Mahasweta Devi: La trilogia del seno

di Redazione - domenica 9 novembre 2008 - 9019 letture

Tre racconti brevi di densità straordinaria di Mahasweta Devi, nata a Dacca nel 1926, tra le più grandi scrittrici indiane, tradotta in tutto il mondo; un apparato critico di Gayatri Spivak, nata a Calcutta nel 1942 e che dal 1969 vive e insegna negli Stati uniti, esponente di spicco della critica femminista postcoloniale; una presentazione di Ambra Pirri, curatrice della nuova collana “Altrimondi” delle edizioni Filema, «che pubblicherà storia, storie e studi femministi con l’obiettivo di traversare almeno i confini disciplinari»: questo è Trilogia del seno [in originale Breast stories, storie di seno].

Le tre storie [Draupadi, Stanadayini – Colei che dà il seno, Choli ke pichhe – Dietro il corsetto] sono drammatiche, la scrittura è asciutta e sferzante, non solo contro una oppressione antica e nuova – quella inglese e quella della globalizzazione – ma verso quella stessa ipocrisia ammantata di attenzione e generosità del nostro mondo opulento [e di quel mondo di intellettuali indiani gentlemen al riparo dalle disgrazie della vita] verso i derelitti, i poveri, i perdenti. Verso le donne. Non c’è mai un filo di retorica, di ‘compiacimento’ e di complicità della scrittura: la Devi è una militante e un’attivista, ma non cerca scorciatoie.

I suoi personaggi ‘incarnano’ potenze antiche della tradizione religiosa, sono donne ‘assoggettate’ ma capaci di ribellarsi a costo del degrado, della pazzia, della vita. Non cercano compassione, anzi. Sono terribili proprio nell’esporre se stesse, il proprio corpo, il proprio seno – in un ‘rovesciamento’ di ruoli e di senso che la letteratura può permettere. Il seno, che attrae, allatta, nutre – i bambini nello svezzarsi e gli adulti nel fantasticare –, luogo proprio e unico della maternità e della femminilità, diventa orribile cratere, vuoto riempito di stracci, piaga purulenta, arma tremenda. Draupadi è la nomade-bandita-guerrigliera che viene catturata e data in pasto alla malvagità dei soldati: la massacrano, la deturpano, la violentano. Infine, la rivestono. Proprio nello strapparsi a morsi quella ‘stoffa’ che dovrebbe nascondere l’orribile verità accaduta, nell’esporsi al proprio nemico è l’ultima sua ribellione: il suo carceriere non capisce, impazzisce al fragore della risata-ululato di Draupadi.

Jashoda è stata benedetta dalla natura ad avere tanto latte, e questa «qualità» diventa tutta la sua vita, il modo di sostenere se stessa, il proprio uomo, i propri figli: Jashoda diventa «macchina riproduttiva», fa figli continuamente per avere tanto latte al proprio seno con cui allattare tutte le generazioni di figli della famiglia patriarcale di un grande proprietario e salvare così la silhouette delle loro donne. Ma questa «fortuna» sarà la sua rovina: un cancro al seno la ucciderà, sola, abbandonata da tutti: ciò che ha dato nutrimento, che è stato sfruttato senza criterio, senza rispetto, è adesso soltanto distruzione.

Gangor è una lavoratrice nomade la cui bellezza diventa l’ossessione di un fotografo che la paga per «salvare» il suo magnifico seno scattando immagini a ripetizione che andranno su tutte le riviste patinate del mondo. Upin, il giovane fotografo, è armato di buone intenzioni, nello sfascio che vede intorno a sé prova a «preservare» qualcosa, non rendendosi conto che proprio così scatenerà la bramosia collettiva a possederla. Gangor finirà male, ma anche Upin, pagando la sua mancanza di responsabilità.

Queste le tre storie di donne. Gli uomini? Sensali, ladruncoli, infami, bestie, carcerieri. Sfruttatori, papponi. Quando va bene, inseguono sogni di ‘riscatto’ senza rendersi conto di aggravare le cose: avrebbero potuto saperlo se l’avessero voluto, così dice la Devi, la cui scrittura non conosce requie e perdono. È lo stupro di un popolo.

L’apparato critico della Spivak aiuta molto a orientarsi nei riferimenti storici, religiosi, sociali e di costume della scrittura della Devi; peraltro, la Devi scrive in bengalese, e il «confronto» con l’inglese è il confronto con la lingua della colonizzazione [ne ha tenuto conto la Pirri, nel suo passaggio, che non dev’essere stato sempre facilissimo, all’italiano]. Ma, di più, la Spivak mette in gioco se stessa – fino a identificarsi in negativo nel ruolo del carceriere – così ‘lontana’ dalla drammaticità reale e quotidiana delle donne indiane e dalle ‘minime’ resistenze delle loro vite, mette in gioco quel ‘ruolo’ femminista occidentale che «vede» la ribellione solo in comportamenti occidentaleggianti simili ai propri.

(Lanfranco Caminiti)

Mahasweta Devi, La trilogia del seno, Filema, 2005

Fonte: http://www.antrodellasibilla.it/news_romanzi.htm


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