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Io mi presento politicamente.

La democrazia nella Costituzione italiana non è un obiettivo da raggiungere, essendo stata materializzata con specifiche istituzioni, bensì lo strumento idoneo a promuovere primariamente “le condizioni che rendano effettivo” il diritto al lavoro (L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. -art.1) e il “pieno sviluppo della persona umana” (art.3).

di Gaetano Sgalambro - lunedì 14 novembre 2022 - 2533 letture

Il pensionamento mi ha consentito di riprendere in mano il filo delle speranze liceali di potere addivenire a una società più solidale e democratica. Speranze nate dall’assimilazione dei valori cristiani e sociali professati da Giorgio La Pira e da Igino Giordani (Il Pensiero sociale della Chiesa e La rivoluzione cattolica, ...) e mai spente. In piena maturità elettorale le avevo affidate alle cure dell’area politica progressista, cambiandone partito, uno dopo l’altro, per delusione. Fino alla decisione estrema di non delegare più la mia rappresentanza politica ad alcuno di essi. Respinsi decisamente il suggerimento di affidarla comunque al partito che fosse il meno peggio, per non disattendere il dovere costituzionale del voto. Ritenevo che nella fattispecie disconoscesse strumentalmente lo spirito critico del voto, che ne è la vera anima democratica; che fosse illogico confermare la delega di rappresentanza a un partito del quale non si ha più fiducia, per poi riscoprirsi anche corresponsabile in solido della sua pessima politica; che presentando scheda bianca (annullata!) esercitavo sia il diritto di voto, sia il diritto di giudizio negativo sugli insufficienti programmi dei partiti, nel pieno rispetto dello spirito costituzionale, ma dal risultato negativo.

Correva la fine degli anni Ottanta. Da allora, da orfano politico, stanziale nel limbo elettorale(1), sono in attesa di un Caronte che sappia traghettarmi a una sponda politica affidabile. Alla ripresa in mano di questo filo, mi sono posto il problema di studiare le criticità della loro mancata lievitazione politica, stando attendo a non incorrere in una rivisitazione utopica. Ho iniziato, quindi, una sorta di analisi retro-introspettiva circa la fondatezza storica delle convinzioni politiche e sociali del mio essere stato di parte e la sostenibilità del mio essere presente. A pietra miliare di questo percorso ho posto la Costituzione Italiana, quale solidale cardine dell’ordinamento dello Stato. In particolare ho usato i suoi iniziali “Principi Generali”, quali parametri di rivalutazione deontologica degli eventi trascorsi e recenti della politica per me performanti, considerandoli lo scrigno dei valori inviolabili e degli inderogabili fini ad essi concatenati, posti a fondamento del suo impianto architetturale. Inoltre, per un fare più approfondito ho dovuto intraprenderne lo studio su come essa fosse nata e sulle radici dei suoi valori fondanti, che per sommi capi di seguito riporto per chi vorrà conoscermi.

Anticipo che l’analisi, scevra di presunzioni di certezza assoluta e di esaustività storica, mi ha ben presto rivelato la fondatezza costituzionale delle speranze liceali e le ragioni tutte politiche della loro criticità. Quest’ultime ab origine erano imputabili alle storiche contingenze postbelliche di un paese uscito sconfitto dalla guerra e costretto a privilegiare i valori di bandiera dei paesi vincitori, piuttosto che quelli posti a fondamento della propria Costituzione. Purtroppo, anche dopo, i partiti hanno continuato a misconoscerli solo per mere scelte di opportunità politica.

 Per prima cosa registro, alla luce dei fatti storici determinanti, che la Costituzione nacque subito dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, esplosa per interessi geopolitici tra le superpotenze egemoniche -quelle dell’Asse (Germania e Giappone) contro quelle atlantiche (USA, URSS, UK)-; all’inizio della “guerra fredda” esplosa tra le stesse potenze vincitrici, sotto forma di conflitti ideologici e sociali, tra capitalismo liberale, comunismo proletario e cristianesimo, già giunti al punto di mutuo innesco dalla “Rivoluzione d’ottobre” (1917). Intanto in Italia si dovevano raccogliere i cocci della disastrosa partecipazione alla guerra del governo fascista: distruzione fisica di città e d’industrie, crollo dell’autorevolezza d’istituzioni pubbliche e smarrimento della coscienza identitaria nazionale. Di questo smarrimento si erano registrati già entro la Resistenza gli epifenomeni della “guerra civile”, della "guerra di classe” e della “guerra patriottica” (Claudio Pavone).

 Fortunosamente dal disastro istituzionale dello stato monarchico-fascista, in uno con gli specifici interessi egemoni degli USA (le cui truppe di occupazione stazionavano ancora nel nostro paese) relativi alla allocazione atlantica dell’Italia, pattuita dai tre grandi a Yalta, si dischiuse ai partiti la soglia verso la neoformazione di una repubblica costituzionale di tipo liberale. Della quale non preesisteva alcun retaggio storico, se non quello del risorgimentale pensiero mazziniano.

 In questo contesto i partiti della Resistenza avviarono le procedure istituzionali per il passaggio referendario dallo stato monarchico a quello repubblicano e nello stesso tempo quelle per la elezione dei candidati all’Assemblea costituente, deputata a redigere e approvare il solidale patto costitutivo del nuovo Stato. Questo secondo obiettivo, però, costituiva un’ardua impresa: al di là del comune antifascismo, mancavano di retaggio culturale e di progettualità politico-istituzionale minimamente compatibili. E per l’appunto, si erano ritrovati attivamente coinvolti nell’esplosione della “guerra fredda” tra le due superpotenze ( USA e URSS) che li patrocinavano. Coinvolgimento che contrassegnerà indelebilmente con toni di aspro confronto la nostra politica interna quasi fossero un ereditario carattere antropologico.

 Rebus sic stantibus, si sarebbe solo potuto fantasticare che restasse la possibilità che qualcuno super partes scrivesse la costituzione a tavolino per tutti. E invece ciò avvenne nella sede naturale, l’Assemblea costituente. Vi provvidero, operando in simbiosi sinergica e con metodo scientifico, i pochi e veri intellettuali di estrazioni politiche diverse, ciascuno però dotato di autonomia di pensiero (!), presenti nella “Commissione dei 75” deputata a redigere la Costituzione per conto dell’Assemblea. Essi procedettero alla raccolta e alla disamina critica sia della più significativa bibliografia d’interesse, sia delle correnti di pensiero delle principali forze politiche attive sul terreno nazionale: la cattolica, la laico-liberare e la socialcomunista. Alla fine conclusero che due valori fondamentali erano comuni, sia pure in modi e tempi diversi, a tutte le correnti di pensiero esaminate: l’uomo libero e, in chiave a esso strettamente complementare, la solidarietà umana e sociale. Di questi due valori, e facendo tesoro della evoluzione storica dei diritti naturali e civili dell’uomo, dell’amara esperienza dei due conflitti mondiali, oltreché dei valori morali tradizionali, ne fecero le fondamenta essenziali di una costituzione democratica, strettamente antropocentrica. In essa la democrazia venne concepita come una moneta con due facce vicendevolmente complementari e sinergiche: la piena libertà individuale dell’uomo, una, e la sovranità del popolo, quale espressione di reciproca solidarietà tra tutti gli uomini liberi, l’altra.

 Già nella etimologia dei sostantivi usati nei due commi dell’articolo 1 degli iniziali “Principi Generali” –“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”- sono condensati i valori fondanti della nuova “res pubblica”, la quale ha la sua ragione identitaria nell’esercizio di una democrazia libera da condizionamenti esistenziali, ove il popolo possa sovranamente (effettivamente) determinare il suo futuro. Nei successivi articoli il diritto alla libertà del cittadino è declinato in tutte le sue accezioni: libertà da qualsiasi genere e tipo di condizionamento; libertà di sviluppare appieno la propria cultura e professionalità, di esprimere i propri convincimenti e, specificatamente, di potere effettuare scelte politiche consapevoli sul futuro proprio e della società; libertà per difendere la Costituzione da manomissioni del potere. Inoltre a completamento del corredo valoriale della democrazia erano acclusi anche gli altri diritti naturali dell’uomo. La concretezza reale della sovranità del popolo sta nei seguenti tre cardini: nel considerare inalienabili tutti i diritti assunti, in quanto sono diritti naturali; nell’avere introdotto il nuovo diritto al lavoro incardinato alla democrazia, perché senza lavoro nella moderna società civile nessun uomo potrebbe esercitare liberamente la propria volontà di scelta politica; nell’avere incardinato, a loro volta, tutti questi diritti nell’ordinamento costituzionale, rendendoli giuridicamente inderogabili e immutabili, invece di lasciarli alla discrezionalità del legislatore ordinario. Talché per i partiti rappresentano precisi obiettivi programmatici, e non semplici indirizzi ideologici, e per ciascun cittadino l’altra faccia dei suoi stessi diritti: precetti da osservare per solidale reciprocità, che così diviene la nervatura della democrazia costituzionale.

 Tuttavia, fin dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, la Costituzione Italiana rappresentò politicamente un’ideologia tutta da scoprire, specie nel contesto poco alfabetizzato ove fu calata. Non potette essere culturalmente intesa quale organica sintesi evolutiva delle ideologie storiche professate dai partiti, mutuate da quelle degli USA e dell’URSS, che erano tese alla piena libertà individuale dell’uomo, la prima, e al suo raggiungimento, in un contesto di uguaglianza sociale, lungo il solidale percorso di lotta di classe, la seconda. Laddove in essa la piena libertà dell’uomo è dipanata in norme per gli organi legislativi e decisionali istituiti a sua esplicazione e funge da fondamento alla primaria sovranità del popolo. Quest’ultima si sublima nell’esercizio della facoltà inderogabile (!) del libero cittadino di scegliere il progetto programmatico di legislatura più convincente sulla crescita del futuro proprio e della collettività, tra quelli presentati dai partiti in campagna elettorale (in esecuzione del dettato dell’articolo 49 di determinare la politica nazionale). L’iniziale compito maieutico di fare conoscere tutti i valori della progetto costituzionale, affinché su di questi potesse essere ricostruita la nuova coscienza identitaria nazionale, fu affidato dalla stessa Costituzione ai partiti. I partiti, però, non andarono al di là dal fare conoscere le norme tecniche di funzionamento dei suoi organi democratici e quelle elettive degli organi del potere legislativo (le due camere parlamentari), ai quali spetta poi il compito di eleggere il governo. Di fatto sottacendo che i deputati a tali organi dovessero essere eletti solo in ragione della loro capacità di sapere realizzare i corrispondenti progetti programmatici di legislatura. E’ un dato incontrovertibile che non abbiano mai ottemperato a questo obbligo, così come non abbiano mai avviato l’indispensabile campagna di alfabetizzazione del preciso patrimonio dei valori sostanziali della nuova Costituzione.

Ne sono derivate diverse conseguenze gravemente limitanti la vera democrazia costituzionale: la sovranità del popolo e la piena libertà del cittadino svuotate del loro primario diritto di esercitare la scelta consapevole del futuro della collettività e personale; una fievole coscienza identitaria nazionale perché politicamente priva di ogni autorevolezza decisionale e destinata a determinare la faglia del sistema-paese, tra Stato e partiti che lo governano e la società civile; l’impossibilità dei cittadini di poterla difendere dalla rappresaglie dei sui stessi rappresentanti al potere, per ignoranza del suo effettivo valore, nonché degli strumenti predisposti ad hoc; governi saliti al potere privi di organici progetti programmatici di legislatura, i quali in occasione delle annuali sessioni economico-finanziarie del parlamento incappano nella necessità di approntare provvedimenti (e non strategie) economici di basso profilo e di corto respiro, con grave pregiudizio sia dell’effettiva crescita del paese che della loro stessa stabilità al potere (la loro durata docet!).

Così i partiti, sempre sventolando il vessillo chi della democrazia liberale e chi il vessillo della democrazia socialcomunista, all’ombra dei quali si sono potuti ritagliare a mano un ampio spazio di autoreferenzialità, sono andati avanti. Hanno gestito, inseguendole e mai prevenendole, le tante problematiche della complessa quotidianità del paese, assumendo provvedimenti risolutivi pro die, al fine di preservarne lo status quo e soprattutto di ricavarne consensi elettorali. E, giorno dopo giorno, hanno sviluppato e adottato, nessuno escluso, una succedanea “Costituzione Materiale”, di fatto (e non di diritto) aggiornabile a discrezione dei partiti della maggioranza parlamentare del momento.

A questo punto mi pare ragionevole concludere che tutto il corso storico della Costituzione Italiana risulta condizionato da quello degli interessi geopolitici delle superpotenze egemoniche, vincitrici del II° conflitto mondiale: da quando ne favorirono la nascita, per subito dopo, limitarne la diffusa conoscenza e la piena praticabilità politica, fino ad oggi. Quando stante l’immutata stratificazione geopolitica, nessun nostro partito ha mai voluto issare sul proprio pennone il vessillo dell’”ideologia costituzionale”. Questo è il peccato originale, mai emendato, che continuiamo a scontare in termini di carente coscienza identitaria di paese-sistema, contrassegnata da scarsa fiducia dei cittadini nello stato e nel velleitario spirito di solidarietà professato dai partiti, i quali, ben lungi dal superare la lotta di classe, secondo il dettato costituzionale, l’hanno degenerata frammentandola in una lotta tra corporazioni e tra consociativismi.


(1)- In verità alle elezioni nazionali del 2018 ho votato il M5S (vedi su f.b. il mio post “Io voto populista”): non per il suo programma di legislatura che era velleitario, ma per i meriti guadagnati nell’avere saputo condurre una campagna elettorale di radicale contestazione politica in maniera pacifica, a costo zero e al di fuori dei circuiti mediatici controllati dagli altri partiti, quale non si era mai vista prima. E aggiungo: il fatto che sia stata coronata dalla conquista della maggioranza relativa in parlamento è la dimostrazione di come sia sempre possibile per una minoranza politica superare lo strapotere dei partiti già in parlamento con l’impegno e l’intelligenza.


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