|
Giro98
Movimento forum sociale europeo
Riviste: LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO 406
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 407 del 6 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Tre religiose pacifiste arrestate in Colorado
(Usa)
2. Alberto L'Abate, relazione al seminario della
Rete Lilliput sulla
nonviolenza
3. Luciano Dottarelli, abitare un mondo comune.
Kant e la critica
dell'esaltazione fanatica
4. Enrico Peyretti ricorda Benedetto Calati
5. E' scomparsa Marisa Musu
6. Wanda Tommasi, la conclusione delle Tre ghinee
di Virginia Woolf
7. Vivian Lamarque, la luna di qualcuno
8. In uscita il n. 41 di "Giano"
9. Letture: AA. VV., Islam e occidente
10. Letture: Giorgio Galli, La guerra globale
11. Riletture: Annamaria Novello, Tiziana Negri,
Donna in Nicaragua
12. Riletture: Clotilde Pontecorvo (a cura di),
La condivisione della
conoscenza
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. TESTIMONIANZE. TRE RELIGIOSE
PACIFISTE ARRESTATE IN COLORADO (USA)
[Dall'ottimo sito www.femmis.org riprendiamo questa
notizia]
Tre religiose domenicane sono state arrestate
durante una manifestazione
contro le installazioni missilistiche di Colorado
Springs.
Carol Gilbert, Jackie Hudson e Ardeth Platte,
questi i nomi delle donne che
secondo quanto riportato dall'agenzia d'informazione
religiosa "Vidimus"
hanno partecipato ad una manifestazione contro
le installazioni
missilistiche di Colorado Springs e sono state
arrestate per l'azione di
disobbedienza civile scaturita dalla protesta
gia' nel settembre del 2000.
Anche allora erano state arrestate e poi prosciolte
per un'azione di
disobbedienza civile sempre in Colorado. In questa
occasione invece
all'arresto fara' seguito il processo.
In un comunicato le religiose hanno sottolineato
che le ricerche militari
spaziali del governo degli Stati Uniti "portano
allo spreco di miliardi di
dollari, risorse umane e materiali, causando la
distruzione dell'ambiente e
l'inquinamento dello spazio".
Sono diverse le religiose e i religiosi che finiscono
sotto accusa per la
partecipazione ad azioni di protesta e a favore
della pace, come accade per
il gruppo "SOA Watch", fondato dal missionario
di Maryknoll Roy Bourgeoise,
e per quanti aderiscono al "Thomas Merton
Center" di Pittsburgh, che sabato
scorso ha organizzato una manifestazione contro
la guerra all'Iraq per le
strade della citta'.
2. RIFLESSIONE. ALBERTO L'ABATE:
RELAZIONE AL SEMINARIO DELLA RETE LILLIPUT
SULLA NONVIOLENZA
[Pubblichiamo la relazione svolta da Alberto L'Abate,
dal titolo "Esperienze
di nonviolenza nei movimenti italiani di cambiamento
sociale", al seminario
sulla nonviolenza promosso dalla Rete Lilliput
a Ciampino il 27-29 settembre
2002. Alberto L'Abate (per contatti: labate@unifi.it)
e' nato a Brindisi nel
1931, docente universitario, amico di Aldo Capitini,
e' impegnato nel
Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita'
di addestramento
alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia
non ufficiale per
prevenire i conflitti; ha collaborato alle iniziative
di Danilo Dolci e
preso parte a numerose iniziative nonviolente;
come ricercatore e
programmatore socio-sanitario e' stato anche un
esperto dell'Onu, del
Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale
della Sanita'; ha promosso
e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace
a Pristina, ed e' impegnato
nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza
e la riconciliazione". E'
portavoce dei "Berretti Bianchi". Tra
le opere di Alberto L'Abate:
segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza,
Satyagraha, Torino 1985;
Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli,
Milano 1990; Prevenire la
guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997;
Kossovo: una guerra
annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani
e pace, Pangea, Torino
2001]
La relazione si sviluppa in sette considerazioni
generali e quattro esempi
concreti.
1. la prima considerazione riguarda la generale
incultura della nonviolenza,
che traspare da molti opinionisti, anche molto
famosi, che confondono
pacifismo e nonviolenza, e che continuano a considerare
quest'ultima come
passivita', come accettazione supina delle ingiustizie,
come vigliaccheria,
ecc.
*
2. La seconda considerazione riguarda la distinzione
tra movimento pacifista
e movimento nonviolento. Come accennato prima
spesso questi vengono
considerati essere la stessa cosa. In realta'
tra loro c'e' una differenza
notevolissima. Infatti il movimento per la pace
e' semplicemente re-attivo.
Si mette in moto quando si prevede o sta per iniziare
una guerra. Allora
molte migliaia di persone, che molto spesso prima
non hanno mosso un dito
per evitare che la situazione si incancrenisse,
si mettono in moto, fanno
grandi manifestazioni di massa, protestano e scrivono
contro la guerra. Ma
di solito, appena la guerra e' iniziata, oppure
si e' conclusa, il movimento
sparisce del tutto. Il movimento nonviolento e'
invece pro-attivo. E cioe'
si mette in moto molto prima (in numeri molto
minori, e percio' meno
visibili, ma in modo continuato e approfondito)
per prevenire il conflitto
armato, per cercare soluzioni nonviolente, oppure,
durante la guerra, per
interporsi in modo nonviolento e far terminare
il conflitto armato, e
mettere gli avversari ad un tavolo di trattative,
oppure dopo la guerra, per
ristabilire i rapporti umani tra i due contendenti,
e trovare forme di
riconciliazione tra di loro. La ragione principale
di questa differenza e'
il fatto che nella nonviolenza ci sono due "armi"
principali: l'azione
diretta nonviolenta, che ci da' strumenti per
contrastare quanto c'e' di
sbagliato (tanto) nella societa' attuale, ed il
progetto costruttivo, che ci
indica dove vogliamo andare, che tipo di societa'
vogliamo mettere in vita,
ecc. Le battaglie nonviolente vincenti hanno sempre
utilizzato ambedue
queste "armi", o se non vogliamo usare
una terminologia militare,
"strumenti" di cambiamento sociale,
in modo interrelato ed in simbiosi
l'uno con l'altro.
*
3. Ci sono studiosi, come Bobbio, che pur molto
simpatetico verso la
nonviolenza, esprime dei dubbi sulla sua efficacia.
In realta' ci sono
moltissimi esempi di come questa, se ben utilizzata,
possa essere molto
efficace. Io ne citero' solo quattro, ma se ne
potrebbero presentare molte
di piu':
3. 1. Vari anni fa, a Genova, c'era programmata
ogni anno una mostra navale
bellica, per vendere meglio le armi prodotte dalle
nostre industrie. Dalle
organizzazioni di base di Genova fu organizzato
un blocco alla mostra che,
nella mattina, coinvolse svariate migliaia di
persone, ma che, nel
pomeriggio, vide la partecipazione ad una manifestazione
nonviolenta
(serpentone) di moltissime migliaia di persone.
A mia conoscenza e' stata
una delle piu' belle manifestazioni nonviolente
mai svolte in Italia.
L'obiettivo era quello di far chiudere quella
che era stata definita dai
genovesi "la mostra dei mostri". In
effetti, dopo questa manifestazione, la
mostra fu sospesa e trasferita in mezzo al mare,
su una nave militare
raggiungibile solo con elicotteri. Ma dopo qualche
anno i costruttori di
armi italiani tornarono alla carica, chiedendone
di nuovo l'apertura a
Genova. La loro argomentazione era che l'Italia,
a causa di questa
limitazione, era passata dal V posto tra i venditori
di armi del mondo, al
XIII posto. Non so se questo sia vero, ma e' certo
che se le nostre
iniziative sono riuscite a ridurre talmente il
nostro commercio di armi, non
possiamo certo dire che la nonviolenza sia inefficace.
Con quella
argomentazione i costruttori e venditori di armi
nostrane sono riusciti a
far riaprire la mostra a Genova, ma dopo un secondo
blocco, cui ha
partecipato pure una buona parte della popolazione
genovese, la mostra e'
stata riportata nella nave militare.
3. 2. Il secondo esempio e' preso dalla lotta
e dal lavoro di Danilo Dolci
in Sicilia. Dopo una serie di sue denuncie (si
pensi al suo libro Banditi a
Partinico) sul fatto che lo stato italiano spendeva
soldi solo per la
repressione di coloro che si "ribellavano"
al loro stato di miseria
(spendendo percio' notevoli cifre per l'apparato
repressivo: carabinieri,
polizia, militari, giustizia, carceri, ecc.) ma
quasi niente per aiutare le
popolazioni di quella regione a svilupparsi economicamente
e socialmente,
grazie al premio Lenin per la Pace, ed al sostegno
di molti gruppi di amici
organizzatisi in varie parti del mondo, ha messo
su', lui stesso, un lavoro
di sviluppo di comunita' (con tecnici vari, assistenti
sociali, infermieri,
agronomi, economisti pratici, ecc.), attuando
forme di programmazione
partecipata dal basso (da lui definita maieutica
reciproca, perche' la
partecipazione della popolazione stessa della
zona arricchiva la presa di
coscienza dei problemi reali e delle possibili
soluzioni), e grazie al
suggerimento di un contadino della zona, e vari
anni di studi e lotte, e'
riuscito a far costruire una diga del fiume Iato,
che da' acqua alle zone
vicine (anche a Palermo), ha aumentato notevolmente
il reddito delle
campagne circostanti, e che viene gestita (contrariamente
alle altre dighe
della Sicilia strettamente controllate dalla mafia,
e percio' con prezzi
dell'acqua esorbitanti) da una cooperativa formata
dai piccoli proprietari e
contadini di quell'area. Ma se si va a vedere
a fondo l'influenza di Dolci
non e' stata solo locale. Un notevole numero dei
leaders studenteschi del
1968 erano stati, come me, a lavorare come volontari
con Danilo Dolci. E
questo aveva dato loro la forza di portare avanti
una lotta, come quella
studentesca, che grazie anche ad Aldo Capitini
che aveva preconizzato molte
delle idee che saranno riprese dal movimento,
almeno di quella parte di
questo che si ispirava alla nonviolenza, come
l'importanza della
partecipazione dal basso, del "potere di
tutti", e di metodi decisionali
consensuali - l'assemblea, ad esempio; ha contribuito
sicuramente a far
prendere coscienza ad una gran parte della popolazione
italiana (si pensi
allo sviluppo, tra gli operai, della "scienza
operaia" e della "non delega
della salute") ed ha notevolmente contribuito
anche a far attuare, dopo
qualche anno, la nascita delle Regioni, che erano
iscritte nella nostra
Carta Costituzionale, ma che, fino ad allora,
nessuna forza politica si era
sentita di realizzare.
3. 3. Il terzo esempio, dell'efficacia della lotta
nonviolenta, viene dalle
lotte contro le centrali nucleari della Maremma
toscana e laziale. Oltre
alla centrale nucleare di Montalto, nella Maremma
laziale, che era gia'
stata decisa ed in costruzione, c'era il progetto
di farne un'altra a
Capalbio, nella Maremma toscana. La sua realizzazione
avrebbe portato la
Maremma ad essere una delle zone italiane a piu'
alta concentrazione di
centrali nucleari, una vera e propria "mecca"
del nucleare. Ma la
popolazione si organizzo' e, per opporsi a questo
progetto, blocco' la
linea ferroviaria Pisa-Roma per circa due ore.
La polizia prese molte foto
del blocco, e denuncio' per questa manifestazione
non autorizzata circa una
quarantina di persone, alcuni dei quali erano
gli stessi organizzatori, ma
altri erano invece cittadini comuni che avevano
partecipato al blocco, ma
che erano in condizioni di difficolta' ad affrontare
un processo (uno, ad
esempio, aspettava di essere assunto dalle Ferrovie
dello Stato, un altro
aveva una licenza per vendita ambulante e rischiava
che gli venisse tolta, e
cosi' via). Cosi' quando si arrivo' al processo
la difesa cerco' di
diminuire l'importanza del blocco sostenendo che
non c'era stata la volonta'
di farlo, ma che i treni erano stati bloccati
per iniziativa del
capostazione di Capalbio che aveva paura che potesse
succedere un incidente
ai manifestanti. E molti di questi sostennero
che non erano andati nelle
rotaie per fare il blocco, ma solo per vedere
degli amici, o per traversarle
per altre ragioni. Ed i giudici assolsero i manifestanti
per "insufficienza
di prove" sulla volonta' di voler fare un
blocco. Ma don Sirio Politi, un
prete operaio che gestiva una chiesetta nel porto
di Viareggio, ed era
stato, per molti anni, il presidente del Movimento
Italiano per la
Riconciliazione, ed il sottoscritto, che eravamo
stati chiamati come
testimoni, abbiamo invece dichiarato ai giudici
che non eravamo solo
presenti ma che avevamo partecipato anche al blocco.
E varie altre persone
(9) che avevano partecipato alla manifestazione
si auto-incriminarono per la
stessa azione, non tutte insieme ma progressivamente.
Si arrivo' cosi' al
nostro processo che si prolungò per oltre
un anno, in tre diverse sessioni,
perche' ogni volta i giudici si trovavano di fronte
ad altre auto-denunce e
rimandavano il processo per unificarlo. Ma ad
ogni incontro noi, la sera
prima, organizzavamo un controprocesso al quale
erano invitati a parlare
quelli che poi, il giorno dopo, avrebbero dovuto
testimoniare in tribunale a
nostro favore. Tra i conferenzieri e testimoni
a favore abbiamo avuto alcuni
dei piu' noti studiosi italiani su questi temi
(come Gianni Mattioli,
Massimo Scalia, Enzo Tiezzi, Giorgio Cortellessa,
Giorgio Nebbia, ecc.). Gli
imputati avevano, inoltre, scritto una lettera
aperta ai giudici nella
quale ammettevano la loro colpa ma sostenevano
che il blocco era stato fatto
per evitare dei danni alla salute della popolazione
di quell'area, ed
avevano raccolto su questo aspetto una notevole
documentazione che veniva
messa a disposizione sia della stampa che dei
giudici. Ed gli avvocati
difensori, coordinati da Enzo Enriquez Agnoletti,
che era stato vicesindaco
di Firenze ai tempi di La Pira, e che era vicepresidente
del Senato,
sostennero che avevamo agito in ottemperanza all'articolo
della nostra
Costituzione che dichiara la protezione della
salute come diritto
fondamentale di ogni cittadino italiano. La stampa
locale dette molto
risalto a queste nostre tesi, ed a poco a poco,
man mano che ci si
avvicinava alla seduta finale del processo, l'appoggio
da parte della
popolazione alle nostre posizioni crebbe notevolmente.
Tanto che il giorno
del processo finale gli studenti di molte delle
scuole superiori di
Grosseto, il luogo dove si svolgeva il processo,
non andarono a scuola per
venire ad assistere all'udienza. E la sentenza
fu molto coraggiosa, fummo
assolti .per aver agito in "stato di necessita'
putativa". E cioe' perche'
credevamo che non ci fossero altri mezzi per salvare
la popolazione da quel
possibile rischio. La sentenza era cosi' innovativa
che la sera stessa, al
Giornale Radio 1, ne dettero notizia dicendo che
era la prima volta che
veniva utilizzata la motivazione di "stato
di necessita'" per la difesa di
un diritto pubblico, come la salute, e non per
la difesa di interessi
personali, o di beni privati (come quando, per
difendersi da un ladro, il
padrone lo colpisce e ferisce). Ma in modo molto
strano, per la giustizia
italiana, in cui di solito tra il processo di
primo grado e quello di
secondo, passano vari anni, dopo nemmeno sei mesi
c'e' stato l'appello a
Firenze, in cui i giudici non hanno voluto ascoltare
nessun testimone di
difesa ed e' stata rivista la sentenza condannandoci
a sei mesi per
manifestazione non autorizzata. Sentenza poi confermata
qualche anno dopo
dalla Cassazione a Roma. La motivazione della
condanna era stata che avremmo
dovuto ricorrere a mezzi legali, come il referendum,
per opporci alla
costruzione della centrale. Ma una smentita a
questa motivazione c'e' stata,
nemmeno sei mesi dopo questa sentenza, quando
la richiesta di referendum,
gia' presentata da molte organizzazioni ambientaliste,
era stata bocciata
perche' ritenuta non accettabile. C'e' voluto,
qualche anno dopo, il
disastro di Cernobyl, con la caduta di particelle
dell'incendio ivi
divampato anche nel nostro paese ed il divieto,
per molti mesi, di mangiare
le verdure e l'insalata, o bere il latte delle
nostre mucche, perche' la
situazione cambiasse e venisse approvata la nuova
richiesta di referendum,
poi, com'e' noto, vinto dagli antinucleari, con
l'affossamento definitivo
del progetto della seconda centrale a Capalbio,
e la riconversione di
quella gia' costruita a Montalto. In questo caso
la lotta nonviolenta, anche
se non ha portato direttamente a risultati positivi
alla fine della stessa,
ha sicuramente influito in modo non indifferente
sulla vittoria finale del
referendum.
3. 4. Il quarto esempio sono le lotte di Comiso
contro la riconversione di
quel vecchio aereoporto dismesso in una base per
il lancio di missili
nucleari Cruise. Questi sono missili detti "di
primo colpo"; sono infatti
missili molto precisi, e non facilmente individuabili,
perche' volano basso
fuori dell'orbita dei radar, ma sono molto lenti,
percio' sono utilizzabili
solo in caso di guerra preventiva, prima che quelli
del nemico siano stati
gia' lanciati. Per questa ragione sono considerate
armi di attacco e non di
difesa. Infatti, nei vari processi che si sono
tenuti contro i manifestanti
che si opponevano al loro impianto, gli avvocati
hanno fatto riferimento
all'articolo 11 della nostra Costituzione che
vieta la guerra di attacco,
e riconosce solo quella di difesa. In realta'
l'aeroporto e' stato
convertito in una base di missili, ma dopo alcuni
anni si e' arrivati al
trattato Salt, tra Russia e Stati Uniti, che vietava
i missili a lunga
gittata, come quelli Cruise, e la base e' stato
destituita come tale ed e'
servita per usi civili (come, ad esempio, per
ospitare un certo numero di
profughi dal Kossovo). E' attualmente allo studio
il suo ripristino ad
aeroporto, ma per usi civili, e non militari.
Il collegamento tra le nostre
lotte ed il trattato Salt puo' essere considerato
piu' tenue. Ma le nostre
lotte non sono state le sole: in Inghilterra,
in Olanda, in USA, ci sono
state lotte altrettanto strenue, e qualche volta
anche di piu', contro basi
simili. Una domanda che mi sono posto spesso e'
questa: "Siamo proprio
sicuri che il fatto che in Occidente ci fossero
queste lotte contro gli
impianti di missili di questo tipo, di attacco,
non abbiano avuto alcuna
influenza sulla proposta di "Disarmo nucleare
unilaterale" fatta da
Gorbaciov (che sapeva di avere dalla sua almeno
una parte della popolazione
dell'Occidente) e non abbiano influenzato anche
l'accettazione della
proposta fatta dal presidente degli Stati Uniti,
Ronald Reagan?". Io non ne
sono affatto sicuro, per questo credo che queste
lotte nonviolente siano
state un successo.
*
4. Ma credo sia importante riferire anche di analisi
storico-comparative
fatte dal mio seminario di "Ricerca per la
Pace" presso l'Universita' di
Firenze. Queste avevano l'obiettivo di verificare
l'efficacia comparativa di
lotte nonviolente e di lotte armate ai fini del
mutamento sociale. I casi
analizzati sono stati quattro:
4. 1. Le lotte tra Israele e Palestina, confrontando
i risultati del periodo
precedente alla prima Intifada, durante il quale
la strategia prevalente era
quella di azioni violente, normalmente definite
"terroristiche" perché
spesso non dirette contro i militari ma anche
contro i civili, e quelle
della prima Intifada, che aveva usato la noncollaborazione,
l'obiezione di
coscienza, il rifiuto di pagare le tasse, ed anche
il lancio di pietre da
parte di bambini, che, confrontate all'uso di
carri armati e di mitra da
parte dei soldati israeliani, sono state definite
(Sharp) "a bassa
intensita' di violenza";
4. 2. La lotta contro Marcos nelle Filippine,
anche qui confrontando le
azioni terroristiche precedenti, con quelle nonviolente
portate avanti dalla
popolazione civile guidata da Cory Aquino;
4. 3. Le lotte studentesche di Piazza Tien an
Men, a Pechino. Il confronto
in questo caso era tra la lotta nonviolenta degli
studenti cinesi, e la
risposta armata data dal governo;
4. 4. Il confronto tra i risultati ottenuti dalle
lotte armate delle
"Brigate Rosse" e "Prima Linea",
con quelle nonviolente, in particolare
della Campagna per l'obiezione di coscienza alle
spese militari.
Le ipotesi che la ricerca ha potuto confermare
(esposte qui in modo molto
sintetico) attraverso una analisi approfondita
dei casi succitati, sono
state quelle che la lotta nonviolenta tende a
spaccare l'avversario tra una
parte che appoggia quelli che lottano con la nonviolenza,
e quelli invece
che li contrastano comunque, senza tener conto
della forma della lotta.
Invece la lotta violenta ha l'effetto opposto,
tende ad integrare l'
avversario in un fronte unito contro quelli che
usano questa strategia
armata. Inoltre la lotta nonviolenta tende a trovare
alleati anche nei paesi
terzi, che possono svolgere un ruolo di mediatori,
mentre quella armata
tende a distaccarli ed allontanarli. Per questo
la conclusione della
ricerca, che e' durata un anno, e' stata quella
che la lotta nonviolenta, in
questi casi, e' stata piu' efficace nel provocare
mutamenti sociali di
quella armata.
*
5. Una quinta considerazione riguarda invece il
cambiamento all'interno
della politica del nostro paese, attraverso un
confronto tra il voto e le
lotte nonviolente. Se si pensa al voto come strumento
di cambiamento c'e' da
essere abbastanza delusi. Piu' le sinistre si
sono avvicinate al potere,
piu' queste hanno portato avanti politiche che
prima venivano definite di
destra. Ad esempio con l'impianto dei missili
Cruise a Comiso, fatto durante
il primo governo Craxi, oppure con la guerra jugoslava,
fatta dal Governo
D'Alema. In complesso hanno portato avanti una
politica di privatizzazione e
di supremazia del mercato, abbandonando quasi
del tutto i principi e le
idee della programmazione, non solo quella di
Dolci, dal basso, partecipata,
ma anche quella piu' tradizionale, centralizzata.
Le lotte nonviolente, con
i tanti processi (spesso vinti), hanno portato
a vittorie che si possono
definire storiche, come l'equiparazione, nel tempo
della durata, tra il
servizio militare e quello civile, o come la sentenza
della Corte
Costituzionale (n. 165, del 24/5/1985) che ha
dichiarato che la difesa della
Patria puo' essere fatta anche senza l'uso delle
armi, oppure, con la legge
n. 230 del 1998, con il riconoscimento che l'obiettore
di coscienza puo'
essere utilizzato in "forme di ricerca e
di sperimentazione di difesa civile
non armata e nonviolenta" (art. 8, comma
2, lettera e), oppure che puo'
prendere parte a missioni non armate all'estero.
Tutto questo ha fatto si'
che il nostro paese sia uno dei paesi d'Europa
piu' avanti nel
riconoscimento istituzionale dei "Corpi Civili
di Pace" che possano operare
nonviolentemente per la prevenzione, il superamento
dei conflitti armati, e
la riconciliazione dopo la guerra.
*
6. La sesta considerazione riguarda un certo numero
di indicazioni
metodologiche che possiamo derivare dalle esperienze
italiane di lotte
nonviolente fatte finora, se si vogliono portare
vanti lotte nonviolente
vincenti:
I. l'importanza della raccolta di documentazione
alternativa, prima e
durante la lotta (si pensi al ruolo di queste
nel processo di Grosseto);
II. a questo collegata c'e' l'importanza del lavoro
di informazione e di
controinformazione;
III. l'importanza del lavoro di formazione, indispensabile
se si vogliono
portare avanti lotte nonviolente che possono comportare
situazioni di
rischio ed eventuali processi;
IV. l'importanza di un equilibrio tra quantita'
e qualita'. Spesso si cerca
di essere in tanti senza preoccuparsi della qualita'
della partecipazione.
In molti casi e' meglio essere in meno ma avere
persone ben preparate, che
accettino le eventuali condanne di un processo,
e che riescano a portare
avanti manifestazioni creative ed innovative,
e non le solite manifestazioni
di massa si', ma spesso banali;
V. questo porta all'indicazione successiva, e
cioe' dell'importanza
dell'allargamento del consenso a gruppi esterni,
allargamento che spesso e'
strettamente collegato al fatto di riuscire a
colpire la loro immaginazione
con metodi di lotta diversi da quelli utilizzati
normalmente, spesso
accettando i rischi della propria azione sulla
propria pelle;
VI. da questo punto di vista e' fondamentale il
ruolo della stampa e dei
media. Purtroppo attualmente la stampa sembra
piu' interessata a parlare di
morti, guerre, conflitti armati, che di pace e
di nonviolenza. Ma la
formazione di giornalisti nonviolenti e' sicuramente
un obiettivo importante
da perseguire;
VII. ma per avere dei cambiamenti reali e' importante
saper organizzare
bene, e portarle avanti, azioni dirette nonviolente,
forme di obiezione di
coscienza (al militare, alle tasse militari, alla
costruzione di armi,
ecc.), forme di noncollaborazione alle ingiustizie,
e disobbedienza civile
di fronte a governi che portino avanti politiche
ingiuste, o minaccino la
democrazia;
VIII. ma come accennato prima, per resistenza
alle ingiustizie si deve
lavorare anche ad un progetto costruttivo. In
caso contrario, come successo
in molti paesi dell'Est, e nelle stesse Filippine,
i successi delle lotte
non violente ( o a-violente) rischiano di svuotarsi
trasformando le
precedenti dittature comuniste o fasciste, in
una dittatura di un mercato
controllato inoltre dalla mafia;
IX. ma un ulteriore insegnamento è quello
di non illudersi. Ci sono
fortissime resistenze al cambiamento anche se
nonviolento (si pensi
all'importanza, nelle economie nazionali, della
costruzione e della vendita
delle armi);
X. una ulteriore indicazione e' quella di saper
cogliere le condizioni
esterne facilitanti (come ad esempio il disastro
di Cernobyl che ha fatto
cambiare idea a molte di quelle persone che si
lasciavano abbindolare
facilmente dalla propaganda che insisteva sulla
non rischiosita' del
nucleare civile);
XI, la penultima indicazione e' quella di saper
istituire dei validi
collegamenti internazionali che possano contrapporsi
alla globalizzazione
dei mercati, nell'interesse dei G8 o di poche
industrie multinazionali, con
una globalizzazione dal basso, nell'interesse
di un "mondo diverso",
pacifico e solidale;
XII. l'ultima indicazione e' quella dell'importanza
di una strategia dal
doppio binario, all'interno delle istituzioni,
ma senza lasciarsi bloccare
dalle "regole del gioco" interne ma
cercando di innovarle, ma anche al loro
esterno, perche' senza una pressione dal basso,
esterna alle istituzioni
come quelle che hanno portato la Regione Toscana
(vedi lotte di Capalbio) a
passare dal primo posto nella scelta del nucleare
civile, all'ultimo posto
tra le regioni disposte ad accettarlo, e' molto
difficile cambiare realmente
qualche cosa.
*
7. Ma l'ultima considerazione riprende un commento
di Galtung, uno dei piu'
profondi studiosi delle lotte nonviolente. Galtung
sostiene che non si puo'
sapere se la lotta nonviolenta funziona sempre,
ed in tutte le circostanze,
che la sua efficacia e' incerta, e che dipende
molto da come queste lotte
vengono portate avanti. Ma che quello che invece
e' sicuro e' che la
violenza e' fallita perche' invece di eliminare
l'altra violenza la porta ad
accrescersi ed aumentare in forma spirale, aumentando
sempre piu' l'odio tra
i gruppi e le guerre.
3. RIFLESSIONE. LUCIANO DOTTARELLI:
ABITARE UN MONDO COMUNE. KANT E LA
CRITICA DELL'ESALTAZIONE FANATICA
[Ringraziamo Luciano Dottarelli (per contatti:
ldottarelli@libero.it) per
averci messo a disposizione questo testo ricavato
da alcune pagine della sua
introduzione all'edizione da lui curata di Immanuel
Kant, Saggio sulle
malattie della mente, Massari Editore, Bolsena
(Vt) 2001. Luciano Dottarelli
e' docente e saggista, gia' apprezzato sindaco
di Bolsena, attualmente
capogruppo al Consiglio Provinciale di Viterbo;
di solidi studi filosofici,
con una vasta esperienza amministrativa, e' una
delle figure di riferimento
della vita civile nell'alto Lazio. Opere di Luciano
Dottarelli: Popper e il
gioco della scienza, Erre Emme, Roma 1992; Kant
e la metafisica come
scienza, Ere Emme, Roma 1995]
La critica dell'esaltazione fanatica [Schwaermerei]
sviluppata nel Saggio
sulle malattie della mente costituisce un solido
punto di riferimento nello
sviluppo del pensiero di Kant, una delle cifre
piu' autentiche e peculiari
di tutta la sua riflessione filosofica.
La presenza di questo topos polemico nel Saggio
richiede un particolare
apprezzamento, soprattutto se si considera che
essa si accompagna ad una
considerazione piuttosto benevola, rispetto ad
altri contesti, nei confronti
dell'entusiasmo [Enthusiasmus], senza il quale
"non si e' mai fatto nulla
di grande nel mondo".
Nel singolare trattatello di psichiatria, il fanatico
e' definito come "un
allucinato con una presunta ispirazione immediata
e una grande confidenza
con le potenze celesti. La natura umana non conosce
nessuna illusione piu'
pericolosa di questa". L'allucinazione deriva
da un disordine nella facolta'
cognitiva sensibile, da uno scambio e una sovrapposizione
tra i dati della
sensibilita' in senso stretto ("conoscenze
provenienti dall'impressione
dell'oggetto su di noi") e quelli dell'immaginazione
("conoscenze sensibili
che scaturiscono dalla spontaneita' dell'animo").
La definizione di questo tipo di folle come "uno
che sogna durante la
veglia" richiama, con effetto immediato,
la polemica piu' direttamente
rivolta contro Swedenborg e - attraverso di lui
- contro i metafisici che,
in quanto "sognatori della ragione",
vengono assimilati al visionario
mistico svedese. Il terzo capitolo dei Sogni di
un visionario - brillante
ai limiti dell'impudenza e della provocazione
- e' in effetti una
sostanziale ripresa (anche letterale) ed un approfondimento
di vari temi del
Saggio, di cui vengono svolti anche i tenui spunti
epistemologici.
Richiamandosi al frammento di Eraclito (che egli
attribuisce erroneamente
ad Aristotele) secondo cui "quando siamo
svegli abbiamo un mondo comune, ma
quando sognamo, ciascuno ha il proprio",
Kant aggredisce "quei fabbricanti
di castelli in aria, ciascuno dei quali costruisce
a se' un mondo del
proprio pensiero e lo abita tranquillamente escludendone
gli altri - quelli
per esempio che abitano l'ordine delle cose come
lo ha fabbricato Wolff con
poco materiale empirico, ma con abbondanza di
concetti surrettizi o quelli
che abitano i mondi tratti dal niente da Crusius
grazie al potere magico di
qualche sentenza sul pensabile e l'impensabile".
Egli - che si era preoccupato di sottrarre la
malattia mentale allo stigma
della colpa e della condanna morale - sembra invece
cercare la rissa con i
visionari metafisici, burlandosi di loro e non
disapprovando l'atteggiamento
di scherno di chi, tagliando corto, li ritiene
"senz'altro e per davvero
candidati al manicomio", da curare mediante
la somministrazione di purganti.
Ma, per quanto mostri di indulgere in questo divertissement,
Kant - che
proprio nei Sogni confessa di aver avuto in sorte
di essere "innamorato
della metafisica" - sa bene che simili argomenti
critici somigliano, per
dirla con un'immagine di Popper, al tentativo
di "uccidere la metafisica
lanciandole improperi" e che c'e' bisogno
di una filosofia buona per
scacciare quella cattiva, se non si vuole che
la sana, sobria ragione passi
per "sciocca semplicita'".
Egli e' consapevole di non potersi dispensare
da una seria critica
epistemologica della metafisica. Ed e' proprio
in questa critica che in
realta' risiede il nocciolo teoretico dei Sogni,
cio' che fa
dell'impertinente pamphlet una tappa decisiva
nello sviluppo della filosofia
kantiana.
Al di la' dell'affinita' della loro origine (aspetto
che lo diverte ma che
resta comunque argomento di ricerca psicologica),
cio' che accomuna le
illusioni dei metafisici alle visioni dei folli
allucinati e' il medesimo
sottrarsi alla possibilita' di un controllo intersoggettivo
sulla base
dell'esperienza.
C'e' un passo in cui Kant, contro il "commercio
con gli spiriti" di
Swedenborg, accenna a un'argomentazione epistemologica
dal sapore quasi
popperiano: "Si puo' dunque ammettere la
possibilita' di esseri immateriali
senza timore di essere confutati, ma anche senza
speranza di poter
dimostrare questa possibilita' per via di principi
razionali".
L'inconfutabilita' delle affermazioni dei metafisici
non e' il suggello
della loro forza ma semmai il sintomo che tradisce
una condizione di
debolezza. Essi hanno reciso il legame con l'"umile
terreno dell'esperienza"
e mentre pensano di poter "fendere le alte
nubi che velano ai nostri occhi i
segreti dell'altro mondo" in realta' si librano
nel vuoto.
"Ma quale follia non potrebbe venir messa
in armonia con una filosofia
fondata sul vuoto?": l'affinita' piu' significativa,
quella che ormai
interessa il Magister che si sta avviando verso
la maturazione del punto di
vista critico, e' dunque di rilevanza epistemologica,
riguarda lo status
proprio delle asserzioni metafisiche. Egli non
esclude la pensabilita' degli
oggetti tradizionali della metafisica (la liberta',
la sopravvivenza
dell'anima dopo la morte, etc.), ne' il loro rispondere
ad un bisogno
profondo dell'animo umano. "Confesso - scrive
- che io sono molto portato ad
ammettere l'esistenza di nature immateriali nel
mondo ed a porre la mia
stessa anima nella classe di questi esseri".
La questione e' un'altra: "la natura spirituale,
che non si conosce ma si
suppone, non potra' mai essere pensata positivamente
perche' non si possono
avere dati in proposito nel complesso delle nostre
sensazioni". La linea di
demarcazione tra la conoscenza scientifica della
realta' e le invenzioni
della metafisica viene stabilita mediante la possibilita'
di far ricorso
all'esperienza: "si puo' accordare soltanto
all'esperienza il diritto di
decidere".
Ma cosa si intende qui per esperienza? Perche'
gli "audita et visa" di
Swedenborg ("quello che i suoi propri occhi
hanno visto e le sue orecchie
sentito") non possono valere come dimostrazione
dell'esistenza degli
spiriti?
Il vizio delle "pseudo-esperienze" del
mistico svedese risiede nel fatto che
esse restano esperienze "private", non
hanno validita' intersoggettiva,
perche' "non possono essere sottomesse ad
alcuna legge del sentire comune
alla maggior parte degli uomini".
Lo spunto polemico del Saggio contro i fanatici
esaltati ("la natura umana
non conosce nessuna illusione che sia piu' pericolosa
di questa"),
sviluppato in prospettiva epistemologica, si avvia
a diventare il fondamento
di una critica di ispirazione "democratica"
ed "universalistica" contro i
presunti depositari di una verita' superiore,
inaccessibile al comune
intelletto.
Sara' il tema sviluppato con passione nell'articolo
D'un tono da signori di
recente levato in filosofia (1796) in cui Kant
polemizza contro il tipo del
"filosofo per inspirationem" che, sulla
base di una presunta illuminazione
privilegiata, "si eleva al di sopra dei colleghi
e ne viola l'inalienabile
diritto alla liberta' e parita' nelle cose della
ragion pura" sentendosi
autorizzato a "parlare con il tono di un
signore, che e' dispensato dal
fastidio di produrre il documento di cio' che
possiede (beati possidentes)".
Nella sua difesa di un'idea opposta - sobria e
addirittura "prosaica" -
della filosofia, intesa come fatica e assiduo
lavoro della ragione nel
produrre argomentazioni e prove che possano essere
comunicate a tutti, Kant
assume come modello soprattutto Aristotele; ma
l'ispirazione ugualitaria che
sottende la polemica rivela ancora una volta l'incidenza
profonda e
duratura della lezione morale e politica di Rousseau.
C'e' un passo delle Annotazioni alle Osservazioni
sul sentimento del bello e
del sublime in cui egli riconosce apertamente
questo debito: "Io sono per
inclinazione un ricercatore; sento la sete di
conoscere tutta intera, il
desiderio costante di estendere le mie conoscenze
e la soddisfazione di ogni
progresso compiuto. Ci fu un tempo in cui credevo
che tutto cio' potesse
costituire l'onore dell'umanita' e disprezzavo
il popolo che e' ignorante di
tutto. E' Rousseau che mi ha tratto d'inganno.
Questa illusoria superiorita'
svanisce, imparo ad onorare gli uomini e mi riterrei
piu' inutile del
lavoratore piu' comune se non credessi che questa
considerazione puo' dare a
tutte le altre un valore che consiste nel far
emergere i diritti
dell'umanita'".
La stessa pacata e sobria umanita' emerge da una
pagina dei Sogni, forse la
piu' bella dell'impertinente libretto, un momento
di tregua e di confessione
personale nel fuoco dell'appassionata polemica:
"Io ho purificato la mia
anima dai pregiudizi, ho estirpato ogni cieca
predilezione che si fosse
insinuata in me, per dare adito ad un qualche
sapere illusorio. Ora non vi
e' per me niente di interessante, niente di rispettabile
se non cio' che
prende posto per la via della rettitudine in uno
spirito calmo ed aperto a
tutte le ragioni; sia che questo confermi o distrugga
il mio giudizio
anteriore, sia che mi conduca ad una decisione
o mi lasci nel dubbio.
Dovunque io trovi qualcosa che mi istruisca, lo
prendo. Il giudizio di
chiunque confuti le mie ragioni e' il mio giudizio,
appena io lo abbia
pesato prima di fronte al piatto dell'amor proprio
e poi nello stesso di
fronte ai miei presunti principi e vi abbia trovato
maggior valore. In
passato io consideravo l'intelletto umano generale
soltanto dal punto di
vista del mio; ora mi metto al posto di una ragione
estranea e contraria ed
osservo dal punto di vista degli altri i miei
giudizi con tutte le loro
motivazioni piu' segrete. Il confronto delle due
osservazioni mi da' invero
delle forti parallassi, ma e' anche l'unico mezzo
per prevenire l'illusione
ottica e mettere i concetti in quel vero posto
in cui stanno in rapporto
alla potenza conoscitiva della natura umana".
Il "sano intelletto" del Saggio sulle
malattie della mente si e' andato
ormai precisando come un "intelletto comunitario"
che si costituisce in uno
spazio di discussione "pubblica", in
un confronto pluralistico con quello
degli altri uomini.
Non si coglierebbe l'autentico significato dell'illuminismo
di Kant (e la
ragione piu' profonda della ricomprensione in
esso di Rousseau) se si
ponesse attenzione soltanto al motivo del "Sapere
aude!". Quello che nella
Risposta alla domanda: che cos'e' l'illuminismo
(1784) ne viene considerato
il motto fondamentale ("Abbi il coraggio
di servirti della tua propria
intelligenza") e' in realta' solo la prima
delle tre massime che devono fare
da guida al "semplice sano intelletto".
Esse, nel loro insieme, sono
formulate in questi termini: "1) pensare
da se stesso; 2) mettersi col
pensiero al posto di ogni altro (nella comunicazione
con gli uomini); 3)
pensare sempre in accordo con se stesso".
La seconda massima, che Kant chiama "principio
del pensiero liberale", e' il
vero perno su cui si appoggia la sua difesa dei
punti fondamentali del
programma politico dell'illuminismo. Se vogliamo
davvero progredire nella
conoscenza - argomenta Kant - non possiamo fare
a meno della pietra di
paragone costituita dal confronto pubblico con
gli altri; "in cio' sta forse
la ragione piu' importante della lotta che le
persone colte conducono con
tanta energia a favore della liberta' di stampa;
quando tale liberta' e'
negata, viene a mancare un mezzo importante di
prova dell'esattezza del
nostro giudizio e restiamo abbandonati all'errore".
Con ancora maggiore
efficacia in Che cosa significa orientarsi nel
pensiero (1786) aveva
scritto: "Ma quanto, e quanto correttamente
penseremmo, se non pensassimo
per cosi' dire in comune con altri a cui comunichiamo
i nostri pensieri, e
che ci comunicano i loro? Quindi si puo' ben dire
che quel potere esterno
che strappa agli uomini la liberta' di comunicare
pubblicamente i loro
pensieri, li priva anche della liberta' di pensare,
cioe' dell'unico tesoro
rimastoci in mezzo a tutte le imposizioni sociali,
il solo che ancora puo'
consentirci di trovare rimedio ai mali di questa
condizione".
Nel rifiuto dell'"egoismo logico" (come
aspetto particolare della piu'
generale attitudine a mettere sempre e dovunque
in primo piano "il nostro
caro io") e nel riconoscimento della necessita'
del confronto del nostro
intelletto con quello degli altri sulla base di
una misura comune si
compendia la vera motivazione teoretica del suo
non potersi non dire
illuminista.
La cifra piu' autentica del filosofare di Kant,
cio' che ne fa ancora oggi
un punto di riferimento obbligato nella costruzione
di una antropologia e di
un'etica all'altezza dei problemi posti dalla
multiculturalita', va
individuata precisamente nella ricerca di questa
misura comune, nell'impegno
instancabile a fondare la possibilita' di "abitare
un mondo comune", di
"aprire gli occhi ad uno sguardo che non
escluda l'accordo con altri
intelletti umani".
4. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI RICORDA
BENEDETTO CALATI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it)
per
averci messo a disposizione questo suo ricordo
di Benedetto Calati apparso
sul bel mensile torinese "il foglio"
nel n. 276 del dicembre 2000,
all'indomani della morte del grande monaco di
Camaldoli. Enrico Peyretti e'
una delle piu' prestigiose figure della cultura
della pace; tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere",
Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte
1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra,
Beppe Grande, Torino 1999;
e' diffusa attraverso la rete telematica la sua
fondamentale ricerca Difesa
senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente
(riprodotta anche nel n. 390 del nostro notiziario).
Benedetto Calati,
monaco, uomo di testimonianza e di pensiero, e'
nato a Pulsano (Taranto) nel
1914 ed e' scomparso a Camaldoli (Arezzo) nel
2000. Opere di Benedetto
Calati: Sapienza monastica (Saggi di storia, spiritualita'
e problemi
monastici), a cura di Alessandra Cislaghi e Giordano
Remondi, Studia
Anselmiana, Roma 1994; Esperienza di Dio, liberta'
spirituale (Introduzione
alla Regola di san Benedetto); appendice: Il mio
sonno o le mie veglie,
Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2001; Conoscere
il cuore di Dio (Omelie
per l'anno liturgico), Edizioni Dehoniane, Bologna
2001; Il primato
dell'amore (Diciotto anni a servizio dei fratelli);
appendice: Benedetto
Calati in dialogo con Thomas Merton, Ed. Camaldoli,
Camaldoli (Arezzo) 2001.
Un libro intervista e': Raffaele Luise, La visione
di un monaco (Il futuro
della fede e della chiesa nel colloquio con Benedetto
Calati), Cittadella,
Assisi 2000; su rivista: Intervista di Alessandra
Cislaghi, E' di nuovo
tempo di esilio e di profeti, "Jesus",
gennaio 1994. Scritti su Benedetto
Calati: Rossana Rossanda, Un monaco senza indulgenze,
"il manifesto", 26
novembre 2000; Raniero La Valle, Benedetto Calati,
la solitudine del monaco,
"Esodo" n. 4, ottobre-dicembre 2001;
Angelo Bertani, Lo sguardo della
profezia, "Jesus", gennaio 2001; Maria
Cristina Bartolomei, Dom Benedetto
Calati. In memoria, in "Appunti di teologia",
Venezia, anno XIV, n. 1,
gennaio-marzo 2001; Enrico Peyretti, Benedetto
Calati, monaco, "il foglio"
n. 276, dicembre 2000; "Koinonia", n.
1, gennaio 2001; Giordano Remondi (a
cura di), Nello stesso spirito (scritti di Guido
Innocenzo Gargano, Lorenzo
Saraceno, Pier Cesare Bori, Emanuele Bargellini,
Giordano Remondi, Raniero
La Valle), ed. Camaldoli, Camaldoli (Arezzo) 2001
(il contenuto del libro
corrisponde a quello del fascicolo della rivista
"Vita Monastica", anno LV,
n. 218, luglio-settembre 2001); El P. Benedetto
Calati, Un monjo benedicti'
italia' fidel al Concili Vatica' II, "Questions
de vida cristiana",
Publicacions de l'Abadia de Montserrat, 199-200,
Desembre 2000; Luigi
Francesco Ruffato, Benedetto Calati, il profeta
di Camaldoli, "Messaggero di
sant'Antonio", n. 4/2002]
Il 21 novembre, alla notizia della sua morte,
che da qualche giorno sapevamo
di dover attendere, apro la raccolta dei suoi
principali scritti, Sapienza
monastica (Studia Anselmiana, Roma 1994), e da
una delle prime pagine mi
viene incontro la sua immagine della maturita':
un volto felice, che regala
serenita', e ti guarda negli occhi, con intelligente
bonta'.
Era veramente cosi'. Glielo dissi quando festeggiammo
i suoi ottant'anni, a
Camaldoli, nell'ottobre del '94: sei un uomo felice,
e scaldi il cuore.
Aveva pur avuto da soffrire, e soffriva di molte
cose della chiesa, ma era
felice. Accoglieva gli amici con vera festa ed
abbracci.
Chi conosce il lavoro di padre Calati vi riconosce
uno dei migliori e piu'
profondi contributi al rinnovamento evangelico
conciliare, attinto alla piu'
solida tradizione originaria, e alla spiritualita'
piu' pura, al di la'
della secolare decadenza del Vangelo caratterizzata
dalla potenza
ecclesiastica. L'arcivescovo Pellegrino andava
da lui e da lui accoglieva
ispirazioni esemplari, nel comune riferimento
all'eta' dei Padri.
Nell'ultima decina d'anni, un gruppo di amici
suoi di varia provenienza e
attivita', si ritrovava con lui, a Camaldoli,
una o due volte l'anno. Era
una di quella gioie rare e profonde, che la vita
amministra con parsimonia.
Le ultime volte, ripresosi da una prima malattia,
ci diceva solo poche
parole, seguendo la nostra conversazione, o entrandovi
d'impeto. Poche
parole sempre essenziali, succo di vangelo. Ricordo
ora per prime alcune sue
parole di congedo: "Ottimismo, ottimismo,
ricordatevi l'ottimismo". Diceva
ottimismo, per dire intelligenza evangelica, come
la sua.
Altri diranno dei suoi contributi di studio sulla
storia e la spiritualita'
monastica, specialmente sul "suo" Gregorio
Magno e su cio' che quel grande
dice anche oggi alla chiesa e all'umanita'. Io
ricordo dom Benedetto, fino
dalle settimane teologiche della Fuci a Camaldoli,
attorno al '60, e a Roma,
a san Gregorio, negli anni del Concilio: parlare
con lui, ascoltarlo, era
bere acqua di monte, fresca e sana. Vivace come
un fringuello, anche da
vecchio, franco ed aperto nell'esprimersi, era
l'opposto del monaco chiuso
sotto cappucci e dentro mura, ma ti portava frutti
maturati in silenziosi
chiostri interiori. Erano frutti di liberta' evangelica.
Raffaele Luise ha appena raccolto per la Cittadella
una sua lunga
intervista, suo testamento spirituale, La visione
di un monaco, su cui
bisognera' ritornare.
I suoi fratelli monaci ci hanno detto che, alla
fine, diceva ogni tanto:
"Andiamo in pace". Cosi' e' andato.
Un'alta e profonda pace, che egli ora
trasmette a chi gli ha voluto bene.
5. RESISTENZA. E' SCOMPARSA MARISA
MUSU
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5
novembre 2002 riprendiamo questa
notizia. Ci uniamo al cordoglio]
Domenica Marisa Musu ci ha lasciati. Aveva 77
anni. Era nata a Roma il 18
aprile 1925 da una famiglia originaria di Sassari.
Giovanissima comincio' il
suo impegno antifascista. a 19 anni entro' nei
Gap, con il nome di battaglia
di "Rosa" nella formazione guidata da
Franco Calamandrei della quale
facevano parte tra gli altri Carla Capponi, Rosario
Bentivegna, Mario
Fiorentini e Lucia Ottobrini. Con loro partecipo'
il 23 marzo 1944,
all'azione di via Rasella. Medaglia d'argento
al valor militare, dirigente
del Pci ( e oggi orgogliosa militante di Rifondazione),
e' stata la prima
presidente del Coordinamento Genitori Democratici
e poi del Comitato tv e
minori Frt-Associazioni, l'associazione di categoria
delle imprese
radiotelevisive private e 19 associazioni di utenti,
insegnanti, genitori e
consumatori che redige il codice deontologico
per i minori.
Da sempre ha lavorato per difendere la democrazia
nella scuola. Giornalista,
prima a "Paese sera" e poi a "l'Unita'",
inviata a Praga nel '68, in
Vietnam, in Mozambico e in Palestina, ha raccontato
la sua vita e le sue
passioni in tre libri: La ragazza di via Orazio;
Roma ribelle. La Resistenza
nella capitale 1943-1944; e La prima Intifada.
Lettrice ammirata di Gianni Rodari, amava forse
piu' di ogni altra cosa i
bambini. Aiutare quelli di Palestina e' stata
la sua ultima battaglia.
6. MAESTRE. WANDA TOMMASI: LA CONCLUSIONE
DELLE TRE GHINEE DI VIRGINIA WOOLF
[Da Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre
Lune Edizioni, Mantova 2001,
pp. 226-227. Wanda Tommasi e' docente di storia
della filosofia
contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte
della comunita' filosofica
di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi:
La natura e la macchina. Hegel
sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979;
Maurice Blanchot: la
parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil:
segni, idoli e simboli,
Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza
religiosa, esperienza
femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e
le donne, Tre Lune, Mantova
2001. Virginia Woolf e' una delle piu' grandi
scrittrici del Novecento,
nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze
culturali ed editoriali
di grande rilievo, oltre alle sue opere letterarie
scrisse saggi di cui
alcuni fondamentali per una cultura della pace.
Mori' suicida nel 1941.
Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state
tradotte da vari editori,
un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi,
comprendenti La crociera,
Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora
Dalloway, Gita al faro,
Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro)
e' stata recentemente
pubblicata in una collana ultraeconomica dalla
Newton Compton di Roma. Tra i
saggi due sono particolarmente importanti per
una cultura della pace: Una
stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993;
Le tre ghinee, Feltrinelli,
Milano 1987. Opere su Virginia Woolf: Quentin
Bell, Virginia Woolf,
Garzanti, Milano 1974, 1994; Mirella Manconi Billi,
Virginia Woolf, La Nuova
Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia
Woolf, Dedalo, Bari 1980 (ma
molti altri testi sarebbero da citare)]
La terza ghinea, l'ultima, viene destinata all'associazione
pacifista che
aveva chiesto il contributo e l'adesione; ma con
la precisazione che "il
modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra
non e' di ripetere le
vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di
trovare nuove parole e
inventare nuovi metodi. Non e' di entrare nella
vostra associazione, ma di
rimanere fuori pur condividendone il fine".
Le donne, pur offrendo la loro
solidarieta', non possono iscriversi alle associazioni
degli uomini: viene
sottolineato il valore di una politica della differenza
femminile e la sua
estraneita' rispetto ai metodi proposti dagli
uomini.
Virginia Woolf parla di una Societa' delle Estranee,
nella quale e'
sintetizzato il significato della differenza femminile,
nel suo venire prima
di qualsiasi condivisione di fini e metodi di
impronta maschile: "La
Societa' delle Estranee persegue i vostri stessi
fini: la liberta',
l'uguaglianza, la pace; ma (...) cerca di raggiungerli
con i mezzi che un
sesso diverso, una tradizione diversa, un'educazione
diversa e i diversi
valori che derivano da tutte queste diversita'
hanno messo a nostra
disposizione". Le donne non useranno "leghe,
convegni, campagne, grossi
nomi", cioe' non faranno ricorso alle misure
che la ricchezza e il potere
politico mettono a disposizione degli uomini;
esse "faranno degli
esperimenti non con strumenti pubblici in pubblico,
ma con strumenti privati
in privato. E i nostri esperimenti non saranno
soltanto critici, ma
creativi".
Il libro si chiude con la questione dei diritti
delle donne; l'autrice
propone di andare oltre il femminismo in quanto
legato alla rivendicazione
dei diritti, per aprire, nella lotta al fascismo
e alla guerra, tutt'altra
prospettiva: quella di una critica, a partire
dalla differenza femminile,
della politica maschile, con le sue radici di
competizione, di violenza e di
narcisismo. Con Virginia Woolf, si chiude l'orizzonte
della rivendicazione
dei diritti delle donne, e si apre quello di una
lotta al pensiero maschile
nella sua pretesa di essere il pensiero unico
e universale: il pensiero
della differenza, ai suoi inizi, non poteva trovare
una formulazione piu'
netta e piu' risoluta.
7. POESIA E VERITA'. VIVIAN LAMARQUE:
LA LUNA DI QUALCUNO
[Questa poesia abbiamo tratto da Vivian Lamarque,
Poesie 1972-2002,
Mondadori, Milano 2002, p. 231. Vivian Lamarque
e' nata a Tesero (Trento)
nel 1946, ha scritto versi, fiabe, traduzioni,
ed ha molto insegnato e
ascoltato]
Oh essere anche noi la luna di
qualcuno!
Noi che guardiamo
essere guardati, luccicare
sembrare da lontano
la candida luna che non siamo.
8. RIVISTE. IN USCITA IL N. 41
DI "GIANO"
[Riceviamo e diffondiamo l'indice del n. 41 della
rivista "Giano" diretta da
Luigi Cortesi]
- Editoriale, L'ideologia texana, la guerra all'Iraq
e la distruzione della
politica;
- Claudio Del Bello, Il nuovo assolutismo americano
e la fine della
politica;
- Angelo Baracca, Il "mestiere delle armi"
e la prossima guerra all'Iraq;
- Fabio Alberti, Sull'incipiente ripresa irachena
si abbatte il maglio
americano;
- Nico Perrone, Democrazia e petrolio;
Vincenzo Strika, Israele-Palestina: gli scenari
possibili;
- Cronologia del conflitto arabo-israeliano, a
cura di Francesco Soverina;
- Antonietta Vurchio, Sionismo;
- Giorgio Nebbia, I mali dei poveri e i mali della
Terra;
- Giulietto Chiesa, Marcello Villari, Dopo Johannesburg:
l'umanita' a un
bivio;
- Luigi Cortesi, Endzeit e Zeitenende. Guerra
e rischio finale in eta'
atomica;
- Luigi Biondi, Il Brasile alla prova delle elezioni
presidenziali. La
sinistra e le sue chanches di governo;
- Patrizia Zanelli, Globalizzazione e unipolarismo
Usa nella prospettiva
araba;
- Mario Ronchi, "Fondamentalismo bianco"
e diritto alla cittadinanza;
- Fabio Gentile, Tra storia e politica. Una rassegna
critica;
- Roberto Esposito, Totalitarismo e totalitarismi;
- Andrea Panaccione, Totalitarismo e ricerca storica;
- Luigi Cortesi, Il monolito opaco e le fessure
critiche;
- Domenico Di Fiore, Epifanie imperiali postmoderne;
- Anna Sabatini Scalmati, Extracomunitari e rifugiati
politici: dramma
culturale e traumi psichici;
- nella sezione delle recensioni: Francesco Germinario,
Razza del sangue,
razza dello spirito. Julius Evola, l'antisemitismo
e il nazionalsocialismo
(M. Nani); Mario Colucci - Pierangelo Di Vittorio,
Franco Basaglia (N.
Comar);
- nella sezione delle segnalazioni note a cura
di Luigi Cortesi, Miriam
Lanciano, Enrico Maria Massucci, Comunardo Pacifici,
Luigi Parente, Michele
Paolini, Maria Antonietta Selvaggio, Silvio Silvestri.
"Giano. Pace ambiente problemi globali",
rivista quadrimestrale
interdisciplinare, via Fregene 10, 00183 Roma,
tel. e fax 0670491513,
e-mail: redazionegiano@libero.it, sito: www.odradek.it/giano
9. LETTURE. AA. VV.: ISLAM E OCCIDENTE
AA. VV., Islam e occidente, Laterza, Roma-Bari
2002, pp. VIII + 128, euro
9,50. Quattro intellettuali europei (Michel Camdessus,
Jean Daniel, Umberto
Eco, Andrea Riccardi) svolgono alcune "riflessioni
per la convivenza".
10. LETTURE. GIORGIO GALLI: LA
GUERRA GLOBALE
Giorgio Galli, La guerra globale, Laterza, Roma-Bari
2002, pp. VI + 122,
euro 9,50. Il noto docente di storia delle dottrine
politiche svolge in
questo agile libro "una riflessione originale
sul nostro presente e sulla
sua complessita'".
11. RILETTURE. ANNAMARIA NOVELLO,
TIZIANA NEGRI: DONNA IN NICARAGUA
Annamaria Novello, Tiziana Negri, Donna in Nicaragua,
Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1985, pp. 160. Una testimonianza dal Nicaragua
di due decenni fa, che
sarebbe opportuno far conoscere alla generazione
nuova.
12. RILETTURE. CLOTILDE PONTECORVO
(A CURA DI): LA CONDIVISIONE DELLA
CONOSCENZA
Clotilde Pontecorvo (a cura di), La condivisione
della conoscenza, La Nuova
Italia, Scadicci (Firenze) 1993, pp. VIII + 502,
lire 46.000. Una
riflessione a piu' voci particolarmente utile
per educatori ed operatori
sociali sui processi e il contesto sociale "come
fattore essenziale nello
sviluppo e nell'acquisizione di conoscenza, assumendo
che il soggetto,
bambino e adulto, e' sempre partecipante ad attivita'
condivise,
culturalmente mediate".
13. DOCUMENTI. LA "CARTA"
DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione
della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale,
a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato
di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa
via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale
senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il
bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento
nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e
le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo,
di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza,
alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto
di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso
per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere,
inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente
naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro,
e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza
dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento,
che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio
e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta'
di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta
sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo
sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza
civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento:
www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale
della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta
presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete
telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale
per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza:
www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario
e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 407 del 6 novembre 2002
|