Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Mafie |

Processo alla Sicilia

Pippo Fava attraverso le sue inchieste ci mostra la sua Sicilia bella ed affascinante ma anche corrotta, vile, angosciata e violenta. Il suo Processo alla Sicilia è uno di quei testi essenziali per conoscere il nostro passato e per meglio comprendere il presente...

di Marina Mongiovì - martedì 29 agosto 2006 - 5840 letture

Ci sono libri necessari. Preziose testimonianze sulla nostra storia, sui vizi e le virtù della nostra terra. Pippo Fava attraverso le sue inchieste ci mostra la sua Sicilia bella ed affascinante ma anche corrotta, vile, angosciata e violenta. Il suo Processo alla Sicilia, volume che contiene le trentacinque inchieste, pubblicate sul quotidiano “La Sicilia”, nell’estate-autunno del 1966, è uno di quei testi essenziali per conoscere il nostro passato e per meglio comprendere il presente.

Fava guarda all’“oscura e tragica” anima del Sud, attraverso uno sguardo che abbraccia “gli inganni, i trucchi, le viltà, i delitti, le paure, i sogni”, tutto quel che insomma forma la reale anima di un Paese. La sua è un’analisi minuziosa che è del giornalista ma anche dello scrittore. La scrittura di Pippo Fava è, infatti, spesso sospesa tra cronaca e letteratura; leggendo i suoi articoli vi si trovano aggettivi illuminanti, concise ed efficaci descrizioni di luoghi e di volti, sfumature che si fissano nella memoria. Assistiamo, dunque, ad un armonico incontro tra due scritture e due sensibilità diverse. Un abile uso della lingua ed uno sguardo libero che hanno lo scopo di raccontare le verità che si celano dietro fatti e facce di una terra complessa.

Fava viaggia attraverso quel piccolo continente che è la sua terra e ci racconta di città che lentamente muoiono come Messina, incapaci di trattenere la propria ricchezza come Enna, immobili come Caltagirone, drammatiche come Palma di Montechiaro, sanguinose come Corleone, devastate come Palermo o corrotte e spavalde come Catania. Sono gli anni in cui a Palma di Montechiaro i tassi di mortalità infantile sono i più alti d’Europa; i mitici anni Sessanta che per molti centri siciliani non arrivarono mai e che videro, piuttosto, perdere le forze migliori, i migliaia di giovani che emigravano nelle ricche città del Nord o dell’estero. Fava ci mostra il fallito sogno siciliano, quello dell’industria, che fece della Sicilia un polo chimico subendo, ancora una volta, un destino di colonia. Gela, Priolo, Augusta, Milazzo città del Sud che incontravano il meccanico e preciso mondo industriale senza infrastrutture, senza la possibilità di trasformare in ricchezza il proprio territorio. Le campagne abbandonate, la paradossale attività nelle miniere di zolfo fanno anch’esse parte di questo scenario sottolineando la storica incapacità ad essere società, l’inettitudine al cambiamento e l’inadeguatezza a creare nuove condizioni di sviluppo e di valorizzazione del territorio.

Ma il Processo alla Sicilia non può prescindere dal fenomeno mafioso. Pippo Fava ci racconta la storia di Corleone, la città dal nome spavaldo, la “pietra tombale”, regno di Luciano Liggio descritto, come tanti altri uomini di mafia, nelle sue movenze, nei suoi difetti fisici, nella sua normalità quasi a sottolineare la banalità di tanta ferocia. Fava ci mostra, attraverso una scrittura fluida ed incisiva, le evoluzioni, le trame, le alleanze di potere, le logiche che muovono il grande sistema criminale siciliano. Uno stato nello Stato che nasce dall’assenza di quest’ultimo e da una condizione di miseria.

Ma in questo percorso Fava ci mostra anche i volti di una Sicilia bellissima, arcaica e lontana come Mongiuffi o Taormina che è la frontiera, il sogno, l’illusione. E poi la bellezza, immobile e funerea, di Ragusa, l’ordine e la mesta tranquillità di Enna e lo splendido mare di Mazara del Vallo o la frenesia di Vittoria. I variopinti volti delle città siciliane descritte attraverso i sapori del cibo, le folle di passanti che invadono le strade, le bellezze architettoniche, la malinconia e la solitudine.

Pippo Fava va, comunque, ben oltre la cronaca e la soggettiva interpretazione dei fatti, dei volti e dei luoghi incontrati nel corso del suo viaggio nell’anima del Sud. Nella sua scrittura si inserisce anche la dimensione della lotta. Una ribellione profonda che diventa speranza e ragione di vita. Si ribellano i giovani che vanno a cercare fortuna altrove e si ribella chi lotta contro il sistema mafioso, “il siciliano” dunque “viene avanti lottando ogni giorno” e Fava non manca di sottolinearlo nei suoi articoli come nei suoi romanzi e nelle sue opere teatrali, inserendosi così in una dimensione del tutto personale all’interno del panorama intellettuale siciliano.

La testimonianza ancora attuale di Pippo Fava attraverso un Processo che non conosce sensazionalismi o folklore giornalistico, cerca di andare dritto alla verità delle cose, cerca di analizzare la società siciliana fatta di violenza e corruzione, isolamento e bellezza. Nel 1980 viene pubblicato il volume “I Siciliani” che, a distanza di quindici anni, riprende le stesse tematiche del Processo alla Sicilia. Anche questo volume è un esempio di testimonianza, di impegno civile e di grande scrittura così ricca di immagini e di vita da rimanere incancellabile nella memoria. Testi fondamentali per chi si avvicina al giornalismo e per chi vuole conoscere meglio la Sicilia ed i siciliani.


- Ci sono 1 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Processo alla Sicilia (che ha ancora la coda di paglia)
4 settembre 2006

L’unità d’Italia coincise con la fine del futuro della Sicilia.

Difatti, la ricchezza all’epoca dell’agricoltura non era appannaggio del nord, che anzi era poverissimo.
 (il contrario di quello che si è creduto finora)

Come era giusto, i soldi e l’accumulo dell’oro dovuto alla cultura spartana degli antichi siciliani, erano il biglietto da visita per entrare nella fase della "nostra" era industriale.

Oggi, per fare il liutaio (faccio un esempio) ci vogliono almeno 300.000 euro.

In pratica, il liutaio è un’immagine in apparenza romantica, ma invece si tratta di ingegneria..

Dicevo che alla costituzione del regno d’Italia, seguì il versamento delle ricchezze nelle casse sabaude delle ricchezze in oro dei siciliani, e in cambio furono erogate banconote..

In queto sito è arrivato un rapporto dettagliato di un ricercatore, in cui ci sono i numeri di tale vicenda.

Mi pare si tratti di versamento di 450.000.000 milioni di monete d’oro da parte siciliana (provenienti dal regno delle 2 Sicilie, ma conteggiate per regione) a fronte di pochi milioni di monete di tutto l’altro territorio.

I siciliani, siamo uguali agli altri popoli, ma se ci pungono nel punto giusto, noi moriamo..