Documenti: Riscoprire il nucleare?
Dopo Chernobyl, in Italia, il referendum lo ha messo al bando. Ma ora c’è chi vorrebbe fare un’inversione a U.
«Ritorno del nucleare in Italia? E perché no?». Adolfo Urso, viceministro delle Attività produttive e responsabile del Commercio estero, non teme di infrangere il tabù. E dichiara a Panorama: «È paradossale che in Europa ci sia un’isola, l’Italia, circondata da ben 12 centrali nucleari che lavorano per lei. Abbiamo i reattori atomici a un soffio dai confini. Senza contare che il nucleare è una forma di energia pulita in linea coi parametri di Kyoto».
Esorcizzata dal novembre ’87, quando il governo Goria dispose una moratoria di 5 anni in ossequio ai referendum promossi sull’onda del disastro di Chernobyl, la questione nucleare sta tornando alla ribalta anche per effetto del caro petrolio. L’addio alla più economica energia atomica è stato per l’economia italiana un onere che si è aggiunto a quello della denuclearizzazione: un conto totale, secondo dati del ministero del Tesoro, di 120 mila miliardi di lire. Una cifra della quale una frazione (165 milioni di euro l’anno fino al 2021 per lo smantellamento degli impianti), viene pagata direttamente dagli utenti con un apposita voce sulla bolletta elettrica.
«Oggi riaprire la strada atomica», osserva Paolo Fornaciari, già direttore del ramo atomico dell’Enel e presidente del Cirn (Comitato italiano rilancio nucleare) «significa aumentare la nostra capacità produttiva a costi contenuti».
Nell’87 le centrali nucleari italiane erano 4: Caorso e Trino Vercellese, ancora utilizzabili, più Latina e Garigliano, già arrivate al termine del ciclo; e a queste stavano per aggiungersi Trino 2 e Montalto di Castro, poi riconvertita a gas.
Secondo Alceste Rilli, ingegnere della Sogin che ha «ereditato» le centrali, «se si deciderà di tornare al nucleare, la prima cosa da fare sarà riattivare Trino Vercellese e Caorso. Poi si dovranno mettere in cantiere una decina di impianti convenzionali (tipo Caorso) per far fronte ai 30-40 mila megawatt di cui abbiamo bisogno». Sia Westinghouse sia Edf, due grandi società straniere, hanno presentato al ministero delle Attività produttive progetti in merito che si possono costruire in meno di 2 anni.
Ma anche la tecnologia italiana è competitiva, soprattutto da quando la riforma Marzano ha dato il via libera alle imprese italiane, Ansaldo in testa, per costruire e gestire centrali nucleari all’estero. Una recente indagine dell’Ue sull’accettabilità sociale del nucleare registra per l’Italia una percentuale del 54,5 fra coloro che «sono fortemente d’accordo».
Certo il ritorno al nucleare sarebbe destinato a incontrare forti resistenze politiche. Anche se, il 30 luglio scorso, Montecitorio ha approvato con una maggioranza trasversale comprendente persino verdi e rifondazionisti, un ordine del giorno presentato dai forzisti Francesco Zama ed Eugenio Viale, per impegnare il governo a «considerare la possibilità di riattivazione delle due centrali di Caorso e Trino Vercellese. E a riconsiderare la convenienza di un programma nucleare ai fini di calmierare i prezzi dell’energia elettrica che in Italia sono una volta e mezzo superiori a quelli della media europea». Nemmeno i referendum dell’87 sarebbero un ostacolo insormontabile: come hanno dimostrato i casi del finanziamento pubblico dei partiti e del ministero dell’Agricoltura, entrambi cancellati da referendum e poi «resuscitati» per legge alcuni anni dopo.
Fonte: articolo "Riscoprire il nucleare?" di Gianni Lannes, 15/10/2004, Panorama.it
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NON E’ QUESTA DEL NUCLEARE LA STRADA DA SEGUIRE. SI DEVE PARTIRE DAL RISPARMIO ENERGETICO E DELLE RISORSE AMBIENTALI, PER PROSEGUIRE POI CON IL RECUPERO DELLE MATERIE PRIME DI CUI SONO IN PARTE FORMATI I NOSTRI RIFIUTI. POI INCENTIVARE CON SUSSIDI A FONDO PERDUTO L’INSTALLAZIONE DI PANNELLI FOTOVOLTAICI PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA E ACQUA CALDA SU OGNI ABITAZIONE CIVILE E INDUSTRIALE. INOLTRE OBBLIGARE LE CASE COSTRUTTRICI DI AUTOMOBILI A DOTARLE SEMPRE DI IMPIANTI A GAS, IN AFFIANCAMENTO AL TRADIZIONALE IMPIANTO A BENZINA.