Io sono questo
La democrazia nella Costituzione italiana non è un obiettivo da raggiungere, essendo stata materializzata con specifiche istituzioni, bensì lo strumento idoneo a promuovere primariamente “le condizioni che rendano effettivo” il diritto al lavoro (L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. -art.1) e il “pieno sviluppo della persona umana” (art.3).
Il pensionamento mi ha consentito di riprendere in mano il filo delle speranze liceali di potere addivenire a una società più solidale e democratica. Speranze nate dagli insegnamenti valoriali di Giorgio La Pira e di Igino Giordani. Nonostante fossero rimaste chiuse nel cassetto per tutto il corso dell’attività professionale, sorprendentemente, non si erano avvizzite. Forse perché alimentate dall’avere fornito, per prossimità di obiettivi, il mio consenso critico, mai fideistico, alle correnti o riformiste o progressiste dell’area politica meno conservatrice. Sempre senza nutrire preclusioni di ordine morale e ideologico, e tantomeno religioso, verso chi aderisce a altre aree dell’arco parlamentare. Avendole, per l’appunto, trovate ancora in fermentazione, quando da pensionato le ho tirate fuori, mi sono riproposto di capire quali fossero state le criticità che invece ne avevano afflosciata la naturale lievitazione nella società. Non escludendo, magari, che stessi incappando in una rivisitazione utopica degli insegnamenti del professor La Pira.
Il quesito non me lo ero posto prima, mi riferisco all’ultimo decennio di attività professionale, malgrado avessi già accumulato molte riserve sia sulla coerenza dei leader delle suddette correnti agli indirizzi politici dichiarati, sia sugli attesi risultati concreti. Tanto da essere stato costretto ad abbandonare la loro area. Fu allora che mi ritrovai nel limbo di chi vota scheda bianca (nulla) e alla ricerca di un Caronte che mi traghettasse a una sponda politica coerente e affidabile.
Per superare il disagio di questa levitazione elettorale ho iniziato, appena avutone il tempo, una sorta di analisi introspettiva circa la fondatezza storica delle convinzioni politiche e sociali del mio essere stato di parte, e del mio essere attuale. La inizio con lo studio della Costituzione Italiana, allora conosciuta da orecchiante (come quasi tutti), che mi porta a riconoscerla quale riferimento cardinale della nostra democrazia, per il singolare modo con cui in essa è declinata e finalizzata. Non come obiettivo da raggiungere, essendo stata di fatto materializzata con le specifiche strutture istituzionali, bensì come lo strumento idoneo a promuovere primariamente “le condizioni che rendano effettivo” il diritto al lavoro (L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. -art.1) e il “pieno sviluppo della persona umana” (art.3).
In essa il lavoro è un valore primario, quale fattore fondamentale dell’indipendenza dell’uomo dagli elementari bisogni vitali e dai condizionamenti relazionali, e quindi quale strumento della sua autonomia di scelta politica. Nella fattispecie la Costituzione chiama ogni cittadino a un obiettivo assoluto che per essere raggiunto abbisogna di un impegno corale. Ciò marca la particolare declinazione della nostra democrazia, che la rende differente da quelle delle ideologie socialcomunista e liberali, peraltro politicamente in contrapposizione estrema fra loro. Inoltre in essa ho trovato anche la conferma della piena legittimità delle mie speranze giovanili.
A seguire vi ho associato un riordino laico (personale) degli eventi bellici e para bellici del contesto in cui è nata, distinguendo i fatti significativi da quelli contingenti o strumentali. Attraverso questo percorso sono arrivato alla conclusione che la Costituzione nasce sulle ceneri del regime fascista e che affonda le sue radici culturali nel meglio dell’ideologia liberaldemocratica, di quella socialista avanzata, della dottrina sociale cristiana e della tradizione italiana circa i valori della famiglia. E’ su cotanto patrimonio di valori che uomini d’indiscutibile cultura, dotati di un’ampia visione politica e di un lungimirante pensiero, costruirono l’organico progetto dello stato e della società della Repubblica italiana da realizzare, quale espressione compiuta di una nuova ideologia. Alla fine ho tracciato un mio stato dell’arte (socio-politico-economico-democratico) del paese e per valutarlo l’ho confrontato con quello ricavabile dai principi, indirizzi e fini costituzionali, riscontrandone la sostanziale discordanza.
Da questa esperienza ho tratto anche l’insegnamento generale che la realtà del nostro paese è sempre la risultante del concorso delle determinazioni maturate in ciascuno dei tre seguenti piani politici. Il primo di questi piani, decisamente il più importante, è quello geopolitico, dove si esprime la volontà egemone sul mondo delle superpotenze economiche e militari – vedi quelle vincitrici del II° conflitto mondiale, paradigmaticamente capaci di disegnare i confini fisici dei paesi sconfitti (i nostri compresi!) e non, nonché il loro tipo di ordinamento statuale, gli indirizzi ideologici dei loro partiti -. Il secondo piano è quello dei partiti, dove si esprime la volontà delle loro classi dirigenti, caratterizzata dal porsi in subalternità ai potentati del primo e dall’autopromuoversi verso il piano successivo, per riscuoterne comunque voti e legittimazioni. Il terzo è il piano sociale, dove la volontà dei cittadini si esprime con l’operosità profusa nelle istituzioni intermedie e periferiche, nel terziario, nel volontariato, nel mondo della produzione e del lavoro in genere. Sono questi cittadini che con il loro impegno sostengono la propria famiglia e con essa, di fatto, anche il paese.
Analizzando comparativamente questi tre piani, con l’occhio del “fisiopatologo della democrazia costituzionale” (del quale mi fregio per celia, ma che di fatto impronta le mie analisi), ho visto che la classe politica postbellica ha voluto misconoscere la sua sudditanza (conseguenziale) alle superpotenze su di noi vincitrici nel II° conflitto mondiale; che decide di non riscattarsi da questa servitù puntando alla realizzazione sostanziale, oltre che formale, dei solidi valori democratici sanciti nella Costituzione; che la camuffa con le seguenti liturgie autoreferenziali. La prima è di taglio epico-risorgimentale, nella misura in cui rivendica il pieno co-merito d’avere abbattuto il regime fascista e in cui afferma una paternità naturale antifascista del progetto costituzionale (laddove ha origini genitoriali ben diverse). La seconda è il tentativo di esorcizzare ogni diretta responsabilità storica del passato fascismo, condividendo le ideologie delle due superpotenze che lo avevano abbattuto, nonostante siano altra cosa dalla nostra ideologia costituzionale. La terza è quella di operare con una prassi para-costituzionale per ovviare agli impegni etici costituzionali e di accreditarla all’opinione pubblica quale «costituzione materiale». Vale a dire più efficace di quella nativa, perché plasmata e plasmabile, oggettivamente (!!), sui bisogni contingenti della politica.
Nel frattempo ho visto che, dopo la ricostruzione postbellica, tutta la classe politica rinuncia a crearsi una visione di paese-impresa. Infatti, non elaborerà mai, né mai lo presenterà al paese, il dovuto piano programmatico di sviluppo e di crescita, basato su una piattaforma tecnica, redatta da esperti multidisciplinari. Laddove ha sviluppato la più conveniente concezione di paese-condominio, contraddistinta da due semplici strategie politiche: manutenere lo stabile-paese e attuare provvedimenti tamponi (mai strutturali) a favore dei condomini -singole categorie lavorative, ristretti settori produttivi e sociali-, per riscuoterne i voti di legittimazione democratica. Così facendo provvedimenti e beneficiati cambiano a ruota con i cambi del colore politico dei governi, mentre il paese resta sempre fermo al palo.
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