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Lo sapevi che in Arabia Saudita vengono condannati a morte anche i minorenni?

Urgente: due minorenni a rischio di impiccagione in Arabia Saudita

di Amnesty - venerdì 10 novembre 2023 - 744 letture

Le autorità avevano promesso di non farlo più, ma la Corte suprema ha segretamente confermato le condanne a morte di due minorenni al momento del reato. Si tratta di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad, entrambi meno che diciottenni all’epoca dei presunti reati e condannati per aver partecipato a proteste antigovernative. I loro processi si sono basati principalmente su confessioni estorte con la tortura.

Abdullah al-Derazi aveva 17 anni al momento del reato. Dopo l’arresto, avvenuto nel 2014, è stato tenuto in custodia cautelare per tre anni senza potersi rivolgere a un avvocato. Ha dichiarato di essere stato picchiato e torturato.

Jalal Labbad aveva tra i 15 e i 17 anni al momento del presunto reato e anche lui è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche. Ha dichiarato di aver trascorso “nove mesi e mezzo in isolamento”, di aver subito “pestaggi” e “scariche elettriche su tutto il mio corpo, in particolare sui miei genitali”. I due ragazzi non possono più fare appello e potrebbero essere messi a morte in ogni momento.

Amnesty International dispone di informazioni attendibili secondo le quali la Corte suprema ha segretamente confermato le esecuzioni capitali di Abdullah al-Derazi e Jalal Labbad senza avvisare le loro famiglie o i loro avvocati. In assenza di informazioni chiare riguardanti i processi in Arabia Saudita, soprattutto nei casi di pena di morte, le famiglie scoprono la sorte dei loro cari solo attraverso i media. Il 16 ottobre 2023 il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, extragiudiziali o arbitrarie ha espresso preoccupazione per l’imminente esecuzione di Abdullah Al-Derazi. I due ragazzi potrebbero essere messi a morte non appena il Re ratificherà le loro condanne a morte.

La Commissione saudita per i diritti umani ha dichiarato ad Amnesty International in una lettera del maggio 2023 che “l’applicazione della pena di morte sui minori per i crimini ta’zir è stata completamente abolita”. I crimini ta’zir, per cui i due giovani sono stati condannati, sono reati per i quali la legge islamica non prevede la pena di morte. L’applicazione della pena di morte su persone minorenni all’epoca del crimine per cui sono state condannate è strettamente proibita dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, che l’Arabia Saudita ha ratificato.

L’Arabia Saudita è uno dei principali paesi esecutori al mondo. Tra gennaio e ottobre 2023 le autorità saudite hanno già eseguito 112 condanne a morte. Nel 2022 invece le esecuzioni erano state 196, il numero più alto che Amnesty International aveva registrato nel paese negli ultimi 30 anni.

Abdullah al-Derazi aveva 17 anni al momento del reato. È stato arrestato il 27 agosto 2014 e condannato alla pena di morte dal Tribunale penale speciale il 20 febbraio 2018 poiché coinvolto nelle “proteste ad al-Qatif, per aver cantato slogan contro lo Stato e per aver causato caos”, “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica … che mirava a distruggere la sicurezza interna”, e “per aver attaccato ufficiali delle sicurezza con bombe Molotov”. Il ragazzo ha dichiarato alla corte che è stato tenuto in custodia cautelare per tre anni, durante i quali non ha avuto accesso alla rappresentanza legale. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International, ha detto al giudice: “Chiedo una valutazione medica indipendente per dimostrare le torture a cui sono stato sottoposto… i verbali dell’ospedale di Dammam, dimostrano che continuo ad essere curato a causa delle percosse sulle orecchie subite durante l’interrogatorio”. Il tribunale non ha indagato su queste accuse di tortura e l’8 agosto 2022 una Corte d’appello ha confermato la sua condanna a morte.

Jalal Labbad aveva tra i 15 e i 17 anni al momento del reato. È stato arrestato il 23 febbraio 2019 e condannato a morte dal Tribunale penale speciale il 31 Luglio 2022 per “aver partecipato a proteste e rivolte, essersi ribellato all’ordine pubblico, e per aver partecipato alla promozione e al canto di slogan che insultavano e incitavano contro i governanti durante i funerali di persone uccise dal servizio di sicurezza” e “per aver partecipato ad una rete di comunicazione terroristica che aveva l’obiettivo di danneggiare lo Stato attraverso: il rapimento e l’omicidio di un giudice, spari ad un ufficiale della sicurezza…e lancio di bombe Molotov a ufficiali della sicurezza”. Secondo gli atti giudiziari esaminati da Amnesty International, ha dichiarato alla corte di essere stato detenuto in custodia cautelare per quasi tre anni e sottoposto a torture fisiche e psicologiche tra cui “nove mesi e mezzo in isolamento in una stanza piccola e stretta”, “pestaggi” e “scariche elettriche su tutto il mio corpo, in particolare sui miei genitali”. Ha asserito, inoltre, che gli era stato negato ripetutamente un trattamento medico. Il 4 ottobre 2022 una Corte d’appello ha confermato la condanna di Labbad.

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