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A cinquant’anni da quel caldo luglio di Reggio Emilia

Altre volte la Costituzione è stata in pericolo. In tempi come quelli che stiamo vivendo, con sempre nuovi attacchi dietro ogni intervento parlamentare, necessita ricollegarsi al passato.

di Orazio Leotta - mercoledì 14 luglio 2010 - 2608 letture

Fausto Amodei, cantautore torinese, tra le sue canzoni più note, compose “Per i morti di Reggio Emilia”. Pezzo conosciutissimo ed ancor oggi eseguito in occasioni di manifestazioni operaie e studentesche. Perfino Milva e gli Stormy Six l’hanno ripresa e reinterpretata. Ma quale evento lo indusse a scrivere siffatto testo?

Luglio 1960: le forze dell’ordine aprono il fuoco sui manifestanti reggiani che protestavano contro il governo Tambroni, un governo monocolore democristiano con l’appoggio esterno dei neofascisti del Msi. Totale: cinque morti, ma altri cinque ce ne furono nei conseguenti moti, negli stessi giorni in Sicilia. Il Presidente del Consiglio Fernando Tambroni fu costretto a dimettersi.

Pochi giorni prima a Genova (città decorata medaglia d’oro della Resistenza), duri scontri di piazza avevano impedito lo svolgimento del Congresso del MSI, che provocatoriamente aveva scelto proprio Genova, come sede di congresso, così come avevano scelto Milano (altra città decorata con la medaglia d’oro) per il loro precedente congresso. Ciò aveva indebolito il governo Tambroni e i fatti di Reggio Emilia fecero il resto.

Chi scese in piazza quell’estate probabilmente salvò la Costituzione. Il governo stava puntando ad una svolta autoritaria, forti furono le preoccupazione negli ambienti più moderati, Moro in primis. La nascita dell’esecutivo Tambroni, fra l’altro, era stata piuttosto ambigua: egli proveniva dalla sinistra democratica, ma ben accettò l’appoggio del Msi, e ben presto si configurò pertanto un tentativo di rilanciare in Italia quel clima aspro da guerra fredda che aveva fino a quel momento impedito l’attuazione delle norme costituzionali.

Mursia, ha recentemente pubblicato un saggio dal titolo “Al tempo di Tambroni”, in cui il giornalista Annibale Paloscia ricorda come la minoranza all’interno del Msi, capeggiata da Giorgio Almirante, in rottura col leader Michelini, volle il congresso proprio a Genova, vicino al sacrario della Resistenza. Un gesto di chiara sfida dei neofascisti, raccolto dal ligure Sandro Pertini, che tenne un discorso accorato che scatenò quei disordini che ne impedirono lo svolgimento del congresso. La “rivincita” qualche giorno più tardi a Reggio Emilia: le forze dell’ordine sparano sui manifestanti, ma non si spara così sulla folla se non c’è un ordine dall’alto.

Altri morti vi furono in Sicilia, di cui uno a Licata, in cui si manifestava contro la disoccupazione (vi aveva aderito anche la giunta comunale democristiana). La Sicilia scese in piazza a Catania, Palermo e in altre città, probabilmente perché si sentiva esclusa dai benefici del boom economico. Ecco perché il 1960 costituisce uno spartiacque: unificando la questione meridionale all’antifascismo da un lato si fornì alla sinistra un mito, un cavallo di battaglia che poteva valere sia al Nord che al Sud, dall’altro poterono spiccare il volo quelle riforme sociali, quei mutamenti di costume e l’applicazione di quei diritti civili, fino ad allora tenuti in naftalina.


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