L’affair F-35 e il futuro dell’esercito italiano

Possiamo ipotizzare un modello di difesa realmente utile all’Italia?
L’acquisto del caccia multiruolo di 5^ generazione F-35 da parte dell’esercito e marina italiani ha aperto una forte polemica. Oserei dire molto accesa. Ci si riferisce all’opportunità di avvalersi dei servizi di un veicolo il cui costo è lievitato da 62 mln di dollari ad esemplare agli attuali 112,4. Aspetto di non trascurabile importanza se la stessa marina americana ha certificato che il costo medio di un aereo da combattimento imbarcato su una portaerei è del 30/40% in meno rispetto all’ F-35!
Va da sé che di critiche l’F-35 ne ha ricevuto parecchie. Ne voglio ricordare due fra le più rimarchevoli. Una commissione del Congresso Americano ha stilato qualche mese fa un accurato report sul nuovo caccia che dovrebbe entrare in funzione fra due anni. Orbene in questo documento sono state elencate ben 745 criticità fondamentali. Il che lascia interdetti. La Rand Corporation – una società di analisi strategiche – ha apertamente criticato il veicolo in quanto inferiore sotto molti punti di vista rispetto al russo Su-35. Non sarebbe in grado virare, né di salire in quote, né di accelerare! Ma allora a che serve?
Capirete che l’Italia rischia di fare un acquisto errato. Prima di tutto, perché è un aereo troppo costoso in riferimento agli standard internazionali. Secondariamente, un aereo del genere potrebbe causare enormi problemi di operatività al nostro esercito. L’Italia si è messa in un bel pasticcio partecipando al progetto F-35. Un progetto – ricordiamolo – che ci pone al di fuori dell’Europa in quanto abbiamo rifiutato la compartecipazione a simili iniziative in ambito europeo. Tuttavia la notizia secondo cui il Ministero della Difesa ha deciso di ridurre di almeno quaranta unità lo stock complessivo di F-35 da acquistare è emblematica della delicatezza della questione. Speriamo che ciò rappresenti un primo passo per ripensare del tutto a un progetto che presenta molte incognite.
L’affair F-35 – di non facile soluzione e spinoso – dovrebbe farci riflettere su un altro tema. Forse ancora più strategico. Ossia, quale modello di esercito vogliamo avere? A mio avviso acquistare armamenti senza avere un modello di esercito a cui riferirsi è azione per lo meno improvvida. L’acquisto di armamenti deve venire un momento dopo aver delineato un vademecum operativo affidabile, attualizzato e plausibile. Se non si segue questo leit-motiv si rischia uno sperpero impressionate di soldi pubblici. Mi pare un ragionamento estremamente lineare e logico.
Andiamo per ordine.
Secondo uno studio del Council of Foreign Relations di New York gli scenari di guerra più probabili nel medio-lungo termine saranno il Medio Oriente e l’Asia in generale. Noterete che tale scenario geopolitico fa diminuire – e di molto – l’importanza strategica dell’Europa. E di conseguenza della Nato. Pertanto, quale ruolo assumerà l’Europa in riferimento al “topic” difesa? Come si ricollocherà rispetto ad un’impostazione – quella della Nato – che soffre di un’impostazione molto ancorata al passato? Dalla risoluzione di tale questione ci sarà più chiaro comprendere che modello assegnare al nostro esercito.
Forniamo alcune ipotesi di lavoro.
Cosa farà la Russia?
La politica estera russa sembra essere meno collaborativa con l’Europa rispetto agli anni passati. Il confine “caldo” ritornerà ad essere quello abbattuto nel 1989? Dovremo aspettarci un nuovo equilibrio del terrore? In quest’ambito il nostro paese ospiterà ancora delle testate atomiche? La suddetta opzione prevede che all’esercito italiano si assegnino compiti di ricognizione aerea e marina.
Il terrorismo islamico attenterà alla sicurezza europea?
E’ una domanda da porsi con particolare urgenza. Fino ad ora i regimi dittatoriali dell’Africa magrebina avevano svolto un ruolo di protezione nei confronti dell’Europa. Mentre al giorno d’oggi in paesi come Tunisia, Libia e Egitto esistono condizioni di scarsissima sicurezza che stanno invogliando la composita galassia del terrorismo arabo e islamico ad essere maggiormente “vicina” al nostro continente. In quest’ottica l’esercito italiano assolverà funzioni di informazione e lotta contro il terrorismo.
L’Europa si occuperà solo di difendere il proprio spazio?
In sintesi, il nostro continente avrà una visione sui fatti mondiali “chiusa” e poco interessata a ciò che accade al di fuori della sua regione. La sua mission sarà – quindi – esclusivamente la sicurezza interna europea. In tal senso si potrebbe prospettare un esercito europeo che si muove a guisa di polizia internazionale. Con corpi di terra modulati su funzioni di bonifica del terreno e con aviazione e marina plasmati su modalità di rapido intervento e intercettazione.
L’Europa svolgerà un ruolo in sinergia operativa con l’Onu?
Qui sarà necessario costruire un esercito europeo organizzato e provvisto di tutti quei requisiti operativi indispensabili. L’ambito non sarà più soltanto quello rappresentato da missioni internazionali di peacekeeping, bensì di esercito che ha come spazio di manovra il mondo intero. Da qui l’esigenza di specializzare ogni struttura affinché assolva al meglio il “caveat” di pertinenza. Speculare è definire che tipologia operativa avranno i vari eserciti nazionali che andranno a costituire l’esercito europeo.
La Nato diverrà il braccio militare dell’Unione Europea?
Questa potrebbe essere una prospettiva di particolare interesse. Visto che il nemico per cui fu creata non esiste più, il nuovo orientamento strategico della Nato dovrebbe essere posizionato su una delle architravi su cui costruire quella integrazione politica che da tanto tempo si aspetta. Anche in questo ambito i paesi costituenti dovrebbero avere degli incarichi ben specifici in modo da avere un esercito europeo molto specializzato e altamente operativo.
Gli scenari descritti fino ad ora – seppur in maniera didascalica – dovrebbero permetterci di delineare il modello che l’esercito italiano intende assumere negli anni avvenire. Il modello deve far riferimento in primo luogo al livello internazionale. E’ lo scenario in cui dobbiamo operare e conoscerlo in ogni suo risvolto è il miglior viatico per costruire un esercito utile. A seconda di come si evolverà la situazione a livello geopolitico sarà allora necessario riflettere sulle seguenti “issues”:
1. Settori operativi da privilegiare
(ad esempio, orientare il nostro esercito sulle truppe di terra rispetto a quelle di marina);
2. Tipologia di soldato da adottare
(ad esempio, sviluppare una figura professionale orientata sulla guerra tecnologica o sulla c.d. "guerra sporca");
3. Armamenti da avere in dotazione
(ad esempio, avere un armamento orientato sulla difesa invece di uno atto all’attacco);
4. Piattaforme strategiche da implementare
(ovverossia, organizzare un certo tipo di attività mediante l’interdisciplinarietà di settori, soldati e armamenti).
La riforma dell’esercito presentata qualche giorno fa dal Ministro De Paola sembra un incoraggiante primo passo in quanto elimina sacche di improduttività (troppi sotto-ufficiali per pochi soldati) e strutture davvero inutili (caserme scarsamente utilizzate). Un esercito meno espressione di organigrammi e maggiormente in linea con un’effettiva specializzazione operativa. Un paese non può non avere un esercito. E’ una delle dotazioni strumentali classiche di ogni stato. Tuttavia, deve essere utile agli interessi geopolitici del paese. Interessi che una politica “attiva” ha l’obbligo di elaborare. La diatriba fra guerrafondai e pacifisti è un esercizio di sterile retorica. C’è necessità di pensare e agire su questo tema e non di portare acqua al mulino dei vari estremismi.
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