|
Giro89
Movimento
La macchina delle parole
Il presidente Chavez? «Tiranno».
I suoi nemici? «La cittadinanza».
I suoi amici? «La turba». Il golpista
Musharraf? «Leader moderno». Le stragi
di palestinesi? «Caccia ai terroristi».
I diktat delle grandi potenze? «La comunità
internazionale lo esige». Il pianeta Ipnotizzato
dell'informazione
di EDUARDO GALEANO, da Il Manifesto
Sigmund Freud lo aveva imparato
da Jean-Martin Charcot: le idee possono essere
introdotte, per ipnosi, nella mente umana. E'
passato più d'un secolo. E s'è sviluppata
parecchio, da quei tempi, la tecnologia della
manipolazione. Una macchina colossale, delle dimensioni
del pianeta, ci impone di ripetere i messaggi
che essa stessa ci mette dentro. E' la macchina
tradisci-parole. Il presidente del Venezuela Hugo
Chavez era stato eletto e rieletto da una maggioranza
schiacciante, in elezioni molto più trasparenti
di quelli che hanno consacrato George W. Bush
negli Stati uniti.
La macchina ha girato per il golpe che ha cercato
di rovesciarlo. Non per il suo stile messianico,
né per la sua tendenza alla logorrea, ma
per le riforme che ha proposto e le eresie che
ha commesso. Chavez ha toccato gli intoccabili.
Gli intoccabili, padroni dei mezzi di comunicazione
e di quasi tutto il resto, hanno lanciato grida
al cielo. In tutta libertà, hanno denunciato
lo sterminio della libertà. Dentro e fuori
le frontiere, la macchina ha trasformato Chavez
in un «tiranno», un «autocrate
delirante», un «nemico della democrazia».
Contro di lui si è mossa «la cittadinanza»,
con lui «una turba» che si riuniva
in «covi», nemmeno in locali.
La campagna mediatica è stata decisiva
per la valanga che è sfociata nel colpo
di stato, programmato da molto tempo contro una
dittatura tanto feroce da non avere un solo prigioniero
politico. Quindi un impresario ha occupato la
presidenza, votato da nessuno. Democraticamente,
come prima misura di governo, ha dissolto il parlamento,
e il giorno seguente la borsa è salita.
Ma una sommossa popolare ha rimesso Chavez al
suo legittimo posto. Il golpe mediatico ha potuto
generale solo un potere virtuale, come ha commentato
lo scrittore venezuelano Luis Britto Garcia, ed
è durato poco. La televisione venezuelana,
baluardo della libertà di stampa, non era
al corrente della spiacevole notizia.
Nel frattempo un altro votato da nessuno, pervenuto
al potere anche lui con un colpo di stato, sfoggia
con successo il proprio nuovo look: il generale
Pervez Musharraf, dittatore militare del Pakistan,
trasfigurato dal bacio magico dei grandi mezzi
di comunicazione. Musharraf dice e ripete che
non gli passa minimamente per la testa l'idea
che la sua gente possa votare, lui però
ha fatto voto di obbedienza alla cosiddetta "comunità
internazionale" e nell'ora della verità
questo è l'unico voto che conta davvero,
in fin dei conti.
Chi ti ha visto e chi ti vede: ieri Musharraf
era il miglior amico dei suoi vicini, i taleban,
oggi si è trasformato nel «leader
liberale e coraggioso della modernizzazione del
Pakistan».
E con tutto questo continua la mattanza dei palestinesi,
che
le fabbriche dell'opinione pubblica mondiale chiamano
«caccia ai terroristi». Palestinese
è sinonimo di terrorista, aggettivo che
mai si coniuga all'esercito di Israele. I teritori
usurpati dalle continue invasioni militari si
chiamano sempre «territori contesi».
E i palestinesi, che sono semiti, risultano invece
essere «antisemiti». Da più
di un secolo sono condannati a espiare le colpe
dell'antisemitismo europeo e a pagare, con la
loro terra e con il loro sangue, l'olocausto che
non hanno commesso.
Gara di sottomissione nella Commissione diritti
umani delle Nazioni unite, che mira sempre a sud
e mai a nord.
La Commissione è specializzata nel tiro
a Cuba, e quest'anno è toccato all'Uruguay
l'onore di guidare il gruppo. Altri governi latinoamericani
si accompagnano. Nessuno ha detto «lo faccio
perché mi comprino ciò che vendo»,
né «lo faccio perché mi prestino
ciò di cui ho bisogno», né
«lo faccio perché allentino la corda
che mi stringe il collo». L'arte del buongoverno
permette di non pensare ciò che si dice,
ma proibisce di dire ciò che si pensa.
E i media hanno approfittato dell'occasione per
confermare, una volta ancora, che l'isola assediata
continua a essere il cattivo del film.
Nel dizionario della macchina, si chiamano «contributi»
le tangenti ricevute dai politici e «pragmatismo»
i tradimenti che commettono. Le «buone azioni»
non sono nobili gesti del cuore ma quelle ben
quotate in Borsa, e nella Borsa accadono le «crisi
dei valori». Dove si dice «la comunità
internazionale esige», sostituire con «la
dittatura finanziaria impone».
«Comunità internazionale» è
inoltre lo pseudonimo che progette le grandi potenze
nelle proprie operazioni militari di sterminio,
o «missioni di pacificazione». I «pacificati»
sarebbero i morti. Si prepara la terza guerra
contro l'Iraq. Come le due precedenti, i bombardieri
saranno «forze alleate» e i bombardati
«orde fanatiche al servizio del macellaio
di Baghdad». Gli aggressori lasceranno sul
suolo aggredito un rigagnolo di cadaveri civili,
che si chiameranno «danni collaterali».
Per spiegare questa prossima guerra, il presidente
Bush non dice «petrolio e armi la reclamano,
e il mio governo è un oleodotto e un arsenale».
E nemmeno dice, per spiegare il multimiliardario
progetto di militarizzazione dello spazio, «annetteremo
il cielo come abbiamo annesso il Texas».
Niente di tutto ciò. E' il mondo libero
che deve difendersi dalla minaccia terrorista,
qui in terra e laggiù in cielo, nonostante
il terrorismo abbia dimostrato di preferire i
coltelli da cucina ai missili. E nonostante gli
Stati uniti si oppongano, come anche l'Iraq, al
Tribunale penale internazionale appena nato per
castigare i crimini contro l'umanità.
Come regola generale, le parole del potere non
esprimono i suoi atti ma li camuffano, e in questo
non c'è nulla di nuovo. Oltre un secolo
fa, nella gloriosa battaglia di Omdurman, in Sudan,
in cui Winston Churchill fu cronista e soldato,
48 britannici sacrificarono la propria vita. Morirono
inoltre 27mila selvaggi. La corona britannica
portava avanti a sangue e fuoco la sua espansione
coloniale, e la giustificava dicendo: «Stiamo
civilizzando l'Africa per mezzo del commercio».
Non diceva «stiamo commercializzando l'Africa
per mezzo della civilizzazione». E nessuno
chiedeva agli africani un'opinione sull'argomento.
Ma noi abbiamo la fortuna di vivere nell'era dell'informazione,
e i giganti della comunicazione di massa amano
l'obiettività. Essi permettono che si esprima
anche il punto di vista del nemico. Durante la
guerra del Vietnam, tanto per fare un esempio,
il punto di vista del nemico ha occupato il tre
per cento delle notizie diffuse dai network Abc,
Cbs e Nbc.
La propaganda, confessa il Pentagono, costituisce
parte delle spese belliche. E la Casa Bianca ha
integrato i componenti del governo con l'esperta
di pubblicità Charlotte Beers, capace di
imporre sul mercato locale alcune marche di cibo
per cani e di riso per umani. Ora si occupa di
imporre sul mercato mondiale la crociata terrorista
contro il terrorismo. «Stiamo vendendo un
prodotto», spiega Colin Powell.
«Per non vedere la realtà, lo struzzo
infila la testa nel televisore», afferma
lo scrittore brasiliano Millor Fernandes. La macchina
detta gli ordini, la macchina sbalordisce.
Ma l'11 settembre dettavano ordini, e sbalordivano,
gli altoparlanti della seconda torre gemella di
New York, quando cominciò a scricchiolare.
Mentre la gente fuggiva volando giù dalle
scale, gli altoparlanti comandavano agli impiegati
di tornare ai loro posti di lavoro. Si salvò
chi non obbedì.
(copyright Ips/il manifesto)
|