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Giro98
Movimento forum sociale europeo
Riviste: LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO 408
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 408 del 7 novembre 2002
Sommario di questo numero:
1. Una proposta di legge d'iniziativa popolare:
Norme di attuazione del
ripudio della guerra sancito dall'articolo 11
della Costituzione
2. Presentazione di "Quaderni Satyagraha"
3. Agnes Heller, sui bisogni alienati
4. Ettore Masina ricorda Oscar Romero
5. Patrizia Violi, forse pero'
6. Margot Waddell, qualsiasi stereotipo
7. Meo Elia presenta "L'angelo della pace"
di Massimo Toschi
8. Tommaso Di Francesco presenta "I padroni
del mondo" di John Pilger
9. Riletture: AA. VV., Ruah
10. Riletture: Mary Hunt, Rosino Gibellini (a
cura di), La sfida del
femminismo alla teologia
11. Riletture: Ida Magli, Sulla dignita' della
donna
12. Riletture: Rosemary Ruether, Per una teologia
della liberazione della
donna, del corpo, della natura
13. "Marea": alcuni siti del movimento
delle donne
14. "Femmis": comprate e vendute
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'
1. AGENDA. UNA PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE: NORME DI ATTUAZIONE
DEL RIPUDIO DELLA GUERRA SANCITO DALL'ARTICOLO
11 DELLA COSTITUZIONE
[Siamo assai grati a Danilo Zolo (per contatti:
zolo@tsd.unifi.it) per
averci messo a disposizione il testo di questo
progetto di legge di
iniziativa popolare elaborato da lui assieme a
Luigi Ferrajoli e Domenico
Gallo, e che Emergency, l'organizzazione di Gino
Strada, fara' proprio per
una campagna nazionale per la raccolta di firme.
Luigi Ferrajoli, illuste
giurista, e' nato a Firenze nel 1940, magistrato
tra il 1967 e il 1975, dal
1970 e' docente universitario; tra i suoi lavori
piu' recenti segnaliamo
particolarmente la monumentale monografia Diritto
e ragione, Laterza,
Roma-Bari 1989, giunta alla terza edizione; il
saggio La sovranita' nel
mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; e La cultura
giuridica nell'Italia
del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999. Domenico
Gallo, illustre giurista,
e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto
saggista; tra i suoi
scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere
di obbedienza al diritto di
resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento,
Perugia 1985. Danilo Zolo,
illustre giurista, e' nato a Fiume (Rijeka) nel
1936, docente di filosofia e
sociologia del diritto all'Universita' di Firenze;
tra le sue opere
segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta'
borghesi, Laterza, Bari 1976;
Il principato democratico, Feltrinelli, Milano
1992; (a cura di), La
cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis,
Feltrinelli, Milano 1995;
Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000]
1. Un ricorso crescente alla guerra
A partire dalla fine degli anni ottanta del secolo
scorso, dopo la
conclusione della '"guerra fredda",
abbiamo assistito a un ricorso crescente
alla forza militare, quasi esclusivamente da parte
delle potenze
occidentali: l'occupazione di Panama per il controllo
del canale, la guerra
del Golfo, l'invasione di Haiti, gli interventi
militari in Somalia e in
Ruanda, le due guerre balcaniche della Bosnia
e del Kosovo, l'Afganistan.
Ora si sta progettando, per volonta' degli Stati
Uniti, un attacco militare
contro l'Iraq: un attacco che potra' avere conseguenze
incalcolabili in
termini di perdite di vite umane, di distruzioni
di strutture civili, di
devastazioni ambientali.
Nel corso di questi conflitti, anche a causa dell'uso
di armi di distruzione
di massa sempre piu' potenti e sofisticate, centinaia
di migliaia di persone
innocenti hanno perso la vita, sono state mutilate
o ferite, hanno visto
distrutti i loro affetti e i loro beni. Altre
centinaia di migliaia di
civili sono morti per fame o per malattie a causa
degli embarghi, primo fra
tutti quello contro l'Iraq. A questo flagello
vanno aggiunte la persecuzione
del popolo palestinese, le continue violenze contro
i ceceni, i curdi, i
tibetani e molto altri popoli emarginati ed oppressi,
e, infine, le
atrocita' del terrorismo internazionale. All'escalation
di odio, di dolore,
di distruzione e di morte ha corrisposto l'inerzia
o l'impotenza delle
istituzioni internazionali che dovrebbero operare
per la pace, anzitutto
delle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite sono ormai sottoposte a un permanente
ricatto da parte
delle massime potenze mondiali, che se ne servono
come di uno strumento di
legittimazione delle proprie strategie egemoniche.
Ma la Carta delle Nazioni
Unite non puo' essere usata, se non sulla base
di una conclamata violazione
dello spirito e della lettera delle sue norme,
per giustificare la guerra, e
tanto meno una "guerra preventiva" come
quella che Stati Uniti e Gran
Bretagna si apprestano a scatenare contro l'Iraq.
Questa Carta fu un patto
solenne con il quale fu messo al bando, come e'
scritto nel suo preambolo,
il ripetersi del "flagello della guerra",
che per due volte nel corso di
una stessa generazione aveva causato indicibili
sofferenze all'umanita'. In
essa fu definito, contro le minacce alla pace,
un complesso di misure, tra
le quali l'uso controllato della forza nelle forme
e alle condizioni
stabilite dal capitolo VII. Fu insomma progettato,
al fine di "conseguire
con mezzi pacifici la soluzione delle controversie
internazionali", il
monopolio della forza in capo al Consiglio
di Sicurezza, attraverso
l'istituzione - che pero' non e' stata mai attuata
- di organismi militari
permanenti alle sue dipendenze, chiamati a svolgere
di fatto funzioni di
polizia internazionale. Oggi quel patto e' stato
dimenticato.
In tutti i casi sopra citati le potenze occidentali
hanno infatti usato la
forza militare ignorando il diritto internazionale
e violando i diritti piu'
elementari delle persone. Il bombardamento della
televisione di Belgrado, la
strage di Mazar-i-Sharif, il lager di Guantanamo
sono esempi di un uso
criminale della forza internazionale che molto
probabilmente nessuna Corte
penale internazionale avra' mai il potere di sanzionare.
E dopo l'attentato
terroristico subito l'11 settembre, gli Stati
Uniti hanno elaborato una
teoria militare e inaugurato una pratica bellica
che presentano aspetti
eversivi non solo della Carta delle Nazioni Unite,
ma anche del diritto
internazionale generale: basta pensare al carattere
preventivo, unilaterale,
spazialmente indefinito e temporalmente indeterminato
della "nuova guerra"
dichiarata dal presidente Bush contro l'"asse
del male".
Il nostro paese, per volonta' sia di governi di
centro-sinistra sia di
governi di centrodestra, e' stato corresponsabile
di una larga parte di
questi gravissimi illeciti internazionali, partecipando
sistematicamente,
con le proprie strutture militari, le proprie
armi e le proprie basi, alle
aggressioni decise dalle potenze occidentali contro
Stati sovrani e contro i
loro popoli, per lo pio' deboli e poveri. Nel
farlo i nostri governi e i
nostri rappresentanti parlamentari - spesso votando
in complicita'
bipartisan - hanno apertamente violato la Costituzione
repubblicana.
*
2. Contro la normalizzazione costituzionale della
guerra
La nostra Costituzione, all'art. 11, stabilisce
che "l'Italia ripudia la
guerra come strumento di offesa alla liberta'
degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Questa norma non
solo e' stata ripetutamente violata nel corso
dell'ultimo decennio, ma si e'
affermata una tendenza a considerarla normativamente
inesistente, come se
fosse ormai del tutto desueta. E' in corso, in
altre parole, un'operazione
politica e giuridica di normalizzazione costituzionale
della guerra che
intende privare l'art. 11 della Costituzione di
ogni valore vincolante. Esso
conserva al piu' - si sostiene - un significato
programmatico: e' un nobile
auspicio per tempi migliori. E' ormai un coro
unanime in questo senso: il
presidente del Consiglio Berlusconi ha apertamente
sostenuto questa tesi,
ispirandosi ad un documento del Pentagono, nel
suo discorso alla Camera del
25 settembre scorso. Massimo D'Alema, sin dalla
partecipazione dell'Italia
alla guerra per il Kosovo, ha dichiarato che la
sinistra deve liberarsi di
ogni arcaico "tabu' pacifista". Piu'
recentemente, una delle massime
autorita' dello Stato - il presidente della Camera,
Pierferdinando Casini -
ha sostenuto che il ripudio costituzionale della
guerra non ha piu' il suo
significato originario, che i tempi sono cambiati,
che i principi
costituzionali vanno interpretati in modo flessibile.
Per sconfiggere il
terrorismo internazionale anche l'Italia deve
impegnarsi ad usare lo
strumento della guerra.
Si tratta di una tendenza molto grave, come ha
denunciato con forza Pietro
Ingrao, e tanto piu' pericolosa perche' e' largamente
sostenuta dai grandi
mezzi di comunicazione di massa, controllati dal
duplice monopolio
multimediale, pubblico e privato, di cui e' titolare
il presidente del
Consiglio italiano. Contro gli apologeti della
guerra, la pace deve essere
considerata un bene fondamentale del popolo italiano:
un bene che ne' il
Parlamento, ne' il governo dovrebbero mai mettere
in discussione. Parlamento
e governo dovrebbero al contrario impegnarsi a
realizzarlo collaborando alla
costruzione della condizioni politiche ed economiche
generali che rendano
meno spietati e violenti - meno "terroristici"
- i rapporti fra le nazioni.
Il ripudio della guerra appartiene in dote al
popolo italiano. E al popolo
italiano spetta oggi la responsabilita' di ripristinarlo,
delegittimando le
scelte in senso contrario del governo, del Parlamento
ed anche della Corte
di cassazione. Per questo, oggi piu' che mai,
e' importante - come e' stato
fatto per l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori
- che una larga
mobilitazione politica impugni la bandiera dell'art.
11, una bandiera che i
bipartisan di casa nostra hanno irresponsabilmente
ammainato.
Uno strumento che puo' promuovere una vasta iniziativa
popolare contro la
guerra e' quello apprestato dall'art. 71 della
Costituzione: una proposta di
legge di iniziativa popolare, redatta in articoli,
e firmata da almeno
cinquantamila elettori.
*
3. Una iniziativa di legge popolare contro la
guerra
Il progetto di legge di iniziativa popolare che
viene qui presentato - Norme
di attuazione del ripudio della guerra sancito
dall'art. 11 della
Costituzione - chiede al Parlamento l'approvazione
di una serie di garanzie
che rendano operante l'art. 11 della Costituzione,
ne consentano una
effettiva applicazione e prevedano rigorose sanzioni
delle sue violazioni.
Il progetto si compone di cinque articoli.
L'art. 1 (Ripudio della guerra) si richiama direttamente
alla prescrizione
dell'art. 11 della Costituzione che bandisce l'uso
della guerra in ogni sua
forma (comma 1) e propone una definizione di "guerra"
(comma 2) coerente con
il dettato costituzionale e con la Carta delle
Nazioni Unite. Al comma 3,
richiamando congiuntamente l'art. 52 della Costituzione
e l'art. 51 della
Carta delle Nazioni Unite, viene affermato un
principio di grande valore.
L'uso della forza militare, consentito dall'art.
52 per la difesa della
patria da aggressioni esterne, e' la sola eccezione
ammessa sia all'art. 11
della nostra Costituzione, sia alla generale normativa
della Carta delle
Nazioni Unite, che riserva al Consiglio di Sicurezza
il potere di usare la
forza internazionale. L'eccezione prevista dall'art.
51 della Carta delle
Nazioni Unite riguarda il diritto di difesa di
uno Stato attaccato
militarmente da un altro Stato. In questo caso
lo Stato aggredito puo' usare
la forza per difendersi dall'attacco in atto,
in attesa che intervenga
direttamente il Consiglio di Sicurezza e prenda,
a sua discrezione, le
misure necessarie per il ristabilimento della
pace.
E' chiaro, fra l'altro, che un atto terroristico,
per grave che sia, non
rientra tra i presupposti della guerra di legittima
difesa, previsti dalla
Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni
Unite. E' infatti un atto
criminale, che richiede l'identificazione, la
cattura e la punizione dei
colpevoli, e non certo la risposta illegittima
della guerra, idonea a
provocare migliaia di vittime innocenti e non,
come l'esperienza dimostra, a
sconfiggere le organizzazioni terroristiche.
L'art. 2 (Prevenzione dei conflitti), al comma
1, conferma l'impegno
dell'Italia alla cooperazione internazionale per
il mantenimento della pace,
incluse le missioni di peacekeeping, e cioe' di
interposizione armata con il
consenso delle parti interessate. Ma afferma anche,
al comma 2, un principio
di grande importanza. Afferma che qualsiasi "missione"
che comporti l'uso
della forza e non risponda alle rigorose previsioni
degli artt. 43, 45 e 47
della Carta delle Nazioni Unite deve essere considerata
illegale. Questi
articoli prevedono che l'uso della forza, eventualmente
deliberato dal
Consiglio di Sicurezza, deve essere affidato a
contingenti militari posti
sotto la sua diretta responsabilita' e sorveglianza,
con l'assistenza di un
Comitato di Stato Maggiore permanente. Queste
previsioni, come e' noto, non
sono mai divenute effettive ed e' invalsa la prassi
di "appaltare" l'uso
della forza alle grandi potenze interessate ad
esercitarla. La conseguenza
e' stata che il Consiglio di Sicurezza si e' spesso
limitato a legittimare
ex ante o, piu' spesso, ex post guerre di aggressione
che le potenze
interessate avrebbero comunque condotto - o avevano
gia' condotto - in
ossequio alle proprie convenienze strategiche.
L'art. 3 (Inammissibilita' di ulteriori interventi
armati), al comma 1,
vieta qualsiasi intervento militare all'estero
da parte delle forze armate
italiane in violazione delle norme contenute nei
due articoli precedenti, e
ai commi 2 e 3 prevede specifiche sanzioni per
tali violazioni.
L'art. 4 (Armi vietate dalla convenzioni internazionali),
ai commi 1 e 2, in
applicazione di vari trattati internazionali ratificati
dal nostro paese,
vieta non solo l'uso ma anche la produzione, il
transito nel nostro paese e
l'esportazione di armi biologiche, chimiche e
nucleari ed estende questo
divieto alle "bombe a grappolo", ai
proiettili all'uranio impoverito e alle
mine anti-uomo. Bombe a grappolo e proiettili
all'uranio impoverito sono
stati largamente usati dagli Stati Uniti e dalla
Gran Bretagna sia nella
guerra del Golfo del 1991, sia nelle due guerre
balcaniche, dal 1993 al
1999, sia infine in Afghanistan, con effetti che
secondo molti osservatori
sono stati gravissimi - e lo sono ancora - per
le vite umane e per
l'ambiente naturale. Le mine antiuomo sono state
recentemente bandite da un
trattato multilaterale, al quale solo gli Stati
Uniti, fra i paesi
occidentali, si sono rifiutati di aderire. Le
industrie belliche italiane ne
hanno prodotto per decenni grandissime quantita'
e le mine italiane, fra le
piu' pericolose, sono ancora sparse, in centinaia
di migliaia, nel
territorio dell'Afghanistan.
L'art. 5 (Cooperazione con la Corte Penale Internazionale),
al comma 1,
conferma la collaborazione del nostro paese con
la Corte Penale
Internazionale recentemente entrata in funzione
(luglio 2002), nonostante
l'opposizione degli Stati Uniti. La Corte ha il
compito di perseguire gravi
illeciti internazionali come i crimini contro
l'umanita', i crimini di
guerra, il genocidio, i crimini contro la pace.
Nello stesso tempo, vietando
al comma 2 che l'Italia possa stipulare accordi
per sottrarre cittadini di
paesi terzi alla giurisdizione della Corte, questo
articolo intende reagire
sia al sabotaggio della Corte che gli Stati Uniti
hanno orchestrato
sfruttando l'art. 98 del suo Statuto, sia alla
complicita' del governo
italiano con il sabotaggio statunitense.
*
Art. 1
(Ripudio della guerra)
1. La realizzazione di un ordinamento internazionale
che assicuri la pace e
la giustizia fra le nazioni, di cui all'art. 11
della Costituzione, non puo'
essere perseguita facendo ricorso allo strumento
della guerra.
2. Per "guerra" si intende qualunque
intervento armato di uno o piu' Stati
che, a causa del ricorso massiccio alla violenza,
sia idoneo a provocare la
morte, la mutilazione o il ferimento di persone
innocenti o a produrre
distruzioni indiscriminate o a causare gravi alterazioni
dell'ambiente
naturale.
3. La difesa della patria, di cui all'art. 52
della Costituzione, si
esercita nell'ambito delle disposizioni dell'art.
51 della Carta delle
Nazioni Unite.
*
Art. 2
(Prevenzione dei conflitti)
1. L'Italia coopera alla soluzione pacifica delle
controversie
internazionali, a norma del Capo VI della Carta
delle Nazioni Unite.
2. Fino a quando non avranno attuazione gli articoli
43, 45 e 47 della Carta
delle Nazioni Unite, l'Italia potra' fornire soltanto
formazioni non armate,
nonche' contingenti militari per il mantenimento
della pace ("caschi blu")
con il consenso delle parti interessate. I relativi
accordi dovranno essere
autorizzati dalle Camere in conformita' all'art.
80 della Costituzione.
*
Art. 3
(Inammissibilita' di ulteriori interventi armati)
1. Le forze armate italiane non possono compiere
interventi militari
all'estero in contrasto con le disposizioni di
cui agli articoli precedenti.
2. I fatti commessi nel corso di operazioni militari
all'estero, eseguite in
violazione delle disposizioni di cui sopra, sono
regolati dal diritto penale
comune.
3. I fatti illeciti e le conseguenze dannose connesse
ad operazioni militari
non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale.
*
Art. 4
(Armi vietate dalle Convenzioni internazionali)
1. In attuazione del Trattato di non proliferazione
delle armi nucleari,
ratificato con Legge del 24 aprile 1975, n. 131,
della Convenzione che vieta
la fabbricazione e l'immagazzinamento di armi
batteriologiche e tossiche,
ratificata con Legge dell'8 ottobre 1974, n. 618,
della Convenzione che
mette al bando la produzione, lo sviluppo e l'immagazzinamento
delle armi
chimiche, ratificata con Legge del 18 novembre
1995, n. 496, sono vietati la
produzione, l'introduzione e il transito nel territorio
nazionale delle armi
biologiche, chimiche e nucleari, nonche' la loro
fornitura ai Paesi esteri.
2. Tale divieto si estende alle mine anti-uomo,
alle bombe a grappolo
(cluster bombs), ai proiettili e alle munizioni
all'uranio impoverito ("DU")
e a ogni altro sistema d'arma il cui uso sia vietato
dalle Convenzioni
internazionali.
3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato,
le violazioni del
presente articolo sono punite ai sensi dell'art.
435 del Codice penale.
*
Art. 5
(Cooperazione con la Corte Penale Internazionale)
1. L'Italia fornisce piena collaborazione all'attivita'
della Corte Penale
Internazionale, istituita con il Trattato di Roma
del luglio 1998,
ratificato con legge 12 luglio 1999, n. 232, ai
sensi degli articoli 88 e
seguenti dello Statuto istitutivo della medesima
Corte.
2. E' fatto divieto di stipulare accordi internazionali
volti a sottrarre i
cittadini di paesi terzi alla giurisdizione della
Corte Penale
Internazionale.
2. RIVISTE. PRESENTAZIONE DI "QUADERNI
SATYAGRAHA"
[Dal sito del Centro Gandhi di Pisa (pdpace.interfree.it)
riportiamo la
presentazione dell'ottima rivista "Quaderni
Satyagraha" di cui e' in uscita
il numero 2. Per contatti: e-mail: pdpace@interfree.it]
"Quaderni Satyagraha. Il metodo nonviolento
per trascendere i conflitti e
costruire la pace".
Il movimento per la pace ha di fronte a se' il
compito di dotarsi, secondo
l'invito di Gene Sharp, di una strategia che porti
ad alternative funzionali
agli eserciti e agli armamenti nel compito della
difesa, della gestione
delle crisi internazionali e del mantenimento
della pace.
In questa ottica sentiamo impellente l'urgenza
di uno strumento di
approfondimento e di formazione al metodo nonviolento.
"Satyagraha", il nome scelto per la
rivista, esprime immediatamente il
richiamo al paradigma sperimentale, creativo e
costruttivo della nonviolenza
gandhiana: Sat e' l'essere, la verita' intesa
non come dogma da imporre, ma
come ricerca, tensione verso la verita'; Agraha
e' il potere della
nonviolenza che agisce nei conflitti per trasformarli
e trascenderli verso
realta' di pace.
La nonviolenza si presenta come metodo sperimentale
di una scienza dei
conflitti.
Nel sottotitolo, il riferimento al metodo indica,
secondo l'etimologia del
vocabolo greco methodos, la "via" (hodos)
che conduce oltre (meta') il
conflitto, che "lo trascende". Il metodo
nonviolento nel porre l'attenzione
sul rapporto mezzi-fini si afferma come una nuova
razionalita' nella
gestione dei conflitti piu' efficace delle strategie
militari. A partire
dalla consapevolezza che il conflitto di per se'
non e' distruttivo, il
metodo di approccio al conflitto e' decisivo per
trasformare in modo
nonviolento le realta' strutturali che generano
l'ingiustizia e la guerra.
Alla pubblicazione di una rivista di approfondimento
scientifico della
nonviolenza arriviamo con un ritardo quasi cinquantennale
rispetto
all'Europa del Nord e agli Stati Uniti, che hanno
avuto come battistrada
studiosi come Johan Galtung, Kenneth Boulding
e Gene Sharp. L'Italia ha
avuto innumerevoli maestri della nonviolenza (Capitini,
don Milani, Lanza
del Vasto, Danilo Dolci, ecc.), ma la loro azione
e' stata emarginata dalle
grandi istituzioni culturali e cio' ha per lungo
tempo impedito il passaggio
a un riconoscimento istituzionale dei Peace Studies,
trattati con diffidenza
dal mondo accademico, perche' giudicati incapaci
di assumere uno statuto di
oggettivita' e avalutativita' che deve sempre
contraddistinguere la ricerca
scientifica.
Johan Galtung nella sua magistrale opera di precursore
ha ampiamente
confutato questo tipo di obiezioni e ha delineato
con chiarezza i caratteri
del paradigma scientifico degli studi sulla pace,
facendo ricorso
all'efficace immagine della prassi medica nei
termini del triangolo
diagnosi-prognosi-terapia. Alla fase dello studio
e della conoscenza, segue
l'acquisizione di capacita' funzionali per intervenire
con una cura
appropriata alla malattia, di cui la violenza
e' la manifestazione
sintomatica.
La distinzione tra violenza diretta e violenza
strutturale, l'indagine sulle
cause profonde della violenza radicata nelle culture
dei popoli, i nessi tra
conflitto e sviluppo, tra sicurezza e disarmo,
il discorso sulle alternative
tra modelli di sviluppo diversi, il legame inscindibile
tra pace e
giustizia, la distinzione tra pace positiva e
pace negativa,
l'approfondimento teorico del metodo gandhiano
per trascendere i conflitti,
sono le tante acquisizioni di un percorso intellettuale
da cui non si puo'
prescindere e che costituira' la base ispiratrice
della rivista che
intendiamo realizzare.
"Quaderni Satyagraha" pubblichera' saggi
dei maggiori studiosi di tutto il
mondo ma si propone anche di stimolare e promuovere
l'emergere di giovani
ricercatori italiani nell'ambito dei Peace Studies.
Esce il primo anno come semestrale, sperando di
poter presto assumere la
periodicita' quadrimestrale o trimestrale, in
rapporto al successo che
incontrera' tra i lettori ed i ricercatori.
Il primo numero (stampato grazie ad un finanziamento
della Regione Toscana e
dell'Associazione Amici di Tolstoj) e' stato inviato
come saggio. Abbiamo
chiesto di valutare liberamente la validita' e
l'interesse di questa
pubblicazione e di contribuire all'uscita dei
numeri successivi acquistando
la copia ricevuta (versamento consigliato di almeno
15 euro) o
sottoscrivendo un abbonamento a due numeri effettuando
al piu' presto un
versamento minimo di 30 euro sul ccp n. 19254531
intestato a "Centro
Gandhi - Associazione per la Nonviolenza onlus,
Larggo Duca d'Aosta 11,
56123 Pisa", specificando come causale "Acquisto
di un numero di Quaderni
Satyagraha" o "Abbonamento per due numeri
a Quaderni Satyagraha".
3. MAESTRE. AGNES HELLER: SUI BISOGNI
ALIENATI
[Da Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx,
Feltrinelli, Milano 1974,
1978, p. 155. Agnes Heller, filosofa ungherese,
e' nata a Budapest nel 1929,
allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata
dall'Ungheria, ha poi
insegnato in Australia ed attualmente in America.
In Italia e'
particolarmente nota per la "teoria dei bisogni"
su cui si ebbe nel nostro
paese un notevole dibattito anche con riferimento
ai movimenti degli anni
'70. Su posizioni democratiche radicali, e' una
interlocutrice preziosa
anche laddove non se ne condividano alcuni impianti
ed esiti teorici. Nella
sua vastissima ed articolata produzione segnaliamo
almeno La teoria dei
bisogni in Marx, Feltrinelli; Teoria dei sentimenti,
Editori Riuniti; Teoria
della storia, Editori Riuniti; Etica generale,
Il Mulino; cfr. anche
Apocalisse atomica (con F. Feher), Sugarco; ed
il volume-intervista Morale e
rivoluzione, Savelli]
I bisogni alienati hanno un carattere quantitativo.
Il processo della loro
accumulazione e' praticamente infinito. Se prendiamo
in considerazione i
bisogni puramente quantitativi, difficilmente
troveremo il punto in cui essi
raggiungono il livello di "saturazione".
4. MEMORIA. ETTORE MASINA RICORDA
OSCAR ROMERO
[Questo articolo di Ettore Masina (per contatti:
ettore.mas@libero.it) e'
stato scritto su richiesta del quotidiano "L'Unita'"
nel marzo di
quest'anno; ringraziamo Ettore per avercelo a
suo tempo trasmesso. Ettore
Masina e' giornalista e scrittore, gia' parlamentare,
impegnato per la pace
e i diritti umani, animatore dell'esperienza di
solidarieta' della Rete
Radie' Resch; tra le sue opere segnaliamo in particolare
Il vangelo secondo
gli anonimi, Cittadella; Un passo nella storia,
Cittadella; El nido de oro,
Marietti; Un inverno al sud, Marietti; Oscar Romero,
Edzioni cultura della
pace (poi riedito come L'arcivescovo deve morire,
Edizioni Gruppo Abele); ed
il recente Il vincere. Oscar Arnulfo Romero, nato
nel 1917, arcivescovo di
San Salvador, voce del popolo salvadoregno vittima
dell'oligarchia, della
dittatura, degli squadroni della morte, muore
assassinato mentre celebra la
messa il 24 marzo 1980. Tra le opere su Oscar
Romero: James R. Brockman,
Oscar Romero: fedele alla parola, Cittadella,
Assisi 1984; il gia' citato
libro di Ettore Masina, Oscar Romero, Edizioni
Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole 1993 (poi riedito, rivisto
e ampliato, col titolo L'
arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1995); Jose' Maria
Lopez Vigil, Oscar Romero. Un mosaico di luci,
Emi, Bologna 1997]
In molti luoghi della Terra - e in molti luoghi
italiani - in questi giorni
si commemora l'anniversario della morte di monsignor
Oscar Arnulfo Romero,
arcivescovo di San Salvador, assassinato con un
colpo di fucile mentre
celebrava una messa. Sono passati ventidue anni
da quel giorno, eppure
milioni e milioni di cattolici (ma non solo di
cattolici e non solo di
cristiani) continuano a farne memoria.
Fare memoria non significa ricordare. Fare memoria
significa rendere attuale
un fatto, un protagonista, le ragioni di quel
fatto, la fisionomia di quel
protagonista, come se fossero accanto a noi, per
noi significanti. E allora:
attuale El Salvador, abbandonato dai riflettori
della cronaca, dopo una
guerra civile che lo ha allagato di sangue? Attuale
un uomo morto da tanto
tempo, senza lasciare trattati teologici, faraoniche
costruzioni, opere
d'arte, congregazioni religiose, istituti secolari?
Attuale un santo che il
Vaticano non ha (ancora?) riconosciuto come tale?
Attuale il suo "caso"
quando cento altri si sono accumulati in questi
anni?
La gente risponde che si'. Romero non e' mai stato
un mito e sono i miti ad
avere bisogno, per sopravvivere, di mass-media,
di omaggi formali, di
ceralacche apposte a pergamene fra volute d'incenso;
e sono i miti ad essere
logorati dalle celebrazioni, ridotti spesso a
statuine per i cruscotti delle
automobili o a grandi statue per le piazze, a
devozioni che sfiorano la
magia, a titolari di santuari che richiamano allegri
picnic piu' che
meditazioni evangeliche.
Romero e' stato un mito soltanto per i suoi avversari,
quelli che lo hanno
descritto come un "vescovo rosso", perche'
stava dalla parte dei poveri e si
opponeva, fino a morirne, all'ordine pubblico
degli squadroni della morte.
Mentre lui camminava per i villaggi della sua
terra, fra donne violate e
campesinos uccisi dopo elaborate torture, l'ambasciatore
del Salvador presso
la Santa Sede, nella sua suite al Grand Hotel,
offriva a importanti
monsignori cene prelibate e ghiotte notizie: quel
Romero permette che i suoi
preti alternino la mitraglietta all'aspersorio,
dicano la messa fumando e
usino il caffe' invece che il vino per le eucarestie.
I monsignori
prendevano nota. Cinque dei sei vescovi del Salvador
odiavano Romero: uno di
loro amava vestirsi da colonnello dell'esercito,
un altro i campesinos lo
chiamavano "tamagas" che e' il nome
di una vipera velenosa e versipelle. Su
questo Romero che non voleva capire che Mosca
e Belzebu' erano alle porte
scrivevano a Roma lettere collettive, in cui la
frase più tenera suonava
cosi': un povero pazzo. Quanto ai nunzi apostolici,
vescovi ridotti a fare i
diplomatici, tutti a dire: quest'uomo crea turbamenti
fra Stato (fascista) e
Santa Sede. Si ingiganti' cosi' il mito del vescovo
che "piaceva ai
guerriglieri", del vescovo-Che Guevara, o
la caricatura del povero, ingenuo
monsignore strumentalizzato dai comunisti.
Se non fossero odiosi certi giochi di parole,
si potrebbe dire che Romero
non fu un mito, fu un mite. Soltanto contro chi
osava ordinare il genocidio
dei poveri la sua voce ebbe accenti infuocati.
Per il resto la verita' e'
che egli, a una immensa turba di poveri, che per
secoli si erano troppo
spesso sentiti predicare soltanto la croce dei
doveri, diede l'annunzio che
accanto ai doveri essi avevano dei diritti, e
li esorto' a chiederne il
riconoscimento, mettendosi insieme, nella nonviolenza
attiva. No, non fu un
vescovo "rosso", la sua intransigenza
nei confronti del materialismo
dialettico fu sempre ferrea. Ma fu un vescovo
"liberatore". Aveva scritto un
poeta che, a causa delle continue repressioni,
ogni salvadoregno nasceva
gia' mezzo morto. Romero si chino' su quelle mezze-vite
ascoltandole e
facendone suoi i dolori e poi annunziando loro:
siete i figli prediletti del
vangelo.
Fu immensamente amato dai poveri. E forse in tanta
avarizia di
riconoscimenti da parte del Vaticano non c'e'
soltanto il peso di parole
profetiche annotate come "eccessive",
ma anche un grano di invidia da parte
di coloro che vorrebbero essere chiamati padri
da ricchi e da poveri e in
realta' sanno bene che il vero amore cristiano
viene da coloro che hanno
fame e sete di giustizia.
La gente (molta gente) sente che quel monsignore,
il quale nella prima parte
della sua vita conobbe soltanto la pratica della
preghiera e dell'elemosina,
ma poi si lascio' convertire dal popolo, e' un
santo che si vorrebbe avere
per amico; ed e' per questo che alla fine di ogni
mese di marzo gremisce le
chiese nel suo ricordo. E nel ricordo di Romero,
il popolo cristiano scopre
che il suo sangue germina sacerdoti e vescovi
che affrontano intrepidamente
gli oppressori dei poveri, proferendo il "Non
ti e' lecito!" che fu di
Giovanni il Battezzatore: vescovi e preti assassinati,
per questo, come i
sei gesuiti salvadoregni massacrati nel 1986.
il vescovo guatemalteco
Gerardi, e forse il colombiano Duarte; vescovi
in costante pericolo di vita,
oggi, come alcuni brasiliani, haitiani, africani.
Aveva detto, un giorno, Romero: "Se mi uccideranno,
risorgero' nel cuore del
mio popolo". Erano passati dodici anni dal
suo martirio quando fu firmato
l'accordo di pace fra il governo salvadoregno
e le forze guerrigliere. Quel
giorno, nella piazza del palazzo presidenziale,
ebbe luogo una grande festa:
finalmente dopo tanti anni i salvadoregni potevano
radunarsi senza paura:
muchachos con il fazzoletto rosso del fronte rivoluzionario
accanto a quelli
con le divise dell'esercito, in pace. Famiglie
disgregate si ricomponevano
dopo anni d'assenza. Poi le orchestrine cominciarono
a suonare, centinaia di
coppie si allacciarono nelle danze. Su una facciata
della cattedrale c'era
un'immensa fotografia di Romero con la scritta:
"Monsignore, sei risorto nel
cuore del tuo popolo". Passando accanto a
quel muro, i ballerini buttavano
baci. Qualcuno, tenendo la dama o il cavaliere
con la sinistra, si faceva il
segno della croce. Non dimentichero' mai quello
spettacolo: e penso che
pochi santi abbiano avuto una cosi' gioiosa, affettuosa
canonizzazione.
5. RIFLESSIONE. PATRIZIA VIOLI:
FORSE PERO'
[Da Patrizia Violi, Le molte enciclopedie, in
AA. VV., Semiotica: storia,
teoria, interpretazione, Bompiani, Milano 1992,
p. 110. Patrizia Violi, come
e' noto, e' una delle piu' importanti studiose
di semiotica]
Forse pero' se il caos e l'informe potessero trovare
posto entro
quell'ordine invece di esserne espulsi con violenza,
se potessero essere
accolti nel mondo della coscienza enciclopedica,
se di essi si potesse
tentare anche la teoria, oltre al racconto, allora
cesserebbero di essere
cosi' minacciosi e devastanti, e si rivelerebbero,
pur nel loro volto
inquietante, come parte costitutiva di noi stessi.
6. RIFLESSIONE. MARGOT WADDELL:
QUALSIASI STEREOTIPO
[Da Margot Waddell, Mondi interni, Bruno Mondadori,
Milano 2000, p. 184.
Margot Waddell e' psicoanalista e lavora presso
l'Adolescent Department
della Tavistock Clinic; e' condirettrice della
collana di libri Tavistock
Clinic Series]
Qualsiasi stereotipo si oppone chiaramente agli
sforzi di una persona di
essere se stessa.
6. LIBRI. MEO ELIA PRESENTA "L'ANGELO
DELLA PACE" DI MASSIMO TOSCHI
[Riceviamo e volentieri diffondiamo questa presentazione
scritta da Meo
Elia, direttore della bella rivista "Missione
oggi", di un "quaderno" di
Massimo Toschi "per indicare la via stretta
della pace". Scrivono gli amici
saveriani nella presentazione: "Abbiamo raccolto
in un Quaderno sedici
articoli di Massimo Toschi sui temi della pace
e della guerra, pubblicati su
"Missione oggi" negli ultimi dieci anni:
L'Angelo della pace, il Vangelo nel
tempo della guerra, pp. 130, euro 10. Si puo'
richiedere a "Missione Oggi",
tel. 0303772780, e-mail: missioneoggi@saveriani.bs.it]
Di fronte alle crescenti ondate della cultura
di guerra, diventa sempre piu'
urgente predisporre argini resistenti ed elaborare
una nuova cultura di
pace. Da anni il prof. Massimo Toschi, storico
di formazione - attualmente
consigliere del presidente della Regione Toscana
per la pace, la
cooperazione e i diritti umani - e' impegnato
in questa direzione e offre i
suoi apporti attraverso le pagine di "Missione
oggi".
Negli articoli pubblicati sulla rivista negli
ultimi dieci anni, ora
riproposti in un Quaderno, si coglie la puntuale
denuncia delle ambiguita' e
delle ipocrisie delle diverse forme che la "dottrina
della guerra giusta",
sostenuta da tanti uomini di chiesa, ha assunto
nelle guerre che si sono
succedute. Una denuncia fatta in nome della fedelta'
al Vangelo, che non
puo' essere messo da parte proprio nei momenti
piu' critici, ma anche in
forza delle motivazioni "razionali".
Come osserva Giuseppe Dossetti in
un'intervista richiamata nel Quaderno, c'e' oggi
una convergenza tra i due
livelli di motivazioni, per dire un no assoluto
ad ogni guerra del nostro
tempo.
Il Quaderno e' strutturato in quattro sezioni:
- Il ritorno della teologia della guerra giusta.
Esame critico di tre testi
ecclesiali degli inizi degli anni '90: sull'ingerenza
umanitaria, sui temi
della guerra e della pena di morte, sul commercio
internazionale delle armi.
- Parole per una nuova cultura di pace. Il primo
intervento parte dalla
Lettera ai giudici di don Milani e matura una
convinzione: occorre fare
della pace un valore assoluto non negoziabile.
Seguono due ampie ricerche
critiche: "Le chiese e la guerra, da Hiroshima
ad oggi" e "La crisi del
pacifismo" (dossier che riflette sul modo
con cui il popolo della pace,
particolarmente quello di ispirazione religiosa,
ha operato di fronte alla
guerra dell'ex Iugoslavia).
- Dal Kosovo all'Afghanistan e all'Iraq: il tempo
della prova. Sette
interventi che mostrano come in questi anni, con
la "teologia della guerra",
abbiamo completamente dimenticato l'Evangelo della
pace, per giustificare
gli stati nelle loro politiche di guerra.
- Il sentiero di Isaia. Un'articolata lettura
storica presenta la profezia
di pace costituita dalla persona e opera di papa
Giovanni. Un secondo
apporto descrive altri profeti di pace della nostra
storia recente. Questi
richiami sono di estrema importanza perche' "se
vogliamo comprendere meglio
la diaconia della chiesa nel tempo di guerra -
suggerisce Toschi - dobbiamo
incontrare cristiani che nel nostro tempo hanno
indicato altre strade, piu'
attente al grido muto delle vittime e piu' fedeli
al mistero del Signore".
Un Quaderno di autentica profezia, che porta luce
in questi tempi di buio.
Oseremmo dire che e' un testo unico nel suo genere.
Percio' da raccomandare
a chi vuole davvero porre la propria vita al servizio
della pace.
7. LIBRI. TOMMASO DI FRANCESCO
PRESENTA "I PADRONI DEL MONDO" DI JOHN
PILGER
[Questa segnalazione abbiamo ripreso dal quotidiano
"Il manifesto" del 31
ottobre 2002. Tommaso Di Francesco, giornalista
e saggista, e' un esperto
vero di questioni internazionali. John Pilger
e' un giornalista giustamente
celebre]
Un libro prezioso, unico. Parliamo de I padroni
del mondo, di John Pilger,
(Fandango, pp. 208, euro 16). Perche' trasforma
la forma del commento in
racconto e testimonianza. E' quel che fa dire
a Noam Chomsky "una vera
rivelazione". John Pilger e' da tanti anni
uno dei principali inviati dei
piu' importanti giornali internazionali ("Guardian",
"Independent", "New
York Times", "The Nation"). Ci
piace dire anche "il manifesto". Ha
attraversato diverse guerre e crisi internazionali,
che da sole basterebbero
a raccontare il mondo. E l'infamia dell'ultimo
secolo del millennio passato
e insieme del nuovo che si e' aperto all'insegna
dell'11 settembre - che non
ha "cambiato tutto", ha "solo"
accelerato la continuita' degli eventi -
della guerra all'Afghanistan e della teoria unilaterale
americana della
"guerra preventiva". Quello di John
Pilger e' racconto. Come iniziare meglio
questo viaggio nell'orrore se non citando il romanzo
che ha anticipato i
nostri tempi, vale a dire 1984 di George Orwell.
Romanzo o realta'? Giacche'
nel romanzo orwelliano "la "guerra e'
pace, la liberta' e' schiavitu',
l'ignoranza e' forza".
Due le idee guida del libro: in primo luogo non
basta piu' la categoria
degli interessi dell'imperialismo (o dell'impero),
o della globalizzazione
(termine con il quale l'imperialismo si ricicla
e ringiovanisce); e'
necessario a questo punto indicare piu' precisamente
che e' un'elite di
interessi precostituiti, un "manipolo di
affaristi e strateghi che difendono
l'attuale ordine internazionale". E', potremmo
dire, la nuova "classe dei
padroni del mondo". Per fare un esempio,
non basta limitarsi alla predica
che e' il petrolio a muovere le guerre. A proposito
di eventuale
ricostruzione degli impianti petroliferi iracheni
nel "dopoguerra", bisogna
raccontare quel che e' stato pubblicato dalla
Deutsche Bank il 26 ottobre:
"Le prime vincitrici saranno le compagnie
di servizi petroliferi, come la
Schlumberger Ltd. e la Halliburton Corporation",
si', proprio la Halliburton
di proprieta' del vicepresidente americano Dick
Cheney. Il secondo elemento
decisivo per Pilger e' che l'arma piu' potente
di questa nuova guerra e' la
"pseudoinformazione": nel romanzo di
Orwell le verita' inaccettabili
venivano consegnate all'oblio, qui il dissenso
e' autorizzato entro confini
consensuali, consolidando l'illusione che l'informazione
e la parola siano
"libere".
La trama dei saggi-reportage del libro - se cercate
il "colore" del
giornalismo quello non c'e', ma troverete la dura
testimonianza diretta dei
crimini - va dall'Indonesia di Suharto (massacro
di un milione di comunisti
e minoranze del 1965 e crisi di Timor est, invasione
del 1975 e crisi della
fine anni Novanta), all'Iraq sotto l'arma di distruzione
di massa
rappresentata dall'embargo internazionale, dalla
guerra "umanitaria" della
Nato per il Kosovo, ai bantustan dei Territori
autonomi palestinesi occupati
dall'esercito israeliano. Per concludere con la
cancellazione non solo dei
diritti ma dell'esistenza stessa degli aborigeni
in Australia, il paese di
John Pilger.
Non c'e' colore, ma ecco per l'embargo in Iraq
comparire nella descrizione
del libro "l'armadietto" di Denis Halliday,
il piu' alto funzionario
dell'Onu a Baghdad nel 1999 che racconta come
la' dentro ci fosse la
scorta-tipo mensile che l'Onu, con i soldi iracheni
dell'Oil for food, era
autorizzata a spendere per milioni di iracheni:
"un sacco di grano,
margarina, saponette e qualche altro genere di
prima necessita'", con la
quale la comunita' internazionale ha organizzato
con le sanzioni una strage
di deboli e indifesi, rafforzando invece il regime.
Con una sapienza
surreale e comica che pervade il libro: tra le
sanzioni scopriamo che non
arrivavano libri in inglese agli studenti iracheni
e che la British Library
aveva informanto un traduttore di Baghdad che
non poteva inviargli una copia
dell'Ulisse di Joyce. O nell'intervista al portavoce
della Casa bianca James
Rubin che, interrogato su chi stia davvero pagando
il prezzo dell'embargo in
Iraq, rispondeva: "Stiamo cercando di ridurre
al minimo il prezzo da pagare
per il popolo iracheno... lei deve capire che
esiste un mondo reale e un
mondo ideale".
Il libro poi resta come pervaso da un vocio di
sottofondo, quello dei
testimoni in prima persona. Bali e' tragicamente
tornato d'attualita' per la
strage feroce alla discoteca. Pilger, rivolto
ai suoi concittadini
australiani che hanno fatto di Bali un circuito
di vacanze a buon mercato,
fa parlare testimoni che hanno vissuto sulla propria
pelle la strage del
1965 contro il Partito comunista indonesiano (Pki)
organizzata dai generali
guidati da Suharto, il grande alleato degli Usa,
che poi deposero Sukarno,
in assoluta intelligence - e' il caso di dire
- con la Cia, con un'abile
operazione di disinformazione romanzata arrivata
fino al film, pure
emozionante, Un anno vissuto pericolosamente:
li' a Bali furono "soltanto"
80.000 le vittime di quella mattanza dimenticata
in Occidente. E poi il filo
tagliente della memoria: in Kosovo l'Uck - ricorda
Pilger - era per il
dipartimento di stato Usa una "organizzazione
terroristica" fino alla fine
del 1998, poi una guerra "umanitaria"
Nato venne fatta per fermare la
pulizia etnica che, secondo i rapporti Osce, si
scateno' davvero dopo i raid
e anzi, quando la Nato entro', ad esser cacciati
"furono
duecentocinquantamila serbi e rom", per quei
raid si arrivo' alla "Fase
tre": i bersagli civili. I bombardieri avevano
esaurito i bersagli militari
e i leader della Nato da quel momento non vollero
piu' sapere quali target
venivano colpiti.
8. RILETTURE. AA. VV.: RUAH
AA. VV., Ruah, Stampa Alternativa, Viterbo 1997,
cinque volumetti in
cofanetto, lire 10.000. Le autrici (Emma Fattorini,
Romana Guarnieri, Luisa
Muraro, Lucetta Scaraffia, Adriana Valerio) rilfettono
su "il femminile di
Dio"; alcuni testi sono di grande interesse
sotto piu' punti di vista.
9. RILETTURE. MARY HUNT, ROSINO
GIBELLINI (A CURA DI): LA SFIDA DEL
FEMMINISMO ALLA TEOLOGIA
Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida
del femminismo alla
teologia, Queriniana, Brescia 1980, pp. 208. Una
bella raccolta di saggi di
teologhe femministe americane ed europee.
10. RILETTURE. IDA MAGLI: SULLA
DIGNITA' DELLA DONNA
Ida Magli, Sulla dignita' della donna, Guanda,
Parma 1993, pp. 144, lire
18.000. Un saggio che riflette sulla violenza
sulle donne e sul pensiero di
Wojtyla. A nostro avviso una lettura assai utile
alla riflessione.
11. RILETTURE. ROSEMARY RUETHER:
PER UNA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE DELLA
DONNA, DEL CORPO, DELLA NATURA
Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione
della donna, del corpo,
della natura, Queriniana, Brescia 1976, pp. 240.
Una utile raccolta di saggi
della prestigiosa teologa.
12. RIFERIMENTI IN RETE. "MAREA":
ALCUNI SITI DEL MOVIMENTO DELLE DONNE
[Dal sito di "Marea" (www.marea.it,
e-mail: mochena@village.it) riprendiamo
questo elenco di alcuni siti della cultura e del
movimento delle donne]
* Alcuni siti di informazione e riflessione delle
donne:
- Il paese delle donne, www.womenews.net
- Medea, www.provincia.venezia.it/medea/
- Dwpress, www.mclink.it/n/dwpress/
- Feminista, www.feminista.com
- Mediterranean, www.medmedia.org/
- Femina, www.femina.com
- Server Donne Associazione Orlando, www.women.it/
- WebRing, www.wwwomen.com/webring
- Femmis, www.femmis.org
- Altrameta', www.altrameta.it
- Donna news, www.donnanews.it
* Alcuni siti ecofemministi:
- Ecofem, http://csf.colorado.edu/ecofem/
- EcoFeminist, www.feminist.org/gateway/science.html
- Eve Online, www.envorolink.org/org/eve
- Spiderwomen, www.spiderwomen.org/ecofeminism.htm
- Indigenous Environmental Network, www.alphacdc.com/ien/
* Alcuni centri di studio:
- Rete Lilith, www.women.it/lilith/lilith.htm
- Coordinamento Donne Lavoro Cultura, www.ulisse.it/~cdlc
- Storia delle donne, www.storiadelledonne.it
- Universita' delle donne, www.linda.it
- Archivio per la scrittura delle donne,
www.archiviodistato.firenze.it/memoriadonne/
- Tuttoscuola, www.tuttoscuola.com
* Alcuni siti su maternita' e paternita':
- Madre provetta, www.madreprovetta.it
- Qui mamme, www.quimamme.it
- Il Melograno, www.logic.it/melograno
- Tutte le mamme, www.tuttelemamme.it
- Lega del latte materno, www.lalecheleague.org
- Paternita' online, http://digilander.iol.it/uomini/patern.htm
- Associazione studi sulla paternita', www.mclink.it/assoc/isp/
* Siti di donne in situazioni difficili:
- Rawa, www.rawa.org
- Hawca, www.hawca.org
- Women for Women, www.embassy.org/wmn4wmn/
- Casa delle donne Kurde, www.casadelledonnekurde.it
- Women for Women, www.wforw.it
- Women against fundamentalisms, www.gn.apc.org/waf/
* Alcuni altri siti:
- Il sito dello storico Centro delle donne di
via Lungara a Roma, con
segnalazioni delle attivita' e dei gruppi presenti,
www.casainternazionaledelledonne.org
- Femministe storiche e non sul web tra cultura
e societa': a cura della
Libera Universita' delle donne di Milano, www.linda.it
- Un rotocalco per conoscere il mondo dell'impresa
e della telematica
femminile, www.dols.net
- Un'associazione no profit che fornisce consulenza
e assitenza telefonica
per qualsiasi problema di salute della donna,
un ambulatorio per problemi
urgenti e informazioni su dove rivolgersi a Roma
per qualsiasi aspetto della
salute e della sessualita' al femminile, www.vitadidonna.it
- sito dell'associazione omonima che propone una
petizione contro la legge
Bossi-Fini, www.associazionelagattoparda.com
- bellissimo ed elegante sito fatto da giovani
studentesse, www.tramanti.it
- Un sito utile per chi vuole dare anche il proprio
cognome alle figlie e ai
figli e contribuire alla fine della cultuira patriarcale
che vuole imporre
il solo cognome paterno, cognomematerno.freeweb.supereva.it
13. DATI. "FEMMIS": COMPRATE
E VENDUTE
[Dal sito di "Femmis", www.femmis.org,
riportiamo questi terribili dati]
Del miliardo e 200 milioni di persone che vivono
in poverta' assoluta (cioe'
con meno di un dollaro al giorno), due terzi sono
donne.
Fonte: Undp (United Nations development programme)
*
Ogni anno: 4 milioni di donne e ragazze di cui
settemila nepalesi obbligate
a lavorare como sex workers nelle case chiuse
di Delhi e Bombay e due terzi
delle cinquantacinquemila prostitute cambogiane
reclutate con la forza.
Il turismo sessuale frutta alla Thailandia un
miliardo di dollari all'anno.
Duecentomila donne dell'est finiscono ogni anno
nelle mani di sfruttatori
europei.
La prostituzione mondiale produce un giro d'affari
tra i 5 e 7 miliardi di
dollari (5,4 e 7,6 miliardi di euro).
Fonti: Onu, Assoc. Empower, Lega Femm. Kiev.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA"
DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione
della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale,
a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato
di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa
via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale
senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il
bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento
nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e
le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo,
di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza,
alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto
di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso
per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere,
inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente
naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro,
e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza
dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento,
che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio
e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta'
di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta
sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo
sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza
civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento:
www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale
della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta
presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete
telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale
per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza:
www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto
dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione:
strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario
e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 408 del 7 novembre 2002
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