segnali dalle città invisibili
 

Giro93 Movimento
“Colpiremo per primi”

di Carla Francone, Da nuova unità n.5/2002

Se dei lavoratori o dei comunisti o i palestinesi dicessero “colpiremo per primi” sarebbero subito accusati (e arrestati) di sovversione. A dirlo (e a farlo) è invece Bush che, per evitare un attacco come quello dell’11 settembre, che gli Usa non hanno saputo o voluto impedire, ha deciso di colpire quei governi che (secondo lui) sponsorizzano i terroristi. O con me o contro di me. Cioè chi non la pensa come gli Stati Uniti è giudicato terrorista e deve essere bombardato. Si allarga il concetto “libertà duratura” che ha triplicato, rispetto al 2001, il numero delle violazioni dei diritti umani (oltre i maltrattamenti e le torture del G8). Misure che includono detenzioni indefinite senza processo, commissioni militari e tribunali speciali: Stati Uniti in testa (nel solo Texas ci sono più prigionieri che nei carceri di Italia, Francia e Germania insieme) ma anche Inghilterra, Egitto, Turchia, Tunisia, Pakistan, India, Singapore, Malaysia ecc. cioè la democrazia dell’imperialismo.
Se di fronte all’abbattimento del muro di Berlino c’era qualcuno che si illudeva sulla fine della guerra fredda non faticherà a ricredersi. Per un muro caduto altri si innalzano. Dopo quello tra Stati Uniti e Messico siamo a quello vergognoso di 350 km. lungo la linea tra Israele e la Cisgiordania e in parte sul territorio cisgiordano. Muri che non scandalizzano come quello di Berlino. Già qui si tratta di difendere gli interessi imperialisti!
È un muro l’allargamento della Nato ad Est, così come l’apparente accordo sul taglio delle testate nucleari (due terzi che lasciano comunque la superiorità degli Usa, che ne hanno 7000 contro i 6000 russi) che costringe Putin a enormi spese di accantonamento e al ricatto Nato.
Ma il muro più spesso è quello che gli Usa hanno iniziato a costruire dopo l’11 settembre 2001.Con la scusa degli attacchi terroristici Bush piega al suo potere tutti i Paesi alleati e l'Unione europea che accettano gli elenchi di organizzazioni ritenute terroristiche e dei Paesi reputati sostenitori e, quindi, passibili di attacchi militari. Oggi chi si schiera con la Palestina occupata e martoriata è “ideologizzato”, chi attribuisce all’imperialismo sionista i massacri di Sharon è antisemita e antiebreo. Chi protesta contro la guerra in Afghanistan è un talebano; chi contesta la legittimità dell’attuale processo in corso all’Aia è pericoloso perché filo Milosevic; chi denuncia le torture del governo Turco contro comunisti e rivoluzionari è un terrorista come lo sono quelli che hanno manifestato a Genova contro il G8 (anche se a distanza di un anno trapelano alcuni degli abusi della polizia). E così via.
L’amministrazione Bush impone al mondo un clima di terrore e di continuo allarme che alimenta la cultura del sospetto contro lo straniero – che porta al razzismo – e, col tempo, porterà a farci sospettare persino del vicino di casa o dei propri parenti. Una situazione che si riflette nei paesi alleati con la fascistizzazione strisciante che giustifica l’autoritarismo e la repressione preventiva; di attacco alle libertà democratico-borghesi e ai diritti civili (ci intercettano via satellite e filmano e sorvegliano costantemente); di campagne contro le ideologie, le concezioni progressiste, di costruzione di “verità” sul falso e di manipolazione della cultura e inquinamento delle coscienze che si innestano con l’offensiva padronale e governativa e con l’attività di mafia, camorra e gruppi eversivi. Tutto ciò per sottometterci, per impedire lo scontro di classe e permettere alla borghesia di mantenere la sua dittatura sia in campo politico che finanziario, economico e culturale.
L’imperialismo non cede. Domina sul mondo, oltre che con le annessioni territoriali dirette, attraverso un profondo legame con gli interessi della borghesia finanziaria e monopolistica delle holding multinazionali in un sistema mondiale di sfruttamento di uomini e di risorse finalizzato al profitto.
È una situazione che non ci sta bene. Che richiede una risposta. E la sola risposta si chiama socialismo (e su quale socialismo c’è indubbiamente da discutere), ma è anche vero che non si può essere solo i propagandisti della rivoluzione e del socialismo. Ma, ancora una volta, ci viene in aiuto Lenin con i suoi concetti di tattica e strategia politica che ci fanno capire che quando si abbandona la visione strategica si cade nel pragmatismo opportunista e ci si limita a migliorare il presente, mentre se non si concepisce la tattica e ci si limita a proclamare i principi si rimane chiusi nello schematismo ideologico e nel settarismo senza riuscire a fare passi in avanti.
Nel frattempo continuiamo la lotta contro gli interessi del capitalismo e dell’imperialismo. Opponiamoci alla pressione ideologica e culturale del nemico di classe con l’iniziativa e la creatività. Lavorando, nel contempo, per costruire lo strumento della politica.

 

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