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Le elezioni palestinesi del 25 gennaio 2006

Dal nostro corrispondente in Palestina, notizie di prima mano sulle elezioni del 25 gennaio 2006.

di Roberto Castronovo - mercoledì 19 aprile 2006 - 5116 letture

Il processo elettorale palestinese, cominciato con l’apertura ufficiale della campagna elettorale il 3 gennaio 2006, segna una importante svolta nella storia del popolo palestinese dal punto di vista internazionale, ma soprattutto da quello interno. Nel lungo e tortuoso percorso verso l’indipendenza, tuttora non pienamente realizzata la autorità nazionale palestinese (Anp) e’ stata finora rappresentata esclusivamente dalle forze politiche laiche del paese, in larga parte legate al partito Fatah, l’erede politico dell’Olp di Yasser Arafat. Ma dopo dieci anni di potere, la credibilita’ di questo partito, dei suoi esponenti e la sua capacita’ di fare qualcosa per il popolo palestinese, e’ venuta meno. Il cambiamento importante che segna lo scenario politico di queste elezioni e’ senza dubbio, il coinvolgimento del partito islamico Hamas, e la sua crescente forza dovuta al vuoto politico lasciato dalla vecchia classe dirigente. Un altro aspetto importante di queste elezioni e’ il carattere democratico e popolare con cui si sono svolte, che segna un passo in avanti nella politica palestinese. Prima di passare alla valutazione finale sulla base dei risultati, e le mie considerazioni personali sullo svolgimento, in quanto osservatore internazionale, una breve spiegazione del funzionamento del sistema elettorale palestinese. Queste informazioni tratte dai documenti ufficiali della Commissione Elettorale Centrale, sono reperibili in lingua inglese, al sito www.election.ps .

Il nuovo sistema elettorale palestinese

Nel giugno del 2005, Il Consiglio Legislativo Palestinese ( CLP ) ha approvato dei nuovi emendamenti alla vecchia legge elettorale, secondo la quale si sono svolte le elzioni del 1996. La nuova legge adottata si basa su un sistema elettorale misto, che unisce assieme il sistema maggioritario a quello di rappresentanza proporzionale. II 132 seggi del CLP sono equamente divisi tra i due sistemi. : 66 seggi sono eletti su base distrettuale e i restanti 66 su base nazionale. I distretti elettorali sono 16; 5 nella striscia di Gaza e 11 nella West Bank. Per ogni distretto sono riservati un numero di seggi, stabiliti in base alla popolazione, per un totale di 66 appunto; questi sono rispettivamente : Gerusalemme 6 - Jenin 4 - Tulkarem 3 - Tubas 1 - Nablus 6 - Qalaililya 2 - Safit 1 - Ramallah e al-Bireh 5 - Jericho 1 - Betlemme 4 - Hebron 9 - Nord Gaza 5 - Gaza città 8 - Deir al Balah 3 - Khan Yunis 5 - Rafah 3

I seggi vengono assegnate ai candidati che ottengono il massimo numero di voti nel loro distretto. Tra i 66 seggi del sistema maggioritario, sei sono riservati a candidati Cristiani, nei distretti dove risiedono in numero considerevole; questi distretti sono : Ramallah (1) Gerusalemme (2) Betlemme ( 2) Gaza città (1).

Per quanto riguarda invece il sistema proporzionale, i candidati sono eleggibili su tutto il territorio nazionale. Con questo sistema vengono eletti i restanti 66 seggi, che vengono assegnati in proporzione al numero di voti ottenuti da ogni lista; con questo sistema non si sfidano i singoli candidati ma le liste, che per ottenere un seggio devono raggiungere il minimo del 2%. Una minima presenza di donne e’ assicurata secondo il seguente sistema : Il numero di donne presenti nelle liste deve essere di minimo una tra i primi tre nomi della lista, una altra tra i seguenti quattro, ed una altra ancora, ogni cinque seguenti, fino alla fine della lista . Ogni lista può includere dai 7 a 66 nominativi.

Lo svolgimento delle elezioni

Le elezioni si sono svolte durante una unica giornata, il 25 Gennaio, la campagna elettorale e’ terminata ( almeno ufficialmente ) 24 ore prima. I votanti esprimevano le loro preferenze in due schede, una su base distrettuale e l’altra in comune su base internazionale. Le operazioni di voto sono cominciate alle sette di mattina e i seggi sono stati chiusi alle sette di pomeriggio, eccetto per Gerusalemme dove le votazioni sono state prolungate per due ore. Un cenno particolare su Gerusalemme : La citta’ che e’ sotto occupazione israeliana dal 1967, e’ per la maggior parte popolata da arabi palestinesi, che hanno il diritto di voto come il resto della popolazione. Questo diritto pero’ data la particolare situazione della citta’ e’ a discrezione delle autorita’ israeliane che solo due settimane prima dello svolgimento delle elezioni hanno autorizzato la popolazione araba di Gerusalemme a votare presso alcuni uffici postali della citta’, sotto il controllo della autorita’ israeliana. Dagli uffici postali israeliani, i box con i voti, alla fine delle operazioni, sono stati inviati nella West Bank, per essere li conteggiati dalla autorita’ palestinese. Da notare che con questa soluzione accordata dal governo israeliano per i palestinesi di Gerusalemme e’ stato come votare all’estero. Nel resto della West Bank le votazioni si sono svolte per la maggior parte in scuole, dove erano allestiti i seggi, e senza nessun particolare problema l’eccezione di Gaza, probabilmente per la grande affluenza alle urne ( la maggiore di tutta la Palestina 81% di votanti sugli aventi diritto al voto ). I votanti dovevano recarsi nei seggi dove erano stati registrati, e controllare che il proprio nome comparisse sulla lista affissa fuori dal seggio, registrarsi con un documento di identita’, tingersi il dito indice della mano sinistra con dell’inchiostro, per assicurare che ogniuno votasse una sola volta ed effettuare la preferenza dietro delle cabine ( piu’ o meno segrete ) allestite in ogni seggio. A Gerusalemme le votazioni che si sono svolte negli uffici postali, sono risultate meno organizzate, e data la assenza di cabine, la segretezza del voto non e’ stata garantita ( responsabilita’ israeliana). Sia per l’esperienza personale, sia sulla base dei resoconti degli altri osservatori, e sulla base della relazione finale degli osservatori della comunita’ europea , posso affremare che queste elezioni si sono svolte nella massima tranquillita’ e tuttosommato nel rispetto della democraticita’ della funzione. Alcune anomalie sono state osservate da tutti, desrivo in breve quelle di cui sono stato testimone personalmente :

- Costante campagna elettorale fuori ( ma talvolta anche dentro i seggi ) durante le votazioni, mentre la legge elettorale stabilisce che la campagna deve cessare 24 ore prima dello svolgimento delle votazioni

- poca cura per la segretezza del voto :

- molte schede venivano consegnate aperte ai funzionari addetti che non facevano a meno di leggere i voti

- sopratutto nella zona di Gerusalemme non esistevano cabine di voto cosicche’ le persone votavano sotto gli occhi di tutti

- molte donne erano accompagnate dai mariti alle cabine elettorali

- spesso sopratutto nel caso di analfabeti o disabili, nella azione di voto erano presenti oltre agli ufficiali addetti a questo servizio anche familiari, o presunti tali del votante

- fuori dai seggi elettorali i rappresentanti dei vari partiti raccoglievano i nomi di chi entrava a votare, chiedendo espressamente i dati anagrafici.

Questi personaggi, erano dotati anche di liste degli elettori dei ogni seggio e controllavano chi andava a votare. Il tutto si svolgeva come se fosse una normale cosa, tanto che chiedendo ad uno di loro a quale scopo facessero cio’ mi e’ stato risposto tranquillamente ( ma anche un po ingenuamente ) che poche ore prima della chiusura dei seggi esponenti dei vari partiti sarebbero andati a prendere a casa chi non aveva ancora votato, "INVITANDOLI" a farlo. Nonostante questi aspetti irregolari secondo la nostra concezione di democrazia e liberta’ di scelta, indubbiamente, sul piano piu’ generale, rispetto al passato e al resto dei paesi arabi, queste elezioni hanno mostrato un alto sentimento di democrazia nel popolo palestinese. Infine, se si considera che l’affluenza alle urne, e’ stat pari al 76 % degli aventi diritto al voto, e la si compara con la percentuale che si ha durante le elezioni in alcuni paesi occidentali ( Italia, Stati Uniti ) c’e’ da mettere in discussione il reale significato di democrazia. Queste elezioni sotto questi punti di vista sono state la dimostrazione di partecipazione attiva alla vita politica del paese, da parte del popolo palestinese, e dalla liberta’ di scelta, incondizionata dalle forze politiche; un importante passo verso la democrazia in questo paese insomma.

Un’ultima nota finale sulla questione Gerusalemme. Verso sera, i Box con i voti dei palestinesi di Gerusalemme sono stati consegnati al check point di al-Ram, il primo della west bank venendo da Gerusalemme, dove inizia la zona B a controllo misto ( militare israeliano amministrativo palestinese ), ed io abitando vicino vi ho assistito. Ho avuto la sensazione di assistere ad un importante atto, il clima ufficiale e festoso contemporaneamente, e sorprendente il rispetto degli ufficiali postali e dei militari israeliani del check point nei confronti degli addetti palestinesi. Con me c’erano tanti altri osservatori internazionali, dopo una decina di minuti quando i box erano stati scaricati dai furgoncini blindati della posta israeliana e caricati sui taxi mezzi scassati presi in affitto dalla autorita’ palestinese, il tutto si e’ risolto con una calorosa e incoraggiante stretta di mano tra arabi e israeliani. Confesso di aver provato una forte emozione.

I risultati

Si e’ cominciato ad avere una chiara idea dei risultati fin da subito : una schiacciante vittoria di Hamas, che si poteva percepire sia dalla gente che andava a votare e che spesso non faceva segreto di cio’, sia dai primi exit pool. Nonostante cio’ i sostenitori di Fatah hanno inizialmente festeggiato credendo di aver avuto un buon risultato, e cio’ ha provocato nella serata del 25 e nel pomeriggio del 26 degli scontri con i sostenitori di Hamas, nella zona di Gaza e di Ramallah. Fortunatamente nulla di grave o complicato. Ieri i risultati finali; inaspettatamente Hamas ha conquistato 76 seggi su 132 in totale. A seguire uno schema dei risultati su base distrettuale prima, dove Hamas ha avuto maggior successo, ed i numeri dei risultati su base nazionale. Questi numeri sono stati calcolati sul 95 % delle schede elettorali, ma dimostrano con una leggera approssimazione l’effetiva divisione dei seggi : Distretto/tot. seggi risultati :

Gerusalemme 6 4 Hamas..........2 Cristiani

Jenin 4 2 Hamas.........2 Fatah

Tulkarem 3 2 Hamas ..............1 Indipendenti

Tubas 1 1 Hamas

Nablus 6 5 Hamas ...............1 Fatah

Qalqililya 2 2 Fatah

Ramallah e al-Bireh 5 4 Hamas................ 1 Cristiani Fatah

Safit 1 1 Hamas

Jericho 1 1 Fatah

Betlemme 4 2 Hamas ..............2 Quota Cristiana

Hebron 9 9 Hamas

Nord Gaza 5 5 Hamas

Gaza città 8 5 Hamas...............3 Indipendenti

Deir al Balah 3 2 Hamas..............1 Fatah

Khan Yunis 5 4 Hamas.............. 1 fatah

Rafah 3 3 Fatah

Su base proporzionale sono stati assegnati ad al Fatah 32 seggi, che con i 47 conquistati al maggioritario fanno 79 seggi. La maggioranza assoluta in parlamento.


Commenti :

Le reazioni a questa schiacciante vittoria del movimento Hamas sono state svariate e contrastanti. Dal punto di vosta interno al-Fatah ha reagito in modo differente, mentre Abu Mazen in quanto presidente dell’Anp ha dovuto accettare la scelta del popolo palestinese, dichiarandosi rispettoso della scelta del popolo Palestinese, e fiducioso nella possibilita’ di un accordo di governo con il movimento islamico, Abu Abbas si e’ dimesso, e la base el partito ha reagito in modo violento e nervoso al risultato, provocando alcuni scontri sia a Gaza che a Ramallah nei giorni seguenti le elezioni. Sul piano internazionale, si e’ assistito ad un crescere della preoccupazione, che dai governi e’ passsata ai media. Israele si e’ dichiarato contrario ad ogni dialogo con l’organizzazione terroristica, e persino l’Unione Europea ha messo le mani avanti sugli aiuti economici alla nuova Autorita’ nazionale. Queste posizioni di certo non hanno aiutato il dialogo tra Hamas e gli interlocutori intrenazionali; il movimento islamico e’ apparso inoltre indifferente alla minaccia di ritiro dei finanziamenti da parte degli Stati uniti. Nella opinione comune questa minaccia non avra’ un gran peso sul piano interno, in quanto da un lato si ritiene che buona parte dei finanziamenti degli Stati Uniti non servissero comunque a coprire le spese pubbliche della Anp ma si perdevano sotto la amministrazione di Fatah nelle maglie della corruzione, e in secondo luogo Hamas e’ sicura di ricevere fondi dalle varie e potenti associazioni del mondo islamico. Il dibattito quindi si e’ spostato su un punto piu’ complesso, che via di dialogo trovare con Israele; su questo piano le incertezze crescono, perche’ anche se Hamas rinunciasse ufficialmente alle posizione estremiste contro lo stato di Israele che si possono riassumere nella totale negazione dello stato sionista e nella decisa volonta’ di distruggerlo, non sarebbe facile trovare una base negoziale di partenza. Tuttavia queste sono solo le previsioni piu’ ovvie che si possano fare, e credo che non rispecchino del tutto la situazione. Questo e’ un paese abituato a rapidi cambiamenti, e nella leadership di Hamas non mancano i moderati. E’ sicuro che entrando a fare parte del governo, anche con la schiacciante maggioranza con cui si ritrova, Hamas deve fare i conti con molte parti piu’ moderate, e contrarie al terrorismo come strumento politico, e non solo con l’occidente stesso. Gli elettori che gli hanno affidato la fiducia, si aspettano una soluzione ai problemi del popolo palestinese, non una complicazione di essi, cosi’ il movimento islamico dovra’ fare i conti anche con questo. Si sta cercando in questi giorni una trattativa con Fatah, ma pare che i rapporti tra i due partiti si vadano sempre piu’ inasprendo e Hamas e’ pronta ad assumersi la responsabilita’ di creare un nuovo governo, e ai membri di Fatah non rimane che preoccuparsi per la loro totale estromissione dal potere. Questa estromissione d’altronde e’ stato il piu’ chiaro segnale che il popolo palestinese ha voluto esprimere con queste elezioni, stanco di dieci anni di malgoverno e corruzione in cui la classe politica al potere ha dimostrato di essere la peggiore che il popolo palestinese potesse avere. Nonostante la dura situazione dei palestinesi e la costante occupazione dell’esercito israeliano, questi signori della politica dietro l’ombra del mitico Abu Ammar hanno pensato solamente ad arricchirsi e a crearsi dei propri piccoli stati fatti di reti clientelari, struttura tipica delle soceta’ arabe e mediorientali. Con queste elezioni il popolo palestinese non solo ha espresso la piena coscenza di questa situazione, ma anche la netta volonta’ di cambiamento; per questo queste elezioni a mio parere hanno avuto un enorme significato democratico, e non solo per la tranquillita’ con cui si sono svolte. Queste considerazioni che sfuggono alla opinione pubblica occidentale inebetita dallo spettro del terrorismo, secondo me potrebbero essere la chiave per spingere il movimento Hamas ad una maggiore apertura verso l’occidente e ad una rinuncia degli slogan terroristici e della pratica del terrorismo, che d’altronde non fa altro che essere controproducente, contro uno stato che ha uno dei piu’ potenti e organizzati eserciti del mondo, e servizi segreti tra i piu’ capillari ed efficienti. Anzi Israele, come fa ormai da tempo non aspetta altro che un nuovo attacco terroristico, per rafforzare il suo giogo militare sui Territori, occupati nel 1967 e nel 1973, e per espandere il suo controllo sulla terra dei palestinesi. Bisognerebbe che da un lato i governi occidentali comprendessero che la alta percentuale dei palestinesi che ha scelto Hamas non sono tutti terroristi e non vogliono tutti la distruzione di israele, e dall’altro che i media si occupassero piu’ approfonditamente della questione invece di ripetere in coro le preoccupazioni per il terrorismo all’unisono con i governi occidentali. D’altronde non e’ accusando di terrorismo Hamas che si puo’ indurre questo movimento dalle forti caratteristiche fondamentaliste ad aprirsi ad un cambiamento. All’interno di Israele la situazione non e’ neanche tanto chiara. La soceta’ israeliana che e’ fortemente divisa e frammentata in merito ai rapporti con i palestinesi, sembra aver reagito alle elezioni in due modi differenti e contrastanti. Nelle parole di Dan Rubestein, imporntante editorialista di Ha’aretz, in tutta Israele c’e’ una grande confusione, ma in questa confusione., come ha spiegato Rubestein in una conferenza presso una assocaizione pacifista di Gerusalemme Est tenutasi due giorni dopo le elezioni, si possono intravedere due differenti e opposte reazioni della soceta’israeliana; una positiva e una negativa. Rubestein crede fomdamentalmente che la pericolosita’ di Hamas per la sicurezza di Israele non e’ tanto importante tra gli aspetti negativi considerando l’apparato militare e di intelligence che lo difende, ma gli aspetti negativi per lui si faranno sentire sopratutto all’interno della soceta’ palestinese, sia dal punto di vista delle liberta’ personali ( ad esempio la questio delle donne ), sia dal punto di vista della credibilita’ internazionale, e inoltre si dimostrava dispiaciuto che l’unica difesa per un popolo oppresso fosse divenuta la ideologia islamica. Dal punto di vista ottimistico Rubestein crede che con l’assumersi la responsabilita’ di governo, la leaserhip di Hamas sara’ piu’ attenta ai propri passi, sia sul piano interno, nel confronto con Fatah che nei rapporti con il mondo arabo. I paesi arabi, Egitto e Giordania in prima fila, si sentono infatti minacciati da questa vittoria del movimento islamista, in quanto si trovano ad affrontare al loro interno una forte opposizione islamista. Per il giornalista israeliano inoltre e’ preferibile un governo palestinese unitario di maggioranza, e forte al suo interno che un governo frammentato e debole. Rubestein inoltre non sembrava troppo preoccupato che una leadership islamica possa mettere in difficolta’ le relazioni con lo stato di Israele, e portava l’esempio delle relazioni tra Israele e Turchia, le difficolta’ ovviamente vengono se Hamas non rinuncia ai suoi toni duri. Insomma ci sarebberero delle motivazioni anche all’interno di Israele per non essere del tutto negativi, e di sicuro nelle parole del giornalista c’era piu’ una volonta’ di speranza che di disfattismo, e chissa’ che la speranza non sia come al solito l’ultima a morire.


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