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Giro98
Movimento forum sociale europeo
Riviste: LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO 405
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 405 del 4 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: ballata in memoria di Dorothy
Day, approssimandosi il
CV anniversario della nascita e il XXII anniversario
della scomparsa
2. Ogni vittima ha il volto di Abele: oggi a Viterbo
ed ovunque
3. Mao Valpiana: amiamo Firenze, perche'...
4. Monica Lanfranco, relazione al seminario della
Rete Lilliput sulla
nonviolenza
5. Daniele Lugli, relazione al seminario della
Rete Lilliput sulla
nonviolenza
6. Nanni Salio, sintesi della relazione al seminario
della Rete Liliput
sulla nonviolenza
7. Frei Betto, una lettera alla madre di Lula
8. Lidia Menapace, un'Europa per la pace
9. Giulio Vittorangeli, "emergenza umanitaria"
10. La rete Lilliput dona un monumento alla citta'
di Firenze
11. Pace per la pace: incontro ecumenico a Firenze
12. Simone de Beauvoir, un depliant turistico
13. Luce Irigaray, la salute delle donne
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO:
BALLATA IN MEMORIA DI DOROTHY DAY,
APPROSSIMANDOSI IL CV ANNIVERSARIO DELLA NASCITA
E IL XXII ANNIVERSARIO
DELLA SCOMPARSA
[Ricorre l'8 novembre il CV anniversario della
nascita, ed il 29 novembre il
XXII anniversario della scomparsa di Dorothy Day.
In preparazione della
commemorazione che il "Centro di ricerca
per la pace" di Viterbo intende
dedicarle, il nostro collaboratore Benito D'Ippolito
ha improvvisato queste
quartine. Dorothy Day (1897-1980) e' stata una
grande militante nonviolenta
americana, fondatrice del movimento del "Catholic
Worker" (e del giornale
omonimo). Ha condotto innumerevoli lotte per la
pace e la giustizia, ed ha
fondato decine di case di ospitalita' urbane e
di comunita' agricole per i
piu' poveri. Opere di Dorothy Day: Una lunga solitudine.
Autobiografia, Jaca
Book, Milano 1984. Opere su Dorothy Day: Jim Forest,
L'anarchica di Dio,
Paoline, Cinisello Balsamo 1994; W. Miller, Dorothy
Day e il Catholic Worker
Movement, Jaca Book, Milano 1981. Un sito utile:
www.catholicworker.org]
Dorothy Day, persona amica
all'oppressione si ribello'
conobbe il carcere e la fatica
ma alla sua lotta non rinuncio'.
Dorothy Day, persona viva
con chi soffriva fu solidale
alla menzogna non fu mai corriva
e mai si arrese dinanzi al male.
Dorothy Day, nostra sorella
fu religiosa e fu libertaria
a questo mondo la cosa piu' bella
e' condivider la sorte dei paria.
Dorothy Day, nostra compagna
tanto era dolce quanto era forte
non ammetteva la fuga o la lagna
e combatteva il male e la morte.
Dorothy Day, acuta coscienza
tenace agire, sguardo profondo:
fu la sua scelta la nonviolenza
per rovesciare e per salvare il mondo.
2. INIZIATIVE. OGNI VITTIMA HA
IL VOLTO DI ABELE: OGGI A VITERBO ED OVUNQUE
[Riportiamo il comunicato diffuso ieri dal Centro
di ricerca per la pace di
Viterbo che da' notizia di una iniziativa che
si svolgera' oggi]
Il 4 novembre, dalle ore 8 alle ore 8,30, in piazza
del sacrario a Viterbo,
il Centro di ricerca per la pace, in dolore e
silenzio, commemora tutte le
vittime di tutte le guerre, dichiara il diritto
e il dovere di ogni essere
umano come delle istituzioni di operare affinche'
mai piu' si facciano
guerre, denuncia l'oscenita' dei festeggiamenti
della guerra e dei suoi
apparati da parte dei poteri militari e politici
che nuove guerre e nuove
stragi preparano.
"Ogni vittima ha il volto di Abele"
(Heinrich Boell)
"L'Italia ripudia la guerra" (art. 11
della Costituzione della Repubblica
Italiana)
Il 4 novembre, anniversario della conclusione
per l'Italia della "inutile
strage" della prima guerra mondiale, il Centro
di ricerca per la pace di
Viterbo commemorera' tutte le vittime di tutte
le guerre a Viterbo, in
piazza del sacrario, dalle ore 8 alle ore 8,30.
La cerimonia sara' austera, composta, meditativa,
silenziosa: come e' giusto
quando si rivolge il pensiero ad esseri umani
defunti, e massime quando si
rivolge il pensiero ad esseri umani assassinati.
Essa consistera' nella deposizione di un omaggio
floreale e in una
meditazione silenziosa.
Essa attestera' l'impegno morale e civile di opporsi
a tutte le guerre,
che - come disse con espressione indimenticabile
Mohandas Gandhi - sono
sempre omicidi di massa.
La cerimonia si svolgera' dalle ore 8 alle ore
8,30. Un orario scelto anche
per demarcare la distanza temporale e morale dalla
oscena festa di
esaltazione della guerra e dei suoi apparati che
alcune ore dopo, in guisa
di effettuale profanazione del riposo delle vittime,
si terra' da parte dei
comandi militari e politici.
La cerimonia austera e silenziosa delle persone
amanti della pace e
addolorate per tutte le vittime delle guerre,
contrapporra' visibilmente il
silenzio del lutto e della fraternita' e sororita'
umana, alla retorica e al
frastuono degli osceni festeggiamenti "necrofili
e insensati" (per usare le
parole di Miguel de Unamuno) che poche ore dopo
saranno esibiti da quegli
stessi comandi politici e militari che la morte
delle vittime di tutte le
guerre festeggiano con l'esaltare la guerra ed
i suoi esiti e i suoi
apparati, e che prolungano il crimine della guerra
preparando, promuovendo,
avallando ed eseguendo nuove guerre omicide e
onnicide.
Il Centro di ricerca per la pace non partecipera'
ai cinici ed offensivi
festeggiamenti della morte e delle stragi organizzati
dai comandi militari e
politici, e denuncia con cio' come quelle lugubri
e irresponsabili parate
siano scherno malvagio e orribile umiliazione
per le vittime della guerra,
simbolico ucciderle ancora una volta.
Il Centro di ricerca per la pace chiama tutte
le persone di volonta' buona
ad essere costruttrici di pace, ed in particolare
chiama tutti i cittadini
italiani, e quindi anche tutte le istituzioni
italiane, al rispetto piu'
rigoroso della legalita' costituzionale, fondamento
del nostro ordinamento
giuridico e presidio delle nostre comuni liberta'
e dei diritti di tutti
quanti nel nostro territorio si trovino. E' la
Costituzione della Repubblica
Italiana che reca all'art. 11 il principio fondamentale,
e il valore
supremo, espresso con le lapidarie parole "L'Italia
ripudia la guerra".
Ogni vittima ha il volto di Abele.
L'Italia ripudia la guerra.
Mai piu' si faccia guerra: solo questo impegno
rende lecito accostarsi alle
vittime delle guerre in dolore e in solidarieta'.
Chi ancora la guerra
permette, promuove e propugna, le vittime offende
e schernisce, ed
aggredisce e disonora l'umanita' intera.
3. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: AMIAMO
FIRENZE, PERCHE'...
[Mao Valpiana e' il direttore del mensile "Azione
nonviolenta" (per
contatti: azionenonviolenta@sis.it)]
Siamo contenti che il Consiglio dei Ministri abbia
preso la saggia decisione
di confermare il Forum Sociale Europeo.
Anche noi del Movimento Nonviolento parteciperemo
ai lavori del Forum, e
siamo particolarmente felici che si svolga a Firenze,
perche' questa
splendida citta' e' stata la culla della nonviolenza
italiana: da Giorgio La
Pira (il sindaco della pace) a Padre Ernesto Balducci
(processato per il
sostegno agli obiettori), da Aldo Capitini (incarcerato
per antifascismo
alla Murate) a don Lorenzo Milani (il priore della
Lettera ad una
professoressa), fino ad Alexander Langer (che
fece di Firenze la sua seconda
citta' e scelse di morirvi) e Pietro Pinna (il
primo obiettore italiano, che
ancora vive a Firenze).
Dopo il maldestro tentativo di criminalizzare
un intero movimento, sembra
ora che le nubi nere comincino a dissolversi.
Finalmente si puo' parlare dei contenuti del Forum
e non di ordine pubblico.
L'incontro di Firenze e' un evento positivo, perche'
questa volta il
movimento si riunisce "per qualcosa"
e non "contro qualcuno". Ci saranno
riunioni e convegni sulla guerra, la poverta',
l'economia, l'ecologia, e
speriamo che dal 6 al 10 novembre l'attenzione
di tutte e di tutti sia solo
sulle proposte che emergeranno.
Il teatrino delle sceneggiate televisive, dei
divieti governativi e della
disobbedienza gridata, mettiamolo in soffitta,
con i suoi consumati attori
che piacciono solo ai giornalisti morbosi.
Ognuno si impegni affinche' l'appuntamento di
Firenze vada bene. Cerchiamo
di lasciare la citta' ancora migliore di come
la troveremo. Il merito sara'
di tutti, dei partecipanti e della polizia, del
governo e del Comune, dei
fiorentini e persino dei black blok che non si
faranno vedere.
4. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO:
RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo la relazione di Monica Lanfranco al
seminario sulla nonviolenza
promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29
settembre 2002. Monica
Lanfranco (per contatti: mochena@village.it) e'
giornalista professionista,
nata a Genova nel 1959, vive a Genova. Collabora
con le testate delle donne
"DWpress", "Il paese delle donne".
Ha fondato il trimestrale "Marea". Dirige
il semestrale di formazione e cultura "IT
- Interpretazioni tendenziose".
Dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo,
libro/agenda che veniva
accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'".
Collabora con il quotidiano
"Liberazione", i mensili "Il gambero
rosso" e "Cucina e salute". E'
socia
fondatrice della societa' di formazione Chance.
Nel 1988 ha scritto per
l'editore PromoA Donne di sport. Nel 1994 ha scritto
per l'editore
Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe
parlano alle ragazze
d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli
cura una collana di
autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal
1990 al 1996 l'ufficio
stampa per il network europeo di donne "Women
in decision making". Nel 1995
ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie:
un matriarcato imperfetto
nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996
ha scritto con Silvia
Neonato, Lotte da Orbi: 1970 una rivolta (Erga).
Si tratta del primo testo
di storia sociale e politica scritto anche in
braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti
e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita:
il segreto della
partoriente (La Clessidra). Cura e conduce corsi
di formazione per gruppi di
donne strutturati (politici, sindacali, scolastici)
sulla storia del
movimento delle donne e sulla comunicazione]
Silenziose esplosioni: si potrebbero definire
così le violenze e le
aggressivita' femminili, quelle verso l'esterno
e quelle autoinflitte.
Questo ossimoro racchiude il senso di alcune scoperte
che un libro
importante nella storia della cultura femminista
porto' alla luce, quando
evidenzio' la responsabilità dell'educazione
nella fossilizzazione dei ruoli
sessuali, e il destino remissivo di un genere:
Dalla parte delle bambine di
Elena Gianini Belotti.
"Alessia ha soltanto tredici mesi. E' pugnace,
energica, volitiva, sa quello
che vuole e lo vuole subito. E' testarda, tenace,
paziente, fiera e
dignitosa. Ha scarse debolezze, reclama autonomia,
se le si aprisse la porta
di casa lei andrebbe alla ventura senza incertezze,
salvo cercare ogni tanto
conforto alle sue stanchezze in braccia amorevoli.
Quale mai massiccia
operazione repressiva sara' necessaria perche'
da un simile individuo
straripante di vitalita', traboccante di entusiasmo
e di amore per la vita
esca fuori una donnetta disposta a stare rinchiusa
tra le pareti della sua
opprimente casetta intenta ad applicare le sue
energie strabocchevoli a
misere ossessive faccende domestiche? Ammesso
che ce lo si proponga, quanta
tenacia, quanti sforzi e quanta perseveranza e
quanta ostilita' saranno
necessari per ridurre un essere cosi' ricco nel
rigido busto che ha le
fattezze della femminilita'?".
Mi servo di questi interrogativi per introdurre
un possibile discorso
sulla violenza e sulla nonviolenza, e su cosa
c'entri questo con l'essere
donna, e con il femminismo. E perche' serva oggi
interrogarsi sulla ancora
scarsa produzione di pensiero e di pratiche (se
si esclude quella delle
donne in nero) sui temi della nonviolenza da parte
dei diversi movimenti di
donne. E, infine, sul perche' sia cosi' difficile
per le donne uscire allo
scoperto, nei luoghi misti o separati, senza disagio
e senso di minorita'
affermando che le pratiche e il pensiero nonviolento
sono un peculiare
corollario del pensiero e della pratica femminista
a livello mondiale.
Se e' vero che il femminismo ha messo in luce
i guasti, le ingiustizie e le
disparita' drammatiche derivate dall'educazione
patriarcale repressiva e
deformante per entrambi i generi, portando la
sua critica all'intero sistema
di trasmissione dei valori sui quali si costruiscono
le civilta', e'
importante ricordare che il tema della violenza
e' stato analizzato con
particolare attenzione per la prima volta proprio
dal pensiero femminista
partendo dalla micro-relazione sociale che gli
esseri umani vivono al loro
esordio: la famiglia, e in particolare la relazione
con la madre, una donna.
La prima relazione di conflitto. Che sappiamo
essere altro e all'opposto
rispetto alla violenza, ma che senza essere elaborato
puo' virare nella
violenza fino a diventare definitiva aspirazione
alla distruzione del
nemico: in una parola "guerra".
Si nasce in un conflitto, non in una armonica
corrispondenza, e quello
originario e' inscritto senza possibilita' di
scampo nel processo della
nascita. Riguarda sia maschi che femmine, ma nel
secondo caso la bambina che
sta nascendo sperimenta con la madre il primo
scontro con un'altra simile.
E' il conflitto tra il corpo che ci ha ospitato
e il nostro, che affronta un
arduo percorso, simile spesso ad una lotta, spinto
a farsi strada
nell'ineluttabile desiderio di venire alla luce.
Alcune studiose americane, citate nel suo Il parto
a casa da Sheila
Kitzinger, facevano notare, osservando il non
ancora chiarito fenomeno del
"dolore nel parto", assente del tutto
o quasi in alcune donne di determinate
culture, che il corpo materno rappresenta l'unico
caso in natura nel quale
un essere estraneo immesso "arbitrariamente"
non viene rigettato.
Al contrario, nei trapianti di organi, avviene
il rigetto dopo l'immissione
dell'organo e spesso questi delicati interventi
falliscono proprio perche',
anche se l'operazione e' riuscita perfettamente,
il corpo si ribella
all'estraneo immesso, seppur salvifico. Nella
gravidanza, invece, il corpo
accoglie e nutre senza aggressione il feto/estraneo
che e' di fatto alla
stregua di un organo superfluo presente senza
ruolo, e quindi inutile.
L'anomalia permane per alcuni mesi, e poi accade
qualcosa. Al momento del
parto, quando il tempo biologico stabilito per
ciascuna specie mammifera
scade, ecco scattare il conflitto: le studiose
osservano che il corpo
materno riacquista la memoria dell'errore originario,
compiuto nell'avere
accolto l'intruso, e si ribella, dando vita ad
un percorso di espulsione
violenta ineluttabile e dolorosa. "Fuori
da me - sembra dire - ora e' troppo
tempo che sei qui, devi uscire".
Lo studio osserva che l'effetto di questo comando
e' quello di una
dilatazione che sembra non avere fine, sin a quando
il feto viene finalmente
espulso. Da qui il dolore, spesso terribile, del
travaglio, nel quale il
processo di espulsione sembra carico di tutto
la fatica di aver trattenuto
sino a quel momento la violenza della reazione
non avvenuta all'intrusione
originaria.
La valenza simbolica di questo conflitto, doloroso
nel corpo e anche nella
mente (perche' certo c'e' nella madre la curiosita'
e la gioia dell'incontro
con la sua creatura, ma c'e' anche l'evento traumatico
del primo e
definitivo distacco dopo la fusione dei nove mesi
di gravidanza), ci e'
d'aiuto per cominciare a individuare le coordinate
del discorso sul
conflitto.
"Conflitto", "confliggere",
"conflittualita'": parole affini, nel
senso come
nell'etimologia, ad un'altra assai evocativa:
"confine". E non e' forse vero
che in ogni conflitto ci sono in gioco dei confini
da negoziare, volta per
volta da oltrepassare, o difendere?
E' da quel momento, quello della separazione primaria,
che la vita in ogni
sua manifestazione ci propone di schierarci dall'una
o dall'altra parte
rispetto a questi limiti, ed essa stessa e' un
percorso di scelte e
occasioni fortuite nelle quali misurarsi con distanze
e varchi da
oltrepassare, o da aggirare.
Non superfluo e' anche far notare che necessariamente
per i due generi e'
diverso l'approccio con il conflitto dell'origine:
come ha scritto Adrienne
Rich in Nato di donna, la storia umana maschile
deve fare i conti in modo
peculiare con il fatto di nascere da un corpo
diverso dal proprio, e con il
tributo di dipendenza che questo, tra le altre
cose, comporta.
Le donne conoscono dunque il conflitto, si puo'
dire che e' inscritto nella
loro carne, ma difficilmente riescono ad affrontarlo
senza coinvolgere sfere
che non appartengono immediatamente all'ambito
del conflitto stesso; ne
escono molto piu' dilaniate rispetto ai disastri
che si verificano tra
uomini, o tra donne e uomini, complice nel primo
caso il maggior
"attaccamento all'obiettivo" da parte
degli uomini, galeotta la sessualita'
maggiormente esplicitabile tra i diversi generi
nel secondo caso.
Si aggira silenzioso, subdolo, camuffato da malesseri
che in molte donne si
materializzano nel corpo: herpes, brufoli, mal
di testa, indebolimento
generale. Le somatizzazioni, alle quali in tante,
almeno in una occasione
nella vita, siamo state soggette. Il conflitto
e' li', annidato come un
embrione pronto a crescere seguendo tempi indipendenti
dal corso degli
eventi all'esterno. Il suo modo di svilupparsi
dipende da molti fattori: la
strenua capacita' di rimozione in possesso delle
attrici della scena
conflittuale, l'abilita' nel riconoscerlo, la
possibilita' di nominarlo e
isolarlo da altri sentimenti limitrofi, ma non
esattamente pertinenti.
Come nell'amore verso gli uomini sono in molte
le donne che confondono
passione e oblativita', coniugando il sentimento
amoroso con funzione
accuditiva (ti amo e quindi ti lavo e stiro le
camicie), assumendo nello
stesso tempo (e nella medesima esistenza) il ruolo
di compagne e domestiche
anche quando questa funzione potrebbe essere o
condivisa o addirittura
cancellata da servizi esterni, cosi' nel rapporto
tra colleghe scatta
un'equazione diabolica e foriera di disastrosi
risultati: se non siamo d'
accordo, se confliggiamo, appunto, allora non
possiamo piu' convivere nel
nostro progetto comune. L'equazione diviene poi
letteralmente devastante se,
oltre e prima del rapporto sul lavoro le confliggenti
avevano un passato di
amicizia, di affetto e di condivisione. Piu' e'
alto il livello e il
patrimonio della relazione affettiva piu' complesso,
tortuoso, e doloroso,
e' il conflitto, perche' una delle traduzioni
possibili della situazione
diventa: "non sei d'accordo con me, quindi
non sei piu' mia amica". Forse e'
anche leggibile in questa chiave il fatto che
le donne, se scelgono di non
elaborare il conflitto e abbracciano la violenza,
sono particolarmente
feroci. Ci appaiono tali perche' culturalmente
rifiutiamo l'idea di una
donna violenta, ma lo sono anche di fatto in una
misura superiore agli
uomini, proprio perche' devono valicare confini
fisici e simbolici che sono
estranei alla loro formazione.
L'intreccio tra femminismo e psicoanalisi ci insegna
che nessuna donna e'
mai stata immune dall'eredita' relazionale acquisita
attraverso il rapporto
con la madre, quale che sia questo rapporto, nel
bene come nel male. Nel suo
intenso Amiche-nemiche - quando madre e figlia
non riescono a capirsi,
Victoria Secunda cerca una strada interpretativa
e una svolta significativa
alla relazione conflittuale tra madre e figlia.
"Non possiamo riscrivere la
storia, ma possiamo costruire il futuro, cercando
di non diventare a nostra
volta madri incapaci di provare affetto per i
propri figli, o per gli amici,
i colleghi, i mariti. Nessuna figlia vuole sentirsi
non amata, nessuna
giovane donna vuole pensare di non poter diventare
una buona madre, e
nessuna madre vuole credere di avere fallito nel
suo compito di madre.
Quando una madre e una figlia adulta riescono
ad andare al di la' della loro
diffidenza, quando riescono ad andare al di la'
delle accuse, il potenziale
per la guarigione e' enorme. Niente puo' mai spazzar
via l'infanzia - ha
scritto Simone de Beauvoir. E se questa frase
da un lato e' evocativa del
patrimonio di ricchezza e di speranza della quale
e' carica la prima fase
della vita, non e' da dimenticare che e' proprio
in questo momento iniziale
della vita di ogni essere umano che affondano
le radici della nostra
capacita' di misurarci con il conflitto insito
nell'esistenza e nelle
relazioni, e non far macerare e rimuovere il conflitto
fino a farlo
degenerare in violenza.
Parlare di conflitto sembra essere facile, perche'
appena lo si nomina il
coro di consensi fa capire come ci sia comprensione
immediata sull'oggetto
in questione: chi non ha mai avuto un conflitto?
Quale essere umano, sin
dalla più tenera eta', puo' affermare di
non aver sperimentato quella
sensazione di inadeguatezza, di frustrazione che
si articola sino alla
rabbia nel conflitto con un suo simile?
Eppure, analizzato nel suo significato profondo
e slegato dall'indistinto
che lo assimila ad altri concetti, il conflitto
riguarda la vita, ed e' esso
stesso ossatura dell'esistere, nel concreto agire
come nel simbolico della
creazione di cultura di riferimento e quindi di
politica. Dovrebbe far
riflettere il significato dell'adesione di molte
donne impegnate in politica
alle ragioni dell'ultima sanguinosa guerra scatenata
nei Balcani prima, e
dopo l'11 settembre la conversione alla causa
bellica di alcune autorevoli
femministe nordamericane nella guerra in Afghanistan,
entrambi abbacinanti
casi di confusione drammatica dei concetti di
conflitto e di guerra.
L'anno trascorso, segnato dall'irrompere in Italia
della miriade di soggetti
che assieme hanno dato vita al mosaico di realta'
antagoniste al modello
proposto dalla globalizzazione neoliberista, impropriamente
e mediaticamente
definito "movimento dei movimenti",
ha rimesso a tema la questione del
genere dentro il percorso di costruzione di un
altro possibile mondo, piu'
giusto, solidale, equo.
Per la prima volta da molti decenni non solo realta'
che non si erano mai
parlate, o avevano smesso di parlarsi, ma generazioni
diverse, culture e
stili di vita hanno unito le forze per dire che
senza una svolta in termini
di giustizia sociale e sviluppo sostenibile sul
pianeta non c'e' futuro per
nessuna forma di vita.
Due aspetti sono emersi come dati di novita':
il fatto che per la prima
volta questi movimenti non chiedono qualcosa per
loro stessi, ma soprattutto
per chi la voce non l'ha abbastanza forte: il
sud depredato, le culture
indigene. L'altro dato e' la presenza numericamente
consistente di donne,
donne giovani e meno giovani in ogni pezzo di
questo movimento, dal G8 di
Genova giu' giu' fino alle organizzatrici dei
girotondi.
Persino il simbolico che percorre i movimenti
e' quasi totalmente femminile:
dalle culture indie si mutua il linguaggio per
parlare di madre terra
violata; sono madri le iniziatrici del movimento
di protesta contro la
globalizzazione: Vandana Shiva, femminista ecopacifista,
e Susan George,
illustre economista.
Eppure i leader restano solo uomini, e questo
sarebbe il meno: se in realta'
si parla della madre terra da salvare, della giustizia
ferita, dello stupro
di risorse, il simbolico nel linguaggio, il simbolico
delle pratica, fatica
a depurarsi dalla violenza intrinseca sostenuta
dal mito prometeico
dell'eroe, del guerriero che si batte contro l'ingiustizia
per la liberta'
come ben ricorda nel suo Demone amante Robin Morgan,
un testo che mette
seriamente in discussione la presunta portata
innovativa di molte pratiche e
parole d'ordine dei movimenti piu' rumorosamente
antagonisti nel nostro
paese.
Dall'altra parte il silenzio femminile critico,
piu' che la presa della
leadership e', appunto, assordante: ricordo bene,
ad esempio, la difficolta'
di stigmatizzare e prendere le distanze dal linguaggio
della "dichiarazione
di guerra" delle Tute Bianche da parte di
molte donne, giovani e non,
dell'area comunista, per paura di essere fraintese
e definite meno
antagoniste e piu' moderate, o confuse con l'area
cattolica.
Mi pare che, se e' superata la fase della "doppia
presenza" in politica e
nei movimenti, sia ancora tutta da indagare e
da discutere l'autonomia e
l'incisivita' del punto di vista di genere dentro
i luoghi misti, e il
prevalere dell'indistinto neutro sulla centralita'
dell'analisi femminista e
delle pratiche nonviolente che da sempre hanno
caratterizzato l'agire dei
movimenti delle donne.
Da come le donne riescono a riconoscere, a gestire
e a trasformare il
conflitto dipendono non solo la serenita' individuale
delle singole, ma
anche la potenzialita' di impatto simbolico per
il proprio genere e quindi
la capacita' politica delle donne di modificare
esistenza, scenario
collettivo, alfabeti istituzionali e culturali.
5. RIFLESSIONE. DANIELE LUGLI.
RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo la relazione di Daniele Lugli al seminario
sulla nonviolenza
promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino il 27-29
settembre 2002. Daniele
Lugli (per contatti: daniele.lugli@libero.it)
e' segretario del Movimento
Nonviolento]
Se di qualche utilita', per la proposta dei "Gruppi
di azione nonviolenta"
(in sigla: Gan) nella Rete Lilliput, puo' essere
l'esperienza del Gan di
quasi quaranta anni fa, cio' si puo' ricavare
dalla mia intervista su
"Azione nonviolenta" [recentemente riprodotta
in questo notiziario], messa a
disposizione dei partecipanti al seminario.
Mi limito quindi a poche sottolineature.
1. Non scindere l'azione da un approfondimento
delle ragioni che fanno
scegliere la nonviolenza, come orientamento personale
e ispirazione
dell'agire collettivo.
2. Non vedere nel Gan una sorta di braccio nonviolento,
specializzato in
dimostrazioni, del nodo, ma uno strumento di crescita
dell'azione
nonviolenta nel conflitto.
3. La dimostrazione, ci insegna il dizionario,
e' l'atto del dimostrare,
cioe': a) del mostrare apertamente uno stato,
una qualita', un sentimento,
ecc; e b) provare la verita' di un assunto.
4. La dimostrazione nonviolenta tiene piu' legati
che puo' i due aspetti ed
e' lontana dalla definizione che ne danno il Fanfani
e l'Arlia nel Lessico
della corrotta italianita' (1877): "dal 1848
in qua si disse cosi' quella
raunata di gente (leggi Arruffoni, Mestatori,
Armeggioni, ecc.) che va per
le strade e sotto le finestre di qualche pubblico
Uffiziale bociando,
urlando e fischiando, per indurlo a fare quel
che quegli vogliono, o a non
fare quello che essi non vogliono".
5. L'intento dell'azione nonviolenta e' la persuasione,
a partire da quella
dei promotori per giungere a quella di tutti i
coinvolti, non quello di
destare sensazione e meraviglia, anche se la creativita'
e' particolarmente
benvenuta.
6. Un progetto di azione nonviolenta, come ogni
progetto (insegna
Castegnaro) e' costituito di aspetti che vanno
attentamente pensati e
tradotti in pratica. Tali sono, senza pretesa
di esaustivita': 1. il
problema da affrontare; 2. le motivazioni; 3.
gli attori in relazione tra
loro (promotori, coinvolti, destinatari); 4. finalità;
5 risorse/vincoli
(umane, finanziarie, strutturali); 6. l'azione;
7. i tempi; 8. i risultati;
9. la valutazione.
7. Il messaggio della nonviolenza, assicura Gandhi,
e' semplice.
Assicuriamoci che sia arrivato, che qualcosa,
anche minimo, si sia
positivamente spostato nelle coscienze e nell'agire
di tutti i coinvolti
(compresi i nostri avversari).
Sono sette, come i precetti mosaici, validi per
tutta l'umanita'. A me
piacciono e quasi li osservo. Non richiedono neppure
di credere in Dio, ma
di non essere idolatri, che e' un buon consiglio.
Non aggiungerei percio'
altri punti.
Infine, per me restano fondamentali, sotto questo
profilo, due affermazioni
di don Milani che io ripeto molto spesso, perche'
almeno a me dicono molto.
La prima invita a comprendere che il problema
degli altri e' uguale al tuo,
e dunque volerne uscire assieme e' politica, e
il volerne uscire da soli e'
egoismo. Questo "da soli" puo' indicare
non solo il singolo individuo, anche
il gruppo ristretto.
La seconda e' la definizione che don Milani da'
dell'opera d'arte. Ecco,
secondo me un'azione del Gan dovrebbe essere proprio
un'opera d'arte, che
nella Lettera a una professoressa e' descritta
come il risultato di una
operazione complessa.
Bisogna - piu' o meno e' cosi' - odiare qualcuno
o qualcosa, ma poi non
fermarsi li': lavorarci sopra con un paziente
lavoro di squadra. Allora, se
si e' lavorato bene, nasce l'opera d'arte, cioe'
la mano tesa al nemico
perché cambi. In concreto vuol dire che
nella tipica e anche piu'
impegnativa azione di un Gan, di fronte hai qualcuno
che si qualifica come
avversario di quello che tu vuoi, o vuoi fare,
o desideri, avversario di
cio' che ti sembra giusto. E se poi sei tanto
bravo da non odiarlo - don
Milani non pretendeva questo - e tuttavia, se
sei cosi' bravo da non odiare
lui ma solo quello che lui rappresenta, distinguendo
le persone dalle cose
rappresentate, gli interessi dalle posizioni,
e tutto quello che lo studio
dei conflitti ci mette a disposizione... Ma fa
lo stesso, anche se ce l'hai
proprio con lui, bisogna non fermarsi li', lavorare
sul proprio risentimento
in modo che quello che tu fai sia una mano tesa
per il suo cambiamento. Una
mano tesa non e' un pugno e non e' una pietra.
6. RIFLESSIONE. NANNI SALIO. SINTESI
DELLA RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE
LILLIPUT SULLA NONVIOLENZA
[Riportiamo una sintesi della relazione di Nanni
Salio al seminario sulla
nonviolenza promosso dalla Rete Lilliput a Ciampino
il 27-29 settembre 2002.
La relazione di Nanni Salio aveva per titolo "Elementi
fondamentali della
politica dell'azione nonviolenta"; la sintesi
qui presentata, messaci a
disposizione da Pasquale Pugliese (come gli altri
materiali del seminario,
del che ancora una volta lo ringraziamo), non
e' stata rivista dal relatore.
Nanni Salio (per contatti: regis@arpnet.it), nato
a Torino, segretario
dell'IPRI (Italian Peace Research Institute),
si occupa da molti anni di
ricerca, educazione e azione per la pace, e' tra
le voci piu' autorevoli
della nonviolenza in Italia. Opere di Giovanni
Salio: Difesa armata o difesa
popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento,
Perugia; Scienza e guerra (con
Antonino Drago), Edizioni Gruppo Abele, Torino
1982; IPRI, Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1983; Le centrali nucleari e
la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984;
IPRI, I movimenti per la pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Progetto
di educazione alla pace,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Le guerre
del Golfo, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1991; Il potere della nonviolenza,
Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta,
Movimento Nonviolento,
2001]
La strategia nonviolenta deve affrontare quattro
tipologie di potere:
1) potere militare: bisogna cambiare strutturalmente
il modello di difesa
fondato sugli eserciti, che dissipa un trilione
di dollari complessivamente
all'anno.
2) potere economico: realizzare l'alternativa
a questo modello di sviluppo,
un'alternativa fondata sul paradigma della "semplicità
volontaria". Anche
perche' stiamo entrando nel 'picco di produzione
geofisica del petrolio', e
questa e' la ragione strutturale delle guerre
in corso. Una delle
alternative possibili e' il ritorno diffuso alla
terra. Del resto anche se
minoritaria da noi, la gran parte degli abitanti
del pianeta vivono grazie
all'agricoltura.
3) potere politico: rispondere ad una democrazia
solo formale e costruirne
l'alternativa. Qualcuno ha definito quanto avvenuto
l'11 settembre un "colpo
di stato internazionale dei petrolieri".
Cominciare percio' a studiare e
preparare le alternative possibili.
4) potere culturale: proiettare in avanti i progetti
di trasformazione per
costruire culture profonde di pace, attraverso
un lavoro di formazione,
informazione e training.
Come tradurre tutto cio' in prassi concrete?
Entrando nello specifico, individuando cioe' obiettivi
specifici
sufficientemente raggiungibili, per poi andare
oltre. Essi devono essere
circoscritti, analitici, precisi.
Gli obiettivi sono da sviluppare nel tempo attraverso:
le azioni dirette
nonviolente nel breve periodo; le campagne nel
medio periodo; i movimenti
nel lungo periodo.
L'insieme di tutti gli interventi con queste caratteristiche
dovrebbe
raggiungere una "massa critica" del
cambiamento. Tenendo presente che le
azioni dirette nonviolente danno i loro frutti
quando meno ce lo aspettiamo
e che le campagne non vanno aumentate senza tenere
conto della reale
possibilita' di gestirle.
Infine bisogna affrontare il tema dell'organizzazione,
nel senso di
"logistica del movimento", superando
l'occasionalita' dell'impegno nel tempo
libero. Passando dalla rassegnazione all'empowerment,
e trasformando il
lavoro su di se' in lavoro strutturale.
7. TESTIMONIANZE. FREI BETTO: UNA
LETTERA ALLA MADRE DI LULA
[Carlos Alberto Libanio Christo, noto col suo
nome da religioso, Frei Betto,
e' nato a Belo Horizonte, in Brasile, nel 1944.
Impegnato nel movimento
studentesco, entro' poi nell'ordine domenicano.
Giornalista, teologo,
scrittore, impegnato per i diritti umani, arrestato
nel 1969 e detenuto in
carcere per anni sotto la dittatura. E' una delle
voci piu' note della
teologia della liberazione e della chiesa popolare
in America Latina. Opere
di Frei Betto: Dai sotterranei della storia, Mondadori,
Milano 1973; Novena
di S. Domenico, Queriniana, Brescia 1974; Diario
di Puebla, Queriniana,
Brescia 1979; Lettere dalla prigione, Dehoniane,
Bologna 1980; La preghiera
nell'azione, Dehoniane, Bologna 1980; Il lievito
nella massa, Emi, Bologna
1982; Battesimo di sangue, Emi, Bologna 1983;
Allucinante suono di tuba, La
Piccola, Celleno 1993. Cfr. inoltre Una scuola
chiamata vita (con Paulo
Freire), Emi, Bologna. Ha anche partecipato a
molti volumi in collaborazione
(tra cui ad esempio Complicita' o resistenza?
La Chiesa in America Latina,
Cittadella, Assisi 1976; Fede e perestroika, Cittadella,
Assisi 1988; Cina,
l'armonia dei contrari, Cittadella, Assisi 1989),
e pubblicato
libri-intervista come il noto volume Fidel Castro:
la mia fede, Paoline,
Cinisello Balsamo 1986. Lula (Luis Inacio da Silva),
operaio, militante e
dirigente sindacale, fondatore del Partito dei
lavoratori, e' stato eletto
pochi giorni fa presidente del Brasile]
Cara Donna Lindu,
suo figlio Lula sara', dal prossimo primo gennaio
2003, presidente del
Brasile.
Io mi ricordo di lei, signora, nella piccola casa
dove abitava a Sao
Bernardo do Campo. Venni al suo funerale nel 1980.
Suo figlio era presente
ammanettato, circondato da poliziotti del Dops,
catturato dalla dittatura
militare per aver diretto gli scioperi della ABC.
Temetti per il peggio
quando sentii gli operai discutere se era il caso
di liberarlo allora dalle
mani della polizia.
Donna Lindu, lei, signora, era analfabeta, povera,
dimessa, ma di una
dignita' che ispirava reverenza. Suo marito parti'
per San Paolo alla
ricerca di lavoro. Sette anni dopo lei riuní
i suoi sette figli su un camion
e segui' il suo stesso cammino.
Lula aveva allora sette anni. Incontro' suo padre
con un'altra famiglia. Di
fronte all'abbandono nel quale si trovarono una
mamma e i suoi figli, Lula
lavoro' come lustrascarpe, venditore ambulante
e lavandaio.
Ora, Donna Lindu, per lui e' un'eredita' quello
che lei gli insegno': il
coraggio di fronte alle difficolta' della vita.
Nonostante il dito perduto sul lavoro, non si
perse d'animo e continuo' a
lavorare come tornitore.
Nemmeno cadde nella disperazione quando, per la
scarsita' di cure sanitarie
riservate ai poveri, perse la moglie e il figlio
che lei teneva nel grembo.
Non ebbe nemmeno timore della dittatura al momento
di denunciare l'inganno
degli indici salariali quando organizzo' lo storico
sciopero degli operai
della ABC.
Suo figlio ha vinto, Donna Lindu.
Non perche' ha ottenuto un diploma o e diventato
ricco e famoso. Ma perche'
ha costruito il piú combattivo e etico
partito politico del Brasile. Perché
e' stato il deputato costituente piu' votato di
tutto il Brasile. Perché ha
fondato la CUT. Perche' ha partecipato a quattro
elezioni presidenziali
dando speranza a milioni di brasiliani.
Lula ha insegnato alla nazione che e' possibile
fare politica con decenza,
pudore nel volto, tolleranza nelle relazioni personali
e intransigenza sui
principi.
Grazie, Donna Lindu, per aver dato al Brasile
un presidente con capacita' di
leadership, trasparenza etica e profondo amore
per il popolo, soprattutto
per coloro che, come la sua famiglia, hanno conosciuto
nella carne e nello
spirito la sofferenza e la poverta'.
Il Brasile merita un futuro migliore. Il Brasile
merita questo frutto del
suo grembo: Luis Inacio Lula da Silva.
8. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE:
UN'EUROPA PER LA PACE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it)
per averci messo
a disposizione questa vivace ed acuta riflessione.
Lidia Menapace e' tra le
voci piu' significative della cultura delle donne,
dei movimenti di
solidarieta' e di liberazione, della vita civile
di questo paese. Tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico
di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana,
Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina,
Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa
ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede
perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000;
Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Un Giscard d'Estaing signorilmente assai contrariato,
il disappunto dipinto
in viso, e' quello che si e' visto uscire dai
palazzi vaticani dopo
l'inopinata richiesta del Papa di mettere nella
Costituzione europea un
riferimento a Dio e alle radici cristiane d'Europa.
Al francese
probabilmente si arricciavano le budella dal 1789.
Sembrava cosi'
spiacevolmente sorpreso. Forse gli era stata chiesta
o offerta una visita di
cortesia cui un vero signore come lui non dice
mai di no, ma il Papa gli ha
fatto una sorta di trabocchetto.
Vediamo di dipanare la ingarbugliata matassa:
il Vaticano fa parte
dell'Europa? Non mi risulta che sia membro dell'Unione,
ne' che abbia una
qualsiasi rappresentanza al parlamento europeo,
dato che non e' uno stato
democratico. E allora che cosa ha da dire a proposito
della Costituzione? Si
sarebbe definita, in altri tempi, una indebita
ingerenza.
Ma facciamo conto che abbia involontariamente
fatto un'offesa all'etichetta
(sarebbe una delle prime volte nella tradizione
della Chiesa cattolica come
soggetto politico, ma tutto puo' essere) e discutiamo
della proposta, anche
se io sarei propensa ad opporre un "fin de
non ricevoir". Cosi' la questione
e' chiusa con stile.
Ahinoi, Fini ha gia' cancellato questa possibile
risposta mettendosi a dire
che "certo l'Europa e' laica, ma una vera
laicita' eccetera eccetera":
sembrava che la frase gli fosse stata messa davanti
da Navarro direttamente,
a proposito di laicita'.
Saltiamo tutti i passaggi intermedi e vediamo
un po': la Moratti vuole i
crocefissi nelle scuole, iniziativa oltremodo
opportuna, quando nelle nostre
scuole ormai sono presenti bambini e bambine musulmane,
induiste, buddiste.
Ora il papa direttamente chiede che l'Europa abbia
una costituzione,
diciamo, "costantiniana": cosi' si capisce
subito che il ribaltamento del
Concilio Vaticano II e' fatto, andato.
A questo punto, non senza ricordare sommessamente
che nel Vangelo e'
scritto "non chi dice Signore Signore, ma
chi fa la volonte' del Padre
entrera' nel regno dei cieli", e che addirittura
un solenne comandamento
vieta di "nominare il nome di Dio invano",
avrei un paio di proposte: come
stemma d'Europa si potrebbe disegnare una bella
croce sullo sfondo di un
cielo luminosissimo e la scritta "In hoc
signo vinces". Oppure anche per
evitare il mal di pancia di scartare a brutto
muso l'eventuale proposta di
una cupa scritta gotica (che va tanto di moda)
"Gott mit uns", di tornare al
"Dieu le voeult" di Pietro l'Eremita,
il grido con cui avvio' la
sfortunatissima prima crociata nel corso della
quale morirono di fame e di
stenti migliaia di bambini.
Scherzato un po' -con una certa dose di bile-
sull'argomento "Europa e
Costantino imperatore", veniamo a cio' che
Fini inoltre ha detto: la
costituzione europea parlera' di una unione di
stati sovrani eccetera
eccetera.
Come sarebbe "stati sovrani"? eravamo
tanto fieri di avere una costituzione
repubblicana vigente gia' predisposta a rinunciare
a porzioni di sovranita'
(anche senza l'unione europea, comunque anche
prima) per evitare le guerre,
e adesso facciamo passi indietro?
La questione e' infatti racchiusa nello stesso
articolo 11 che "ripudia la
guerra" sia offensiva sia come strumento
di risoluzione di controversie
nelle quali per ipotesi noi avessimo ragione,
e prevede come una delle
possibili e delle piu' difficili pratiche per
comporre conflitti o contrasti
o controversie, la rinuncia bilaterale a porzioni
di sovranita'.
Una delle possibili risoluzioni della questione
sudtirolese sarebbe infatti
anche stata quella di costituire uno spazio sottratto
alle sovranita'
italiana e austriaca per farne una specie di cuscinetto
di nazionalita'
mista e alla fine forse composita, soluzione che
ne' l'Austria ne' l'Italia
hanno mai perseguito e solo negli ultimi anni
e proprio sulla scorta del
discorso europeista e' stata avanzata sotto forma
della costituzione di una
"Euregio".
Ma torniamo a Fini. Che significa "stati
sovrani"? che mantengono le
prerogative della sovranita', cioe' confini bandiera
esercito, diritto
all'uso della forza (come e' chiamata la violenza
quando e' esercitata dallo
stato). La nazionale di calcio forse no, i club
non sono interessati: la' si
fara' l'Europa.
Appare a questo punto sommamente opportuna la
proposta di costituire
l'Europa come continente neutrale: cosi' si unifica
la sua politica
militare: altrimenti avremmo una Europa unificata
solo sotto Maastricht e
Schengen: per tutto il resto ciascuno puo' fare
quel che vuole, anche la
guerra.
Intanto le intemperanze contro espressioni pacifiste
o l'indifferenza per la
pace sono sempre piu' evidenti: a Bolzano a una
persona che aveva messo alla
finestra la bandiera arcobaleno con la parola
"pace", la bandiera e' stata
bruciata tre volte. E quasi nessuno porta un nastro,
uno straccetto, un
qualsiasi segno bianco addosso. La guerra non
cova quando le lotte tengono
sveglie le coscienze, bensi' quando l'indifferenza
le ottunde e il lardo
invade i cervelli. No alla guerra.
9. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI:
"EMERGENZA UMANITARIA"
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli@tin.it)
e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio ed e'
persona non solo di
straordinaria generosita' ma anche di grande rigore
intellettuale e morale.
L'argomento che esamina ha dato luogo a vivaci
ed imbarazzanti polemiche,
una parola di saggezza da parte di una figura
limpida e autorevole impegnata
da sempre nella solidarieta' internazionale, come
Giulio, e' quindi
opportuna]
Secondo la relazione del Ministero degli Esteri
i finanziamenti dello Stato
alle Organizzazioni non governative (Ong) si sono
triplicati negli ultimi
anni.
Per l'esattezza sono aumentati i finanziamenti
per le emergenze umanitarie,
quelli che piu' facilmente possono essere spostati
(proprio con il
"pretesto" dell'emergenza) da un paese
all'altro. Protagonisti di queste
operazioni umanitarie sono non solo le Ong, ma
anche le agenzie dell'Onu e
delle Chiese.
Teoricamente non dovrebbero sussistere problemi,
ci troviamo davanti ad
organismi che operano per portare sostegno alla
gran parte dell'umanita'
sofferente. Poi si scopre (non da oggi, per chi
e' impegnato nella
solidarieta' internazionale) che i soldi degli
aiuti possono essere
utilizzati per avvantaggiarsene economicamente
o politicamente (in
particolare con l'emergenza), fino a creare un
sistema che assomiglia sempre
piu' a un'industria, con tutte le caratteristiche
del business, del
profitto, del marketing, della competitivita'.
Il tutto e' stato raccontato in una trasmissione
televisiva ("Report") di
martedi' 22 ottobre su Rai Tre alle ore 20:50,
dal titolo "Organismi non
governabili". Si e' partiti da un meritevole
progetto di sminamento in
Angola (10 milioni di mine ogni santo giorno ammazzano
qualcuno o amputano
una gamba a qualcun altro), interrotto pero' dopo
alcuni mesi perche' i
fondi sono stati destinati all'Afghanistan...
cosi' si ritrovano a Kabul gli
stessi sminatori che precedentemente avevano abbandonato
il Kossovo per
l'Angola.
"Il buon senso suggerirebbe di lasciarli
in Angola e mandare altri in
Afghanistan, ma con quali soldi? Quando tutti
parlano di donne col burka e
di massacri afgani, e' evidente che le mine dell'Angola
si dimenticano. E
questo anche perche' c'e' un legame stretto fra
la stampa e il settore
umanitario e se da una parte le tragedie sono
un buon pezzo televisivo,
dall'altra grazie ai giornali e alle tv si innescano
quei meccanismi che
permettono poi l'apertura dei rubinetti per finanziare
progetti di
emergenza. E la guerra in Afghanistan ha definitivamente
consacrato questo
modello su scala industriale" (Milena Gabanelli,
autrice e presentatrice del
programma).
Sempre dall'Afghanistan: l'ONU aveva fatto una
raccolta di fondi per
fronteggiare l'emergenza profughi, durante la
guerra. Si attendevano almeno
un milione di persone in Pakistan. Alla fine i
profughi non raggiungevano i
60.000. Nonostante gli aiuti stanziati (per oltre
un milione di persone) nei
campi profughi pakistani vengono fornite razioni
di cibo sotto gli standar
stabiliti dal World Food Program (1.800 calorie
giornaliere, contro le 2.400
previste); unitamente a delle stufette a cherosene
per scaldarsi e fare da
mangiare, una su sei difettosa - e infatti esplodono
nelle tende.
Ritornando in Africa, abbiamo il caso emblematico
della Sierra Leone con i
cospicui finanziamenti per l'emergenza della riabilitazione
dei bambini
soldati. Secondo l'Unicef erano non piu' di 5.400.
Le tre piu' grandi
organizzazioni impegnate in questa emergenza hanno
dichiarato di assistere
quasi 10.500 bambini. Ciascuna delle altre undici
associazioni ne avrebbe
gestiti nei campi oltre 3.000. Totale: i bambini
soldato sarebbero oltre
50.000. Evidentemente qualcosa non torna.
Per non parlare del ruolo giocato dalla malavita:
le dimissioni di Natalina
Cea dalla Commissione Europea che doveva mettere
ordine nel settore doganale
del Kossovo, durante la guerra, lasciata da sola
davanti alle minacce della
mafia italo-albanese, con cui erano in relazione
parecchie Ong anche
europee.
Per concludere con le sconcertanti dichiarazione
del sottosegretario agli
esteri Alfredo Mantica, sul ruolo giocato dai
servizi francesi e inglesi
all'interno delle Ong.
Che cosa vuol dire tutto questo?
Che si deve evitare comunque la sfiducia in queste
organizzazioni, ne
esistono di molto rigorose e anche molto piccole,
a cui va tutta la nostra
ammirazione.
Che allo stesso tempo si deve essere coscienti
dell'esistenza di
un'industria delle buone azioni, che alimenta
se stessa: i lussuosi
fuoristrada (dei militari della missione di pace
Onu - costo un milione di
dollari al giorno - e dei migliaia di tecnici
della cooperazione
internazionale) parcheggiati nelle vicinanze delle
spiagge di sabbia bianca
della Sierra Leone, stridono non poco nel teatro
dell'ultima e piu' feroce
guerra civile africana. Non c'e' niente di male
nell'andare al mare. Ma e'
inevitabile chiedersi se la politica degli aiuti
umanitari serva veramente a
sanare qualche piaga a cui peraltro non siamo
sempre estranei, o non sia
piuttosto l'alibi che mette a posto le coscienze
dei paesi ricchi.
Infine, che per fare del bene ci vuole tempo e
delle azioni politiche, se
invece l'emergenza diventa la norma non si puo'
piu' gestire un aiuto reale.
Giustamente ha dichiarato don Albino Bizzotto
(presidente dell'associazione
Beati i costruttori di pace): "L'umanitario
se non affronta il nodo della
guerra, se non affronta il nodo politico, rischia
molte volte di diventare
quello, come dire, che porta l'acqua ad un indotto
di quelli che fanno
proprio l'ingiustizia nei confronti della popolazione
stessa".
10. ARTE E CIVILE CONVIVENZA. LA
RETE LILLIPUT DONA UN MONUMENTO ALLA CITTA'
DI FIRENZE
[Riceviamo e volentieri diffondiamo. Per contattare
l'ufficio stampa della
Rete Lilliput: e-mail: ufficiostampa@retelilliput.org,
sito:
www.retelilliput.org/stampa]
La Rete Lilliput ha promosso la donazione alla
citta' di Firenze di una
fontana bronzea di Jean Michel Folon in occasione
del Forum Sociale Europeo.
Si tratta della scultura "Pluie - Pioggia"
alta tre metri e destinata ad
essere ospitata in un luogo dove viene vissuta
pienamente la partecipazione
dal basso, popolare, alla vita pubblica della
citta'.
L'incontro tra l'artista e gli attivisti della
Rete Lilliput, grazie anche
all'opera della dottoressa Marilena Pasquali,
e' stato molto positivo e
carico di speranze comuni per il destino dell'umanita'.
Da questo incontro
e' nata l'idea della donazione della fontana in
occasione del Forum Sociale
Europeo.
La fontana rappresenta una persona che si ripara
dalla pioggia con un
ombrello, anch'esso fatto di pioggia. Una sorta
di auspicio di un rapporto
nuovo tra uomo e natura, non piu' fondato sulla
lotta e sullo sfruttamento,
ma al contrario basato sul rispetto e sul dialogo.
Come afferma Folon, "il Forum Sociale Europeo
rappresenta un'importante
occasione di incontro tra i popoli, un'occasione
per rimettere al centro
valori oggi in pericolo" come la salvaguardia
dell'ambiente, aggredito e
sconvolto da un sistema economico che ha per unico
scopo il profitto e non
la dignita' della persona.
Il Forum arricchisce Firenze di una nuova opera
d'arte simbolica. La fontana
rappresenta in pieno il messaggio che il Forum
Sociale Europeo porta alla
citta' di Firenze: una concezione dell'umanita'
carica di serenita' e
armonia.
11. INCONTRI. PACE PER LA PACE:
INCONTRO ECUMENICO A FIRENZE
[Ringraziamo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi@videosoft.it)
per averci
trasmesso questa proposta. Le adesioni possono
essere inviate ai seguenti
recapiti di posta elettronica: vi.bel@iol.it;
emazzi@videosoft.it;
striano@arci.it]
Si svolgera' domenica 10 novembre, alle ore 11
nella piazza dell'Isolotto, a
Firenze, un incontro ecumenico laico-religioso
di partecipanti al Forum
sociale europeo.
Mettere in gioco la propria esistenza e' uno degli
aspetti fondamentali
dell'agire sociale e politico. Si puo' chiamare
coerenza di vita o
spiritualita'. Non di rado invece sono gli obiettivi,
i programmi, la lotta
che prevalgono fino ad annullare la ricerca di
coerenza e spiritualita'.
Nemmeno l'interiorita' puo' prevalere. Devono
tenersi sempre la mano in una
specie di ecumenismo globale coerenza e obiettivi,
viaggio e approdo, essere
e fare, preghiera e lavoro, fede e razionalita',
vita e politica, vuoto e
pieno, poesia e documenti, musica e parole, creativita'
e regole, silenzio e
grido.
Non solo noi come individui abbiamo bisogno di
riconciliare questi due
emisferi della vita fra loro complementari, ma
anche noi come istituzioni
sia laiche sia religiose: essere pace per realizzare
pace e unita'.
Nell'intenso programma del Forum sociale europeo
non mancano aspetti di
coerenza e interiorita'. Dopo tre giorni ricchi
di manifestazioni, analisi,
appassionata ricerca di obiettivi, sentiamo pero'
il bisogno di un momento
di incontro che manifesti e intrecci la nostra
ricerca quotidiana di
ecumenismo globale.
Alcune realta' laiche e religiose che aderiscono
al Forum sociale europeo
(finora: Comunita' di base Isolotto, Comunita'
di base Le Piagge, Arci,
Comunita' rom del Poderaccio, Chiesa evangelica
valdese di Firenze, Noi
siamo Chiesa, Beati i costruttori di pace, Casa
del popolo Isolotto, membri
delle Comunita' senegalese e somala) invitano
i partecipanti al Forum
sociale europeo a un incontro di pace per la pace
in piazza Isolotto, sotto
la tettoia dipinta dall'artista curdo Fuad Aziz,
domenica 10 novembre alle
ore 11.
L'incontro sara' un happening. Dopo una veloce
introduzione sulle
motivazioni dell'incontro, brevissimi pensieri
spontanei, letture di poesie,
preghiere, testimonianze, con alternanza di canti
e simbologie.
Fra i simboli: cesti con pane di tante tradizioni
culturali, con frutti
della natura e con semi che serbano la speranza
e il futuro (anche i rom e
le rom del Poderaccio offriranno la loro picinta
e la pita cotte nei forni
del campo); un grande cesto in cui i partecipanti
potranno offrire e
prendere messaggi, poesie, preghiere, brani di
libri sacri e della
letteratura laica, per una condivisione delle
radici da cui ciascuno trae la
linfa vitale e le fonti a cui alimenta l'ispirazione
ideale; ciotole di
acqua in cui collocare i "lucignoli fumiganti"
che accompagnano il nostro
cammino nella notte...
Il canto "Eppure il vento soffia ancora"
concludera' l'incontro.
12. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR:
UN DEPLIANT TURISTICO
[Da Simone de Beauvoir, A conti fatti, Einaudi,
Torino 1973, 1980, p. 268.
Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908;
e' stata protagonista, insieme
con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle
vicende della cultura,
della vita civile, delle lotte politiche francesi
e mondiali dagli anni
trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel
1980, Simone de Beauvoir nel
1986). Antifascista, femminista, impegnata nei
movimenti per i diritti
civili, la liberazione dei popoli, di contestazione
e di solidarieta', e'
stata anche lucida testimone delle vicende e degli
ambienti intellettuali di
cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di
Simone de Beauvoir:
pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti
in italiano e piu' volte
ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente:
Il sangue degli altri
(Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori),
I mandarini
(Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore
e Mondadori), La
terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte
le donne del mondo.
(Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e'
anche un grande affresco sulla
vita culturale e le lotte politiche e sociali
in Francia, e non solo in
Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie
d'una ragazza perbene,
L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti,
cui vanno aggiunti i libri
sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima,
e sulla scomparsa di
Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso
Einaudi.
Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone
de Beauvoir, La Nuova
Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia
critica ragionata)]
La sera atterrammo a Hiroshima. Un depliant turistico
che lessi in aereo
comincia con queste parole: "Hiroshima e'
celebre soprattutto per i cinque
fiumi che l'attraversano".
13. MAESTRE. LUCE IRIGARAY: LA
SALUTE DELLE DONNE
[Da Luce Irigaray, Io, tu, noi, Bollati Boringhieri,
Torino 1992, p. 88.
Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca
al CNRS a Parigi, e'
tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi
decenni. Opere di Luce
Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli,
Milano 1975; Questo sesso
che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978;
Sessi e genealogie, La
Tartaruga, Milano 1987; Parlare non e' mai neutro,
Editori Riuniti, Roma
1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino
1992; Amo a te, Bollati
Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati
Boringhieri, Torino 1994; La
democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; Etica della
differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1995]
Penso che la salute delle donne soffra, anzitutto,
di una mancanza di
affermazione di se'.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA"
DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione
della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale,
a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato
di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa
via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale
senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il
bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento
nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e
le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo,
di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza,
alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto
di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso
per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere,
inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente
naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro,
e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza
dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento,
che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio
e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta'
di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta
sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo
sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza
civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento:
http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale
della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta
presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti:
lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete
telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale
per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza:
http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario
e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 405 del 4 novembre 2002
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