazione; con il 2000 si è registrato un lieve
rallentamento rispetto agli anni precedenti, a seguito della decisione del
Tesoro di non scendere al di sotto della soglia di controllo dell'ENI.
Mentre le dismissioni da parte dell'ENI si sono arrestate, quelle dell'IRI
sono continuate a ritmo sostenuto per permettere di arrivare alla
liquidazione dell'IRI stesso, prevista per il giugno del 2000. La cessione
più significativa è stata quella del 44% di Finmeccanica, che si è
accompagnata all'alienazione della quota di controllo in Aereoporti di Roma.
La vendita delle azioni di Finmeccanica ha comportato un introito di 10.659
miliardi di lire (5,5 miliardi di euro). Al termine dell'operazione l'IRI ha
trasferito le proprie partecipazioni residue al Ministero del Tesoro, che in
conclusione arrivava a detenere il 32,45% del capitale sociale di
Finmeccanica. Per quanto riguarda il Tesoro, nel corso dell'anno ha ceduto
la propria partecipazione di controllo nel Credito Industriale Sardo e le
partecipazioni residue detenute in Meliorbanca e nel Mediocredito Lombardo.
Infine, nel 2001 è proseguita la vendita dell'ENI, con la cessione della
quinta tranche.
L'IRI S.p.A. ha fornito un significativo contributo al processo di
privatizzazioni. Fatta eccezione per il collocamento di Alitalia e
Finmeccanica e la cessione di quote Fincantieri e Tirrenia, tutte le
operazioni condotte dall'IRI hanno comportato la perdita del controllo delle
società poste in vendita. I maggiori risultati sono stati conseguiti nel
2000, in conseguenza della decisione di porre in liquidazione l'IRI,
adottata dal Governo nella primavera del 1997. Nel rispetto della tempistica
stabilita, il 28 giugno 2000 è stata deliberato lo scioglimento dell'IRI e
il Ministero del Tesoro ha affidato al Comitato dei Liquidatori il mandato
di esaurire le vendite residue entro l'approvazione del bilancio al 31
dicembre 2003. Successivamente alla messa in liquidazione dell'IRI, la
partecipazione detenuta nell'Alitalia (53%) è stata trasferita al Ministero
del Tesoro in vista di una successiva privatizzazione.
La partecipazione detenuta nella RAI (99,5%) è stata trasferita nel mese di
novembre 2000 ad una nuova società, costituita mediante scissione dell'IRI,
denominata RAI Holding e interamente posseduta dal Ministero del Tesoro.
Poche settimane fa è stato presentato il disegno di legge per la
privatizzazione della RAI: in base ad esso, la RAI verrà privatizzata a
partire dal gennaio 2004 nella sua totalità come public company (vale a dire
un'azienda con azionariato diffuso o 'polverizzato' e pacchetti azionari di
modeste dimensioni, in modo da evitare grandi concentrazioni di azioni). Il
disegno di legge fissa un limite massimo dell'1% al possesso di azioni da
parte di un unico soggetto e ammette accordi tra diversi soggetti per non
più del 2 %. L'1% è una quota solo apparentemente bassa; in realtà si tratta
di una quota accessibile solo ai grandi investitori, considerato che il
patrimonio totale della RAI ammonta a circa 6 miliardi di euro. Il disegno
di legge prevede, inoltre, l'abolizione del divieto di possesso congiunto di
giornali e TV. I dati riportati per il periodo 1992-2001 sono stati tratti
dal Libro Bianco sulle privatizzazioni curato dal Dipartimento del Tesoro.
Così lo introduce Vincenzo Visco: 'Questo 'Libro Bianco' sulle
Privatizzazioni vede la luce al termine di una legislatura nel corso della
quale tutti gli obiettivi di dismissioni che erano stati stabiliti sono
stati raggiunti e superati.
La legislatura si conclude, infatti, con la pressoché totale fuoruscita
dello Stato dalla maggior parte dei settori imprenditoriali dei quali, per
oltre mezzo secolo, era stato, nel bene e nel male, titolare'.
Effettivamente i governi di centro-sinistra hanno rappresentato negli anni
scorsi una delle avanguardie europee per le politiche di privatizzazione e
smantellamento dello stato sociale. Anche per quanto riguarda le grandi
privatizzazioni in Italia non esistono studi approfonditi sugli effetti
sociali determinati dalla vendita degli enti e delle aziende pubbliche e
dalla fuoriuscita dello stato dal settore bancario, finanziario e
imprenditoriale. Considerata l'entità del processo, il fatto che esso è
destinato ad ampliarsi in forme sempre più drammatiche per l'adesione dell'
Italia al GATS, e considerato che le grandi privatizzazioni si sono
accompagnate alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, diventa
sempre più urgente la compilazione di un libro bianco che ne valuti gli
effetti sociali. Tuttavia è possibile fare da subito alcune considerazioni
elementari. Il passaggio dalla produzione con l'obiettivo del servizio alla
produzione mirante alla creazione di valore determina di per sé degli
effetti scontati in primo luogo per quanto riguarda i lavoratori: erosione
delle normative contrattuali, controllo dei salari, espulsione di masse di
lavoratori con il metodo dell' 'esodo incentivato'. Per quanto riguarda l'
utenza, se è vero che spesso in un primo tempo si verifica un abbassamento
delle tariffe mirato alla stabilizzazione di una fetta di mercato, è vero
tuttavia che nel medio periodo le tariffe saranno destinate ad aumentare;
infatti, il metodo del price cap prevede che gli investimenti siano
totalmente remunerati dalle tariffe: poiché gli investimenti nei diversi
settori sono destinati ad aumentare, cresceranno anche le tariffe. Inoltre è
del tutto evidente che gli investimenti si concentreranno sui settori più
redditizi, tralasciando quelli a elevato valore sociale, ma poco
remunerativi.

La privatizzazione dei servizi pubblici locali

La legge 142 del 1990, che prevedeva la riorganizzazione degli enti locali,
conteneva al suo interno la nuova normativa riguardante la gestione dei
servizi pubblici; essa introduceva diverse tipologie di gestione dei sevizi
cui gli enti locali potevano accedere. Da un lato la gestione diretta o "in
economia", dall'altro l'affidamento dei servizi ad aziende speciali o a
società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, costituite o
partecipate dall'ente locale. Nel caso delle aziende speciali, si trattava
di aziende costituite dall'ente locale e dotate di autonomia imprenditoriale
e di un proprio statuto, il cui capitale era interamente fornito dall'ente
locale e non quotato in borsa; l'introduzione di questo tipo di aziende non
costitutiva perciò una privatizzazione dei servizi, ma una loro
aziendalizzazione, cioè una riorganizzazione di tipo aziendale della
gestione del servizio pubblico, improntata a criteri di efficacia, di
efficienza ed economicità e vincolata al pareggio di bilancio. La
costituzione di società per azioni con capitale a maggioranza pubblico ha
rappresentato il primo deciso passo verso la privatizzazione dei servizi,
attraverso lo specchietto per le allodole della partecipazione pubblica con
una quota di maggioranza: in presenza di una quotazione in borsa e di
investimenti privati, infatti, è di per sè evidente che l'intera gestione
del servizio è obbligata a perseguire l'obiettivo di una redditività
dell'investimento per gli investitori privati, nonostante la presenza del
pubblico. Non a caso, infatti, la legge 267 del 2000, legge che raccoglie i
diversi interventi di Bassanini nel corso degli anni di governo del
centro-sinistra e che costituisce la legge di riorganizzazione complessiva
dell'ordinamento degli enti locali, ha modificato la legge 142 in merito
alla gestione dei sevizi introducendo nell'art. 113 una nuova possibilità
per gli enti locali: l'affidamento del servizio a società per azioni senza
il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria. L'elemento da
sottolineare è che la legge, come quella precedente, non prevede
direttamente l'obbligo per gli enti locali di affidare i servizi a società
per azioni, cioè non obbliga gli enti locali alla privatizzazione; e prevede
inoltre la possibilità della gestione diretta, in economia, sia nel caso di
modeste dimensioni dei servizi, sia nel caso in cui le caratteristiche del
servizio non rendono opportuna la costituzione di una azienda. Da questo
punto di vista, nonostante le pressioni a cui gli enti locali sono stati
sottoposti in questi anni, la corsa alla svendita del patrimonio pubblico e
alla costituzione di società per azioni ha rappresentato anche una volontà
politica degli enti locali stessi.
E veniamo al dunque: l'art. 35 della scorsa Legge Finanziaria rimette
nuovamente mano alla questione della gestione dei servizi pubblici,
sostituendo l'art. 113 della L. 267 con un nuovo articolo, concernente i
servizi pubblici di rilevanza industriale (acqua, luce, gas, rifiuti,
trasporto pubblico urbano...) e un articolo 113 bis concernente i servizi
pubblici privi di rilevanza industriale. Per quanto riguarda la prima
tipologia di servizi, questo articolo prevede l'obbligo per gli enti locali
di trasformare tutte le aziende speciali in società di capitali, di affidare
mediante gara d'appalto l'erogazione dei servizi a società di capitali e di
assegnarne la gestione o direttamente a società per azioni con capitale di
maggioranza pubblico o mediante gara d'appalto ad imprese. L'art. 35 prevede
inoltre la possibilità per gli enti locali di cedere integralmente o in
parte la propria partecipazione nelle società erogatrici dei servizi, e di
cedere la proprietà di reti, impianti, dotazioni, ecc..., a società di
capitali a maggioranza pubblica. Infine, obbliga gli enti locali che al
contempo sono proprietari di impianti, reti, ecc. e posseggono la
maggioranza del capitale sociale delle società che gestiscono i servizi a
vendere gli impianti a società con capitale a maggioranza pubblico.
Contrariamente alle leggi precedenti, quindi, l'art. 35 introduce
direttamente l'obbligo di privatizzazione dei servizi a rilevanza
industriale, insistendo in particolare sulle reti idriche. Esso, infatti,
stabilisce che l'ente locale ha 18 mesi di tempo per costituire una società
di capitali provvisoria a cui affidare il servizio idrico integrato:
provvisoria, in quanto l'affidamento non potrà avere una durata superiore ai
cinque anni, a condizione che entro due anni si privatizzi almeno il 40%
della società. Scaduti i cinque anni si dovrà passare necessariamente
dall'affidamento diretto all'assegnazione mediante gara d'appalto. Per
quanto riguarda i servizi privi di rilevanza industriale, si stabilisce di
fatto la priorità dell'affidamento di questi servizi ad aziende speciali o
società di capitali rispetto alla gestione diretta da parte degli enti
locali.

La trappola del GATS

Le politiche di privatizzazione dei servizi portate avanti dai governi di
tutta Europa trovano nel GATS il proprio coronamento. Il Gats, a cui
aderiscono tutti gli stati membri del WTO, è uno dei trattati frutto dell'
Uruguay round del 1994: questo trattato di fatto prevede la completa
liberalizzazione di tutti i servizi, in qualsiasi settore, esclusi quelli
forniti nell'esercizio dei poteri governativi, vale a dire strettamente
connessi all'esercizio della sovranità (giustizia, esercito, ordine
pubblico, attività amministrativa dello stato). In sostanza sanità,
istruzione, cultura, trasporti, forniture energetiche, acqua, assistenza
sociale sono risucchiati all'interno dei meccanismi e delle decisioni del
WTO e sottoposti alla leggi del mercato. Il GATS, per poter comprendere la
più vasta gamma di servizi possibile, ha allargato la nozione di scambio, o
commercio estero, aggiungendo tre altri modi di scambio; accanto ai servizi
offerti da un territorio a un altro (scambia transfrontalieri), si prevedono
dunque altre tre possibilità: quella per cui sia un cittadino a spostarsi in
un altro paese per consumare i servizi qui erogati, quella per cui un
cittadino insedi la propria attività commerciale in un paese straniero per
offrire in questo territorio servizi, quella per cui si verifichi un
semplice spostamento di persone fisiche che si recano in un altro paese per
erogare nel suo territorio un servizio (ad esempio un medico'). Con questo
tipo di allargamento della nozione di scambio il GATS può così investire un
panorama estremamente ampio di servizi, all'interno del quale ai servizi di
interesse pubblico non è riconosciuta alcuna specificità. Il GATS prevede
due tipi di obblighi per gli stati membri, gli obblighi generali e validi
indiscriminatamente per tutti e quelli specifici che investono
esclusivamente le attività e i settori che i paesi membri hanno deciso di
liberalizzare. Gli obblighi generali sono la trasparenza (vale a dire che
gli stati devono rendere note tutte le iniziative che potrebbero interferire
con la libertà degli scambi) e la clausola della nazione più favorita, in
base alla quale un'agevolazione o un finanziamento concesso a un membro del
WTO può essere di diritto richiesto da ogni altro membro in tutti i settori
dei servizi: una clausola che colpisce ovviamente in particolare i paesi del
sud del mondo. Uno stato membro che negozia la liberalizzazione di un
insieme di settori di servizi nell'ambito del GATS è poi tenuto a una serie
di obblighi: pur potendo nominalmente condurre o mantenere delle politiche
nazionali su quel determinato settore, queste non possono essere in
contraddizione con il GATS salvo casi eccezionali (crisi finanziarie,
necessità di misure concernenti la morale, la salvaguardia di esseri
viventi, animali e vegetali, la salute). È stato infatti formato un gruppo
di lavoro incaricato di esaminare se le normative interne a ciascun paese
non siano più rigorose di quanto sia necessario per assicurare la qualità
del servizio; la decisione finale spetterà al WTO, senza alcun
contraddittorio e sulla base della propria valutazione. Nell'ambito di un
settore sottoposto al GATS, inoltre, un paese non potrà in ogni caso
privilegiare imprese o in generale fornitori di servizi (comprese le aziende
pubbliche) nazionali rispetto a fornitori di servizi esteri. Inoltre,
incontrerà forti limitazioni per l'emanazione o il mantenimento di misure a
salvaguardia dei lavoratori (dalla sicurezza, ai diritti sindacali). Per
decidere quali settori sottoporre al GATS i paesi devono dare vita a una
serie di negoziazioni successive (miranti a liberalizzare progressivamente
il più possibile), al termine delle quali comporre delle liste di impegni in
cui vengono precisati i settori e le date a partire dalle quali questi
vengono aperti agli investimenti. Questi negoziati sono iniziati nel 2000,
ma non si sono ancora conclusi: nel novembre del 2001 sono state fissate le
date per le prossime tappe fino alla conclusione delle negoziazioni. Entro
il giugno scorso i paesi membri dovevano comunicare al WTO la lista dei
settori che chiedono siano liberalizzati negli altri paesi membri, ed entro
il marzo 2003 dovranno far conoscere le proprie offerte di liberalizzazione.
Queste date sono irrealistiche per i paesi del sud del mondo che hanno
finora partecipato scarsamente alle negoziazioni iniziate nel 2000 e che
sono sprovvisti degli strumenti adeguati per capire in quali settori
potrebbero essere competitivi con i paesi più forti. In compenso l'Unione
Europea ha già avanzato diverse domande di liberalizzazione a un numero
significativo di paesi del sud del mondo, tra cui l'Africa del Sud, l'
Egitto, l'India, l'Argentina, la Malesia e il Brasile, per quanto riguarda
in servizi di base: acqua, telecomunicazioni, elettricità, agenzie di stampa
e banche. Le pressioni che l'UE sta operando sui paesi poveri perché
abbattano le regolamentazioni interne sugli investimenti diretti esteri sono
notevoli; per fare un esempio, l'UE chiede all'Egitto di prendere degli
impegni per quanto riguarda la possibilità di apertura di filiali di banca a
capitale interamente straniero e di attuare politiche antidiscriminatorie
nei confronti di fornitori stranieri di servizi finanziari: sostanzialmente
si chiede all'Egitto di attuare una politica di apertura totale ai flussi di
capitale esteri e di vendita a compratori stranieri del sistema bancario
simile a quella attuata dall'Argentina, con le conseguenze che sono sotto
gli occhi di tutti.
Il GATS, per le sue caratteristiche, è un accordo che non riguarda
semplicemente gli scambi, ma anche gli investimenti, in quanto riguarda
servizi che vengono prodotti là dove sono forniti: dunque una sorta di
Accordo multilaterale sugli investimenti (AMI) resuscitato. I settori
principali di investimento allo stato attuale sembrano essere, l'acqua, la
sanità, soprattutto per l'industria farmaceutica, e l'istruzione, in
particolare l'insegnamento superiore e la formazione professionale continua.
Per quanto riguarda l'istruzione, che rappresenta un business da tre
miliardi di dollari l'anno, già 38 paesi si sono impegnati a liberalizzare
almeno un settore del loro sistema d'istruzione dei 5 individuati dalla
classificazione del GATS; di questi 38 la metà si è impegnato a
liberalizzare quattro settori. I paesi maggiormente lanciati su questa
strada sono gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, l'Australia e la Gran
Bretagna. L'applicazione del GATS al settore dell'istruzione ha come
conseguenza evidente la distruzione dei sistemi pubblici nazionali di
istruzione: riduzione dei fondi pubblici, messa in crisi dell'autonomia e
dello statuto professionale degli insegnanti, introduzione della precarietà,
difficoltà di accesso per gli studenti agli insegnamenti superiori, aumenti
dei costi, perdita del valore legale del titolo di studio, subalternità nei
confronti degli sponsor commerciali' Il GATS rappresenta lo strumento
attraverso le multinazionali vogliono ottenere due risultati fondamentali:
portare a termine la privatizzazione dei servizi, avviata all'inizio degli
anni '90, aprendo interamente al mercato e alla concorrenza questi settori,
dare una spallata definitiva all'universalità e alla gratuità dei servizi.

La questione acqua

La questione acqua merita un breve trattamento a parte per due ordini di
motivi: in primo luogo perché ciò che sta accadendo a livello internazionale
è che si sta trasformando progressivamente l'acqua da bene comune,
indispensabile per la sopravvivenza stessa dell'uomo e dunque da garantire
universalmente a tutti, in bene economico o merce (e l'acqua rappresenta
oggi uno dei settori più redditizi, e dunque più ambiti, per il capitale);
in secondo luogo perché l'esplodere dell'emergenza acqua, a causa dello
sfruttamento intensivo della risorsa, dei cambiamenti climatici, dell'
inquinamento, del surriscaldamento del pianeta, rende ancora più drammatica
e più urgente la necessità di un utilizzo e di una gestione pubblica delle
acque, che garantisca l'accesso a tutti, preservi il ciclo di riproduzione
dell'acqua e ne impedisca lo sperpero e lo sfruttamento intensivo. A livello
internazionale non esiste alcun trattato o accordo valido giuridicamente che
riconosca il diritto all'acqua; esso non è presente nella Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, né nella Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1950, né nella Carta europea dei
diritti fondamentali dell'Unione Europea del 2000. Le Dichiarazioni di
Strasburgo e di Parigi che riconoscono l'acqua come bene comune e dunque il
diritto di accesso all'acqua non hanno alcun valore giuridico, ma si
limitano a essere una dichiarazione di intenti. Parallelamente in trattati
come il GATS, che hanno effetti molto più immediati e concreti sulle
condizioni di vita e sui diritti fondamentali delle persone, l'acqua viene
ricompresa all'interno dei servizi sottoponibili alle leggi del libero
scambio.
Anche la Costituzione italiana non parla di diritto all'acqua, ma questo può
essere considerato implicito nel diritto alla salute riconosciuto nell'
art.32. Nonostante ciò l'intera legislazione italiana si è occupata quasi
esclusivamente dell'acqua considerata come patrimonio pubblico (e come bene
economico) e non come diritto. La legge che ha effettivamente rinnovato la
normativa in maniera di acque è la legge Galli del 1994, che considera la
risorsa nel suo intero ciclo. Prima della legge la gestione degli acquedotti
era in larghissima parte in mano pubblica e affidata ai comuni; questa
situazione tuttavia era caratterizzata da una forte frammentazione in quanto
gli enti gestori della distribuzione erano in Italia 5500 a fronte di 6200
acquedotti.
È in questo quadro che la legge Galli mirava teoricamente a intervenire, per
porre termine alla situazione di frammentazione e avviare una politica di
pianificazione di livello nazionale, prevedendo misure di salvaguardia del
bene acqua e di risparmio e rinnovo delle risorse insieme al criterio della
gestione solidale dell'uso dell'acqua. Dopo aver stabilito in cosa consista
il servizio idrico integrato (che è costituito dall'insieme dei servizi
connessi all'acqua, dalla sorgente alla depurazione e alle fognature), la
legge ne affida ai comuni e alle province l'organizzazione, secondo i
criteri di riunificazione e concentrazione e di aziendalizzazione del
servizio. Di per sé la legge Galli non prevede l'obbligo di privatizzazione,
ma di riorganizzazione in termini aziendali del servizio (ad esempio le
tariffe devono garantire la remunerazione del capitale investito): tuttavia,
la discrepanza tra gli obiettivi dichiarati in linea teorica dalla legge e
il modello imprenditoriale di riorganizzazione del sistema idrico proposto è
abbastanza evidente. Comunque, ciò che è successo in questi ultimi anni è
che una serie di leggi regionali di attuazione della legge Galli, hanno
interpretato il testo della legge nel senso di un progressivo impegno alla
privatizzazione del servizio. Questo è avvenuto sia perché la legge 142 del
'90 e la legge 267 del 2000 prevedevano tra le forme di gestione del
servizio pubblico locale la possibilità di affidamento a società per azioni
sia perché la legge Galli lascia una grande discrezionalità agli enti
locali.
Con l'art. 35 della scorsa finanziaria si è arrivati, infine, al vero e
proprio obbligo per gli enti locali alla privatizzazione del servizio.
Questo processo va evidentemente inserito nel più ampio processo di
accaparramento della risorsa acqua da parte delle imprese e delle
multinazionali; anche da questo punto di vista il GATS rappresenterà il
grimaldello attraverso il quale le imprese riusciranno a penetrare ovunque
nei settori dello sfruttamento e della gestione delle acque.
Tra le domande di liberalizzazione rivolte dall'Unione Europea agli altri
paesi membri del GATS appare anche il settore acqua; ad esempio l'UE chiede
all'Egitto e all'Africa del Sud la liberalizzazione dell'acqua per ciò che
concerne i servizi di raccolta, di depurazione e di distribuzione dell'
acqua. È del tutto evidente che, per quanto riguarda il caso italiano, l'
esistenza di una normativa che di fatto prevede l'obbligo di privatizzazione
del servizio idrico e l'avvio della vendita del patrimonio idrico italiano,
renderà sempre più difficile all'Italia rifiutare, nell'ambito delle
negoziazioni del GATS, di aprire anche il settore idrico agli investimenti
internazionali, con le conseguenze che sono prevedibili.

La campagna europea contro le privatizzazioni e il GATS

La situazione attuale
Contro l'attuazione del GATS si stanno muovendo in tutta Europa una serie di
forze politiche, associative, sindacali che stanno cercando di avviare una
campagna a livello europeo che sia in grado di fermare il progetto di
liberalizzazione dei servizi e il processo di privatizzazioni avviato in
tutta Europa e di rilanciare la funzione pubblica dei servizi. In
particolare Attac ha lanciato una campagna cui stanno partecipando tutti gli
Attac d'Europa; la realtà maggiormente significativa è la Francia, dove è
nato un collettivo 'AGCS- Services publiques', che raccoglie al suo interno
tra gli altri Attac, la CGT, Sud, le Marches européennes contre le chômage e
una serie di altre associazioni e organizzazioni. Questo collettivo ha
lanciato un appello perché si dia avvio a una campagna a livello europeo per
chiedere che il WTO e tutte le organizzazioni finanziarie internazionali
siano vincolate al rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'
Uomo e integrate nell'ONU; per quanto riguarda la politica europea sui
servizi pubblici, l'appello pone alcuni principi basilari su cui si chiede
che poggi il mandato dell'UE che negozia per tutti gli stati membri: equità
di accesso ai servizi e loro continuità, adattamento dei servizi all'
evoluzione dei bisogni delle popolazioni, trasparenza nella definizione
degli obiettivi e delle finalità dei servizi e nella loro gestione,
valutazione pluralistica, pubblica e contraddittoria che possa avvalersi di
una pluralità di competenze. Questi principi devono valere per i servizi di
interesse pubblico che devono essere distinti dagli altri servizi.
Allo stato attuale, oltre alla Francia, soltanto il Belgio e la Svizzera si
sono effettivamente mobilitati: in Svizzera la campagna è iniziata nel
giugno 2001 e ha coinvolto, oltre ad Attac Svizzera, la Dichiarazione di
Berna, i sindacati svizzeri e una cinquantina di organizzazioni che hanno
dato vita a una manifestazione a Ginevra il 29 giugno scorso contro l'AGCS,
in occasione della prima tappa delle negoziazioni; in Belgio la campagna è
iniziata nel maggio scorso e ha visto una serie di iniziative di
sensibilizzazione in 15 città. Per il resto in Austria, Finlandia, Irlanda e
Spagna la campagna è più o meno in fase di preparazione e allargamento ad
altri soggetti oltre Attac; in Italia a ottobre si terrà un seminario
nazionale di Attac sulle privatizzazioni che dovrebbe porre le premesse per
il lancio vero e proprio della campagna dopo il Forum sociale europeo. Uno
degli elementi comuni alla diverse campagne nazionali sarà la compilazione
di libri bianchi sugli effetti delle privatizzazioni nei diversi paesi e di
un libro bianco europeo. Sarà comunque il Forum sociale europeo l'
appuntamento decisivo perché la costruzione di un fronte largo di
associazioni e organizzazioni politiche e sociali compia un salto di qualità
decisivo.

Alcune considerazioni sul senso politico della campagna e sul ruolo dei
servizi pubblici

Concepire e avviare una campagna contro le privatizzazioni pone una serie di
questioni politiche non di poco conto, che dovranno essere necessariamente
affrontate nel momento in cui si vorrà passare dalla mera opposizione al
GATS a una fase di proposta e di rilancio dei servizi pubblici. Proverò ad
accennarne qualcuna. Ponendoci dal punto di vista dello Stato, è possibile
distinguere la sfera dei bisogni (ovviamente si sta parlando dei bisogni che
possono essere soddisfatti da un atto produttivo) da quella dei diritti.
Molto schematicamente è possibile dire che la trasformazione di una serie di
bisogni in diritti (riconosciuti e garantiti dallo Stato) dipende da due
principali fattori: dal livello dei rapporti di forza tra le classi, e
quindi dalla capacità dei movimenti di imporre il riconoscimento di alcuni
diritti di natura sociale, e dal livello di evoluzione dei bisogni in una
determinata società. Per quanto riguarda i bisogni lo Stato può o lasciare
che sia il mercato a soddisfarli (in quei settori in cui questo è possibile)
o decidere di provvedere direttamente: quest'ultima ipotesi si verifica
normalmente quando un determinato settore per le sue caratteristiche
richiede un monopolio naturale, e allora lo Stato dà vita a un monopolio
pubblico anziché privato, quanto lo Stato decide di intervenire per
aumentare l'occupazione oppure per dar vita a una determinata strategia di
sviluppo, ad esempio industriale. Per fare un esempio in Italia l'
elettrificazione è stato il risultato di un intervento dello Stato mirato a
dar vita a un livello di elettrificazione sufficientemente diffuso e a costi
sufficientemente bassi per permettere un processo di industrializzazione del
paese, che altrimenti sarebbe stato molto più lento. In Italia gli
interventi statali di questo tipo, cioè la presenza dello Stato in settori
di soddisfacimento di una serie di bisogni, come il settore energetico e
delle telecomunicazioni, erano prima degli anni novanta di considerevoli
dimensioni.
Per quanto riguarda i diritti, questi devono essere garantiti dallo Stato ai
suoi cittadini, ma le forme in cui lo Stato può offrire questa garanzia sono
diverse. Per esempio il diritto al 'pane', cioè alla sopravvivenza fisica e
quindi alla salute, viene normalmente soddisfatto dal mercato attraverso il
salario: in questo caso compito dello Stato sarebbe quello di vigilare sulla
qualità dei prodotti e di garantire l'accesso al cibo a chi è privo di un
reddito e si trova in una condizione di indigenza tale da non poter
soddisfare sul mercato il proprio diritto a una alimentazione. Oppure lo
Stato può affidare al privato la produzione dei servizi utilizzando il
metodo dei bonus a copertura dei costi per gli utenti. Infine, lo Stato può
decidere di garantire una serie di diritti di natura sociale attraverso la
produzione diretta dei servizi, ad esempio per settori in cui si
formerebbero monopoli naturali o per settori che prevedono costi talmente
elevati da richiedere una concentrazione della produzione per abbassare i
costi e una produzione in perdita, cioè finanziata attraverso le tasse,
oppure quando la diversificazione della qualità richiederebbe una attività
di controllo da parte dello Stato tale da rendere più conveniente la
produzione diretta' Si può dire che normalmente lo Stato produce
direttamente quando, a parità di qualità, i costi del privato sarebbero più
elevati. Questo è il motivo per cui è possibile affermare in generale che
quando uno Stato decide di privatizzare un servizio pubblico che prima
produceva perché era più conveniente produrlo pubblicamente, ciò comporta un
abbassamento della qualità del servizio o una riduzione delle possibilità di
accesso al servizio stesso. Ciò che si è verificato in Italia e in Europa a
partire dal dopoguerra è stato che una serie di diritti sociali sono stati
garantiti attraverso una rete di servizi pubblici che hanno rappresentato lo
stato sociale dei diversi paesi, e che anche una serie di bisogni ha trovato
una più facile soddisfazione grazie all'intervento diretto dello Stato (ad
esempio per quanto riguarda il settore energetico e quello dei trasporti):
questa tendenza ha subito una totale inversione a partire dalla ondata di
privatizzazioni dell'inizio degli anni '90. Una delle maggiori
argomentazioni utilizzate, se non quella centrale, per giustificare lo
smantellamento progressivo dello stato sociale, ruota attorno all'
inefficienza del pubblico: eccesso di burocrazia, lentezza nella erogazione
dei servizi, clientelismo. Si è peraltro fatto indebitamente coincidere l'
inefficienza dal punto di vista dell'erogazione del servizio con la non
redditività delle aziende e degli enti statali, i cui bilanci erano in
passivo. Questo tipo di campagna ideologica, unita all'allarmismo sulla
necessità del risanamento dei conti pubblici dello stato, è penetrata a
fondo nelle coscienze, nei modi pensare, nel senso comune dei cittadini,
soprattutto in Italia dove essa faceva leva su una situazione di fatto
insostenibile per clientelismo e disfunzioni. L'idea che il pubblico è
inefficiente e il privato è di qualità sta alla base, ad esempio, di
proposte caldeggiate dal centro-sinistra negli scorsi anni, come quella
della sostituzione dei servizi gestiti direttamente dagli enti pubblici con
il sistema dei bonus. Da quanto detto sopra si deduce fino a che punto sia
falso che il privato può garantire servizi di qualità migliore. Se poi si
tiene conto che nella realtà non si andrà realmente incontro all'
applicazione del sistema dei bonus, ma più semplicemente alla
privatizzazione dei servizi tout court, va aggiunta una ulteriore
considerazione: poiché il servizio verrà prodotto per ottenere profitto, ciò
cui si andrà incontro sarà la dismissione di interi settori a elevata
utilità sociale, ma a scarsa redditività per le imprese, e l'investimento su
settori immediatamente più redditizi. Di fronte a questa situazione, la
difesa pura e semplice del pubblico non è sufficiente. Il livello di
penetrazione culturale dell'idea che 'il privato è bello' è probabilmente
molto più ampio di ciò che si possa immaginare. A questa offensiva culturale
è necessario essere in grado di rispondere con proposte e parole d'ordine
capaci di rilanciare l'idea del pubblico e di ricostruirne una credibilità.
Non si tratta semplicemente di difendere la gestione pubblica dei servizi,
ma di ripensarla da cima a fondo. Al pubblico come servizio statale
burocratizzato può essere contrapposto ad esempio un'idea di pubblico
partecipato, cioè l'idea di una gestione partecipativa dei servizi pubblici
che coinvolga insieme lavoratori e utenti, che preveda dunque il controllo,
la verifica, ma anche la pianificazione da parte di chi lavora a un servizio
e di chi ne usufruisce, non soltanto sul servizio stesso, ma anche per
quanto riguarda le condizioni di lavoro.
Sul piano dei diritti occorre essere in grado, a fronte dell'ampliamento
dell'insieme di bisogni la cui soddisfazione diviene sempre più necessaria
alla sopravvivenza stessa (ad esempio la possibilità di spostamento urbano
ed extraurbano per garantire il diritto al lavoro), di porre il problema
dell'ampliamento della sfera dei diritti e della trasformazione di alcuni
bisogni in diritti, oltre che dell'estensione dei diritti a chi oggi ne è
privo, a partire dai migranti. Si tratta di un compito di non semplice
soluzione, tenuto conto che si sta ancora parlando di una forma di gestione
dei servizi e di garanzia dei diritti, quella statale, in sé
contraddittoria. La gestione statale dei sevizi, infatti, pur essendo una
forma transitoria da rivendicare in contrapposizione alla loro
privatizzazione, non coincide affatto in sé con una gestione collettiva e
sociale, e non garantisce che una serie di diritti siano sanciti una volta
per tutte; non è possibile nascondersi, infatti, che lo Stato non solo non è
un ente benefico, ma è anzi uno strumento nelle mani di chi detiene il
potere economico: che alcuni diritti siano garantiti attraverso i servizi
dipenderà sempre e comunque dai rapporti di forza che i movimenti
riusciranno a determinare e dal livello di mediazione che riusciranno a
ottenere. Per questo motivo occorre alludere al superamento della proprietà
e della gestione statale nella direzione di una collettivizzazione dei
servizi e della loro gestione anche nelle proposte che concretamente è
possibile oggi avanzare. Per fare questo sarà necessario interrogarsi (e per
certi versi rifondarle) su nozioni, come 'pubblico', 'collettivo', 'comune'
e su come queste non coincidano con 'statale'.
Affrontare la questione dei servizi pubblici e della loro privatizzazione è
oggi quanto mai urgente e necessario; se si pensa soltanto a cosa
comporterebbe, anche in termini di tempo, una rinazionalizzazione di ciò che
è stato venduto, si capisce di quale entità sia l'attacco sferrato dal
neoliberismo nello scorso decennio. Fermare l'attuazione del GATS è oggi uno
dei principali obiettivi che il movimento nel suo complesso deve darsi, a
partire dal Forum sociale europeo di novembre. La liberalizzazione dei
servizi comporterebbe l'erosione definitiva dei diritti fondamentali
acquisiti in decenni di lotte, dalla salute all'istruzione, dal lavoro alla
libertà di informazione, sino all'acqua: il definitivo smantellamento dello
stato sociale e in generale di uno spazio pubblico e collettivo in cui
riconoscersi in quanto cittadino. Le prime vittime di questo processo
sarebbero in tutta Europa le donne, sulle quali ancora una volta ricadrebbe
il peso del lavoro di cura, alleggerito adesso dall'esistenza di servizi
sociali pubblici e accessibili. Per non parlare degli effetti devastanti che
l'attuazione del GATS avrebbe nei paesi del sud del mondo e delle
responsabilità dell'Unione Europea in questo processo. Attorno alla parola d
'ordine del no al GATS è possibile ricomporre i soggetti sociali più
diversi: i lavoratori dei servizi pubblici, gli utenti, gli studenti e gli
insegnanti, le donne. Costituire un blocco sociale largo attorno alla
campagna europea è un obiettivo possibile e necessario, che richiede però la
capacità di articolare una campagna di sensibilizzazione e informazione
sulle privatizzazioni e il GATS, con lotte e vertenze concrete nei singoli
territori, nei luoghi dell'istruzione, attorno alla questione dell'acqua e
della sanità. Si tratta di essere in grado da un lato di rispondere all'
offensiva ideologica del neoliberismo dall'altro di individuare
concretamente situazioni in cui è possibile dar vita a lotte concrete,
ottenere risultati o anche sperimentare forme diverse di gestione dei
servizi pubblici.


---
Il Granello di Sabbia è realizzato da un gruppo di traduttori e traduttrici volontari/e e dalla redazione di ATTAC Italia redazione@attac.org
Riproduzione autorizzata previa citazione e segnalazione del "Granello di Sabbia - ATTAC - http://attac.org/"

 

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