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Lettera aperta sul problema “Scienze della comunicazione " a Catania

Molti studenti si sono riuniti attorno a questo testo che riassume in forma minimale tutto il disagio della classe 14 proponendo altresì i possibili rimedi...

di Salvatore Mica - mercoledì 5 luglio 2006 - 11755 letture

La seguente lettera proviene rigorosamente dal basso. Molti studenti si sono riuniti attorno a questo testo che riassume in forma minimale tutto il disagio della classe 14 proponendo altresì i possibili rimedi.

Chi vi scrive denuncia da anni, con tutti i mezzi possibili, la catastrofica situazione in cui vivono gli studenti di scienze della comunicazione a Catania. I numeri parlano da soli: si evince dal seguente testo che le triennali assieme arrivano a contare più di 5000 iscritti, mentre le specialistiche non raggiungono i 100 studenti. Credo sia un chiaro segno della loro fortissima insoddisfazione, della loro delusione e della loro rabbia.

Chi vuol continuare a studiare in questo campo “sul serio” sale a Roma, Siena, Urbino, Milano...L’alternativa proposta a Catania consiste in una mera ripetizione di insegnamenti linguistici / letterari già previsti dai Cdl triennali. Spero che tutto ciò possa finire, spero di poter finalmente studiare materie professionalizzanti, spero di poter ricevere rispetto dalle istituzioni, spero di poter contare su una reale competenza del corpo docente, spero di poter contare su una serietà di fondo che è certamente mancata nella progettazione dei Cdl attualmente in vigore e spero di poter avere tutto questo in Sicilia, evitando di rinverdire antichi sentieri di emigrazione che, nel 2007, credevo ormai appartenere al passato.

Salvatore Mica

Al Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, prof. Enrico Iachello Al Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, prof. Nunzio Famoso Al Preside della Facoltà di Scienze Politiche, prof. Giuseppe Vecchio Ai Presidenti dei corsi di laurea afferenti alla classe 14

Oggetto: Lettera aperta su Scienze della Comunicazione a Catania

La cosiddetta “riforma Moratti”, come è noto, ha favorito la creazione, in tutte le facoltà, di una moltitudine di nuovi corsi di laurea, soprattutto triennali. Un proliferare di indirizzi che tuttavia ha troppo spesso dato vita solo a una varietà di denominazioni senza che a ciò sia seguita anche una altrettanto amplia varietà dell’offerta formativa.

Nemmeno l’Ateneo catanese, in sintonia con le altre università italiane, è sfuggito a questo fenomeno: i corsi di laurea attivati sono oggi 226 a fronte dei 75 del 2000 (dati Miur e Nucleo di Valutazione, Università di Catania) In questo complesso panorama, la Classe 14 rappresenta un fenomeno nel fenomeno: nell’ Anno Accademico 1999/2000 i corsi di Scienze della Comunicazione erano 16 in tutta Italia. Oggi sono 95, distribuiti tra 60 Atenei.

A Catania ne sono attivati tre: Scienze della Comunicazione (Facoltà di Lettere e Filosofia), Scienze per la Comunicazione Internazionale (Facoltà di Lingue e Letterature Straniere), Comunicazione e Relazioni Pubbliche (Facoltà di Scienze Politiche). A queste si aggiungono due corsi di laurea specialistica: Culture e linguaggi per la comunicazione (Lettere) e Lingue straniere per la comunicazione internazionale (Lingue). Vi sono iscritti in totale 5.103 studenti su una popolazione universitaria pari a 62.410 studenti, così distribuiti:

  2503 studenti a Scienze della Comunicazione
  2199 studenti a Scienze per la Comunicazione Internazionale
  309 studenti a Comunicazione e Relazioni Pubbliche
  34 in Lingue straniere per la comunicazione internazionale
  58 in Culture e linguaggi per la comunicazione

Poiché l’Università italiana versa ancora in uno stato di forte incertezza, la cui onda, come un terremoto, raggiunge e colpisce gli studenti; poiché la ridefinizione delle nuove classi di laurea tarda ad arrivare (il neo ministro Fabio Mussi ha infatti ritirato lo scorso 22 maggio il decreto in questione emanato dal precedente ministro Moratti nel mese di aprile, salvo dichiarare che “tutte le classi di laurea partiranno dal 2007”); poiché, concretamente, nel nostro Ateneo la situazione dei corsi di laurea di comunicazione è aggravata dai seguenti fattori:

a) un numero eccessivo di iscritti ai corsi, che aggrava il rapporto studente/docente,

b) lo scarso numero di discipline caratterizzanti nei piani di studio, tra l’altro perlopiù affidate a docenti a contratto,

c) bassa qualità dei corsi di laurea specialistica, che si presentano come un frappé mal riuscito delle corrispondenti lauree di I livello (Scienze Politiche non ha nemmeno attivato la specialistica);

Data la gravità della situazione sopra descritta, poniamo le seguenti domande ai Presidi delle tre Facoltà che hanno attivato corsi di laurea della Classe 14:

1. Siete dell’avviso che per migliorare la qualità dell’offerta didattica per le lauree triennali e/o biennali in Scienze della Comunicazione sia utile intraprendere un nuovo percorso che permetta di sfruttare meglio le potenzialità proprie di ciascuna Facoltà, istituendo corsi di laurea interfacoltà (come - ad esempio - avviene con successo nell’Ateneo di Pisa)?

2. Pensate che sia opportuno - dato l’alto numero di iscritti e le difficoltà logistiche che ciò comporta - istituire il numero programmato per i corsi di Scienze della Comunicazione?

3. Credete opportuno allargare l’organico docente, avvalendosi delle professionalità emergenti nel settore della comunicazione (Pr, marketing, web content management, designer, informatici, psicologi e sociologi della comunicazione ecc...)?

4. Quali misure stanno prendendo la Vostre Facoltà o Corsi di laurea affinché gli insegnamenti già attivi nei settori disciplinari della comunicazione e affini non siano coperti unicamente da professori a contratto? Ritenete utile programmare concorsi per l’inserimento di docenti di ruolo che afferiscano a questi nuovi settori disciplinari?

Certi di una Vostra risposta, porgiamo distinti saluti.

Redazione Step1 Soqquadro.org Salvatore Angemi (Consigliere Facoltà di lingue e letterature straniere) Massimo Caponetto (Consigliere Facoltà di lettere e filosofia) Mario Cicala (Senato Accademico, studente Facoltà di lettere e filosofia) Sergio De Luca (Consigliere Facoltà di lettere e filosofia) Fulvio Firrito (Consigliere Facoltà di lettere e filosofia) Salvo Mica (studente Facoltà di lettere) Dario Moscato (Consigliere Facoltà di scienze politiche) Giuseppe Murabito (studente Facoltà di lettere) Vincenzo Pappalardo (Consigliere Facoltà di scienze politiche) Roberto Pirruccio (studente Facoltà di lettere)

Catania, lì 29 - 06 - 2006


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Lettera aperta sul problema “Scienze della comunicazione " a Catania
10 luglio 2006, di : Tano Rizza

La replica di Iachello nel fourm di Lettere di Catania

Innanzitutto desidero ringraziarvi per l’invito a partecipare alla discussione su una problematica importante come quelle del futuro e delle prospettive dei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. Come però ho avuto modo di far presente in precedenti occasioni, ritengo che l’attuale momento di fluidità istituzionale e progettuale riguardo alla riforma delle tabelle delle classi di laurea da parte degli organi di governo ministeriale non consenta di instaurare discorsi organici e risolutivi: non appena la situazione sarà definita (mi auguro presto) si potrà riflettere in modo più concreto. Né, indipendentemente da ciò, mi pare opportuno assumere posizioni nette senza aver prima consultato gli organi competenti della struttura didattica relativa a Scienze della comunicazione afferente alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Queste considerazioni preliminari non implicano o non sottintendono in ogni caso la volontà di sottrarsi a una riflessione comune sullo stato esistente delle cose, tutt’altro. Per quel che riguarda il corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione afferente alla nostra Facoltà, vorrei sottolineare che in questo quinquennio di vita è venuto assumendo una sua forte specificità culturale e formativa legata proprio alle scienze umanistiche e ai saperi fondanti della facoltà di Lettere da cui promana (storia, filologia, letteratura, teatro e spettacolo, musica, filosofia, linguistica, storia dell’arte), e non solo alla tipologia delle risorse umane disponibili, peraltro riarticolate ove necessario attraverso insegnamenti a contratto con esperti del mondo della comunicazione. Tale specificità, si traduce in conoscenze e competenze ben definite (capacità analitiche e abilità progettuali e creative) che distinguono i nostri laureati e trovano rispondenza nell’alto e crescente numero di iscritti. Sarebbe pertanto improduttivo stemperare simili valenze identitarie procedendo a frettolose e furovianti integrazioni con altri percorsi formativi legati ad altrettanto utili e motivate specificità culturali, che rispondono ad altre esigenze e istanze culturali e didattiche, come quelle della comunicazione internazionale o delle pubbliche relazioni. Inoltre, su un piano più pragmatico, va tenuto presente che un’omologazione delle strutture didattiche verrebbe a creare ulteriori difficoltà logistiche e appesantirebbe il disagio organizzativo, considerato anche il numero degli studenti (né mi sembrano proponibili nella fase attuale restrizioni alle iscrizioni). Diverso è il discorso per la laurea specialistica: come ha opportunamente sottolineato il Preside Vecchio, il minor numero di studenti e la poliedricità della formazione di base degli iscritti, non tutti necessariamente provenienti dalle classe 14, possono rendere utile la ricerca di una convergenza più ampia che vada al di là dei meri ambiti umanistici per aprirsi agli ambiti scientifico-tecnologico (penso alla Facoltà di Ingegneria e al prezioso patrimonio formativo che ci può fornire) ed economico e d’impresa (penso alla Facoltà di Economia e alle indispensabili proiezioni verso il Marketing aziendale e culturale). Tuttavia, proprio perché l’impegno formativo della specialistica è particolarmente complesso, l’attivazione di nuove lauree specialistiche andrà discusso, - questo è uno degli aspetti più interessanti previsto della riforma universitaria e non adeguatamente utilizzato - non solo all’interno dell’Università, ma con il più ampio contesto territoriale (istituzioni, imprenditori, sindacati, associazioni culturali) per tentare di individuare le specifiche competenze che nell’ambito della comunicazione richiede il mercato del lavoro. Su questo aspetto conviene insistere. Lo ripeto, nè l’Università, né il “territorio” hanno investito in questa direzione in modo adeguato: lo ritengo invece un passaggio ineludibile per rispondere in modo concreto alle domande degli studenti il cui obiettivo è acquisire competenze che consentano loro di trovare occupazione qualificata nel settore in cui hanno investito il loro impegno formativo. Sperando in ulteriori occasioni di confronto vi prego di gradire i miei più cordiali saluti.

Enrico Iachello

Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia

    Lettera aperta sul problema “Scienze della comunicazione " a Catania
    11 luglio 2006, di : Salvo Mica

    La replica di Vecchio su Step1:

    Il preside della Facoltà di Scienze politiche, Giuseppe Vecchio, risponde alla lettera aperta che Step1, in collaborazione con altre realtà universitarie, ha indirizzato alle istituzioni accademiche

    Cari Amici di Step1,

    utilizzo il Vostro indirizzo per dare una prima risposta alla lettera aperta che avete pubblicato, con preghiera, se ritenete, di dare pubblicità alla presente. Forse non siete a conoscenza del fatto che la Facoltà di Scienze Politiche, che per prima aveva avviato gli studi di Scienza della comunicazione, attivando il corso di Relazioni pubbliche di v.o., sta riflettendo con impegno e rigore sulla efficacia del Corso di studi di cui è responsabile. La riflessione è talmente attenta e rigorosa che, da due anni, ormai, il Corso di laurea di Scienze della comunicazione non viene attivato. Tale fatto, ovviamente, non ci esonera dalla partecipazione alla discussione. Riteniamo, in particolare, che l’inflazione dei corsi di laurea della classe 14, in tutta Italia, costituisce un problema grave e delicato. Non solo si registra un numero abnorme di iscrizioni, ma si deve pure segnalare che esistono gravi differenze di impostazioni fra i corsi attivati nelle varie sedi e nelle varie Facoltà, fin troppo spesso dipendenti dalla specificità delle risorse disponibili.

    Personalmente sono convinto della necessità di istituire un quadro di collaborazione fra tutte le Facoltà che possono esprimere competenze comunicative utili (penso alle importanti competenze di Facoltà come Architettura, Scienze della formazione, Ingegneria, in materia di problematiche e tecniche della comunicazione non verbale, dell’immagine, della telecomunicazione, ecc.). Ritengo necessario, pure, analizzare le varie prospettive di ricerca e formazione in materia di comunicazione (istituzionale, aziendale, giornalistica, ecc.) prima di continuare ad offrire attività formative nel settore. Queste sono le ragioni che hanno indotto la Facoltà di Scienze politiche a prendere una pausa di riflessione.

    Credo che sarebbe opportuno procedere alla formazione di un corso interfacoltà, con il contributo delle competenze di tutti. Ritengo di pote assicurare l’interesse e la disponibilità della Facoltà alla studio e alla progettazione. Ringrazio per l’invito a partecipare alla discussione e mi riservo di intervenire ulteriormente, anche sulla base degli interventi dei Colleghi. A presto!

    Giuseppe Vecchio, Preside della Facoltà di Scienze politiche.

    Lettera aperta sul problema “Scienze della comunicazione " a Catania
    13 luglio 2006, di : Salvo Mica

    Un bell’articolo uscito su la repubblica sulla situazione di Scienze della comunicazione in Italia:

    "Su repubblica kataweb ho letto questo testo di Vittorio Zambardino http://vittoriozambardino.blog.kataweb.it/...html?ref=hpsbsx

    Ragazzi miei, scienziati della comunicazione immaginari

    Cari maturandi (maturati),

    pare abbiano bocciato poco le commissioni quest’anno. Adesso sarete pronti a pensare all’iscrizione universitaria. Se non è cambiato qualcosa in questo paese, molti fra voi sceglieranno le varie facoltà e corsi di laurea in Scienze della comunicazione. Di certo saranno, quelli che prenderanno questa strada, molti di più di coloro che andaranno a economia e commercio, a giurisprudenza e moltissimi di più di quelli che sceglieranno matematica, fisica e altre scienze "dure". Vorrei dirvi: non fatelo. Ho qualche motivo valido per dirlo.

    Lavoro da molti anni al crocevia tra giornalismo e tecnologia, tra internet e giornali, sulla linea di confine dei media "mainstream" con i nuovi. E le nuove iniziative essendo da sempre una delle poche porte che immettono nel mondo del lavoro, è ovvio che facciano scattare l’immaginazione, l’interesse, l’ambizione di persone che proprio nel mondo dei media, alla fine della fiera, vogliono entrare. Perché uno per quale motivo dovrebbe mai laurearsi in SdC, se non per entrare nel mondo dei media? Ripeto: non fatelo. Eccone i motivi.

    Ma prima ovviamente spazziamo il campo dalle personalizzazioni. Racconto qui la spremuta delle mie esperienze con molti di voi, incontri avuti in questi anni, decine e decine di incontri e colloqui avuti in questi anni, centinaia di tesi viste, spesso anche sacrificando i sabati. Ho incontrato spesso gente seria e motivata, a volte molto preparata, sempre ben disposta a cambiare. Ma altrettanto regolarmente col piombo nelle ali. Quello dell’ambiente di studio nel quale si muovono.

    Quel corso di laurea non solo non vi darà la preparazione necessaria a lavorare nei media, per i quali credo non esistano (e forse è una fortuna) vere e proprie istituzioni che possano preparare fino in fondo. Quel corso però non vi darà nemmeno le mitiche "basi" che dovrebbero poi essere necessarie per - facciamo qualche esempio - un master in marketing, un corso di giornalismo, un profilo manageriale. Perché? Non lo so, posso dirvi che è così e in che modo è così.

    Ho incontrato studenti vogliosi di scrivere una tesi su internet, ho consigliato loro una bibliografia. Obiezione: "Mi scusi, ma questi sono libri in inglese". E allora? Questo lavoro si fa con l’inglese per l’80%? "Io non so l’inglese". Non si potrebbe avere qualcosa in italiano? No non si potrebbe.

    Ho incontrato ragazzi che... volevano fare una tesi su internet. Ha fatto delle ricerche su Google? "Sì, eccole". E capivi parlando che la ricerca su Google non era stata fatta, o che era stata fatta senza quel "raffinamento" che è il frutto di mille e mille volte che devi lambiccarti su un problema ed imparare a sgrossarlo, a renderlo sottile e lucido come un sasso consumato dal mare. Niente di tutto questo.

    Ho incontrato studenti che... "la media ponderata ...". Scusi, ha famigliarità con la statistica? "No, ecco veramente, se potesse evitare certi concetti". La media ponderata? Un concetto?

    Ho incontrato studenti che... la domanda e l’offerta. "Sa, non ho tanta dimestichezza con l’economia". Ah no? Peccato.

    Ho incontrato studenti che... l’osservatore partecipante. Un largo sorriso: "Ho studiato queste cose al corso di metodi e tecniche della ricerca", Bene, allora dicevo... "No scusi, però questo non mi serve per il mio lavoro". Come, non ti serve? La metodologia della ricerca non ti serve?

    Allo stesso tempo però fioccavano domande sul "rapporto tra giornalismo tradizionale e giornalismo on line". Oppure, secondo lei, "come saranno influenzate le fonti del giornalismo alla luce di internet?". Il birignao appeso tra un servizio del tg e un po’ di babbling sociologico.

    Ma ignorare il "contenuto" può essere perfino perdonabile (puoi sempre recuperare, leggendo), a fronte della mancanza "criminale" (perché frutto di un comportamento che danneggia gli studenti) di una mentalità rivolta al metodo. Come selezionare gli obiettivi di una ricerca, quali sono gli strumenti da adottare, l’attitudine a leggere prima di andare da un disgraziato che lavora e che ti dedica un’ora del suo tempo.

    E certo, perché, per utilizzare "l’esperto" esterno, che lavora in un’azienda, devi aver fatto prima un lavoro. Banalmente: devi sapere a cosa ti servirà, cosa vuoi chiedergli, cosa non puoi chiedergli. Insomma l’esperto è una fonte, non quello che "ti fa" la tesi o ti dà gli elementi base che avrebbe dovuto darti l’insegnante, prima che il lavoro vero e proprio cominciasse. Nessuno, cari studenti, vi addestrerà all’ uso delle fonti. E invece: "Il professore mi ha consigliato di parlare con lei". Immagino.

    Se è possibile dirlo in modo un po’ più terra terra i professori che avrete, il personale insegnante che vi seguirà, l’ambiente nel quale vivrete non lavorerà, se lavorerà, per voi. Voi sarete soli , e solo la vostra iniziativa personale, il vostro saperci fare potrà togliervi da questo stato di abbandono. Con una ricaduta gravissima: che questa formazione da autodidatti di facoltà, affidati al proprio saperci fare, crea una cultura retorica, avvocatizia, che supera i problemi della propria preparazione sostituendo al lavoro umile e tosto la "manovra politica", fondata su chiacchiera e trucchetti, per aggiudicarsi oggi una buona tesi e domani un posto in cattedra. E’ la selezione più ingiusta e violenta che possa esistere: quella basata sulla furbizia.

    Ma questo film l’abbiamo visto. Ho più di mezzo secolo, ma questo è lo spettacolo delle università meridionali (e non solo) nelle quali si è diventati per lungo tempo docenti per meriti di combriccola accademica e / o di partito. "Scienze".... della comunicazione?

    Ragazzi miei, scappate, scappate a gambe levate. O toccherà ad altri soggetti sopperire con i propri mezzi alle carenze della vostra preparazione: a voi in primo luogo che vi troverete a prendere le vostre lezioni nei cinema parrocchiali dismessi dai preti, poi alla vostra famiglia che dovrà sborsare tanti soldi, e a chi vi riceverà in un luogo di lavoro e che dovrà dedicare al vostro perfezionamento tempo e risorse proprie e dell’azienda (problema secondario, tuttavia, con quella laurea in una azienda non vi ci prendono).

    E’ come se in ospedale i pazienti si curassero da soli o venissero curati dai famigliari invece che dai medici.

    Scappate, ragazzi: verso una facoltà seria, una di scienze "dure", una che vi faccia "fare il mazzo" sui libri e che bocci senza pietà agli esami o meglio che vi faccia spendere tanto tempo in sessioni di lavoro comune, con i i professori e gli altri studenti, con tanto lavoro finalizzato al metodo e in uno spirito di gruppo.

    O perlomeno, se non ve la sentite, una dove almeno vi insegnino l’inglese, la statistica e un po’ di economia. E’ un po’ di metodo.

    Ma scappate."

L’articolo del professor Granozzi su STEP1
5 agosto 2006, di : Joan Perez |||||| Sito Web: Sulla miseria dei corsi di comunicazione a Catania

Sulla miseria dei corsi di comunicazione a Catania di Luciano Granozzi

I corsi di scienze della comunicazione, almeno nelle intenzioni, non sono stati una beffa. Sta adesso alle facoltà impedire che lo diventino. Rischiamo di trasformare i nostri attuali cinquemila studenti, e quelli che si aggiungeranno, nei figli di una grande illusione


Ho seguito gli sviluppi della discussione suscitata dalla “Lettera aperta su Scienze della Comunicazione a Catania”. Le domande erano serie e le prime repliche mi sono sembrate promettenti. Il preside di Scienze politiche pare apertissimo all’ipotesi di una collaborazione interfacoltà, il preside di Lettere è più cauto ma ugualmente disponibile al confronto, il preside di Lingue avrà sicuramente qualcosa da dire. Del resto occorre dare alle facoltà il tempo di avviare una riflessione nelle sedi appropriate. Queste righe non hanno nessuna pretesa di ufficialità.

Partirò dall’aspetto che mi ha colpito di più: i commenti nei vari forum studenteschi. Temo che tali commenti possano esprimere lo stato della “pubblica opinione” in modo più esplicito del tono, allarmato ma garbato, della lettera aperta. Traspare uno stato d’animo di delusione, mugugni, scoraggiamento generale, che può riassumersi nell’idea: “siamo stati imbrogliati!”. Gli studenti di scienze della comunicazione sarebbero stati attratti da un “logo” alla moda all’interno di facoltà desiderose di incrementare il numero dei propri immatricolati, ma poco interessate allo sviluppo di questo particolare indirizzo di studi. Così si sono trovati dentro corsi di laurea eccessivamente affollati e scarsamente competitivi sul piano nazionale. E ora che iniziano a moltiplicarsi le prime leve di laureati triennali, dove sono gli sbocchi professionali?

Lo so, si potrebbe ignorare una diagnosi così sommaria e impietosa con un’alzata di spalle. In fondo si tratta del solito malcontento che riduce tutto alla contrapposizione tra l’ingenuità e l’innocenza degli studenti e i calcoli machiavellici dei professori: è il ground zero di qualsiasi discussione sulla didattica. Tuttavia vorrei partire proprio da questo livello zero, perché mi pare un’impressione assai diffusa, magari superficiale, ma legittima. E’ vero che gli immatricolati ai corsi di scienze della comunicazione attivati dall’università di Catania sono stati beffati? C’è una risposta a una domanda così drastica?

Io ci provo.

La prima cosa che credo di poter dire è che non trovo nulla di scandaloso nell’aver tentato di misurarsi con la novità dei corsi di laurea della classe 14. Dal punto di vista delle facoltà umanistiche le “scienze della comunicazione”, assieme alle “scienze dei beni culturali”, sono state l’unica importante trasformazione degli ultimi anni. Nella vocazione di queste facoltà, accanto alla ricerca pura, il solo aspetto professionalizzante era la formazione degli insegnanti per le scuole di ogni ordine e grado. C’è voluto molto tempo perché un ambito come quello della cura e della valorizzazione del patrimonio culturale, di indiscutibile importanza benché particolarmente trascurato in Italia, venisse preso a carico dalle università. Oggi non esiste più nessuna facoltà di Lettere che non preveda un corso di questo tipo; basato sull’ibridazione tra discipline tradizionali, come la storia dell’arte, l’archeologia o l’archivistica, con insegnamenti nuovi o presi a prestito dal repertorio delle facoltà scientifiche, giuridiche ed economiche.

Non sempre il cocktail risulta di buona fattura. L’allarme che spinge a privilegiare una solida formazione di base rispetto a un’eccessiva parcellizzazione delle materie specialistiche è generalizzato e gli appelli alla restaurazione riscuotono sempre più simpatia. Sta di fatto però che nessuno mette più in discussione la legittimità delle “scienze dei beni culturali”. Lo scetticismo su “scienze della comunicazione”, invece, è ancora maggioritario; sia perché il ventaglio interdisciplinare si presenta ancora più ampio, sia perché il mondo della comunicazione non è facilmente sintetizzabile in professionalità e capacità ben precise, sia per l’improvvisazione che ha caratterizzato la straordinaria inflazione di questi corsi in Italia. Il timore di essere sopraffatti e distrutti dalle orde barbariche di massmediologi improvvisati non è privo di fondamento. Ma è bene ricordare che “non dobbiamo partire dalle buone vecchie cose ma dalle cattive cose nuove” (come raccomandava Bertolt Brecht in una lettera all’amico Walter Benjamin). Quindi non possiamo limitarci a discutere se dovevamo o non dovevamo impegnarci su scienze della comunicazione, o se, facendolo, abbiamo perso l’anima; ma andare a vedere come si è lavorato e cosa si intende fare.

Vorrei aggiungere un’altra considerazione generale. Per calibrare l’offerta didattica, le facoltà devono tenere conto del rapporto col territorio. Così si dice. Non posso fare a meno di nascondere la mia antipatia nei confronti di questo lemma generico: “territorio”. Considero l’abuso che se ne fa una vera malattia.  Ma assumiamo “territorio“ come sinonimo del tessuto e della cultura imprenditoriale prevalente. Benvenuto il confronto col mondo delle imprese e della pubblica amministrazione, a patto di essere consapevoli che la relazione che viene a istaurarsi tra università e “territorio” equivale spesso a una scommessa e a una sfida. Per i corsi di comunicazione, chiamati a misurarsi con un mercato del lavoro in rapida evoluzione, ciò è vero un po’ dappertutto. Ma è vero a più forte ragione a Catania e in Sicilia, un’area geografica nella quale la maggior parte del mondo imprenditoriale appare poco innamorata del proprio futuro, in cui sussistono forti posizioni di monopolio che rendono asfittico il mondo dell’editoria e dell’informazione contribuendo a svalutare le competenze professionali e i tentativi di innovazione. Questa è una “periferia” in cui l’università non può andare sempre all’unisono col mondo delle imprese, della politica, della pubblica amministrazione. L’università non può permettersi di essere arretrata: grazie alla sua capacità di collegamento nazionale e internazionale, essa deve mostrarsi in grado di creare quello che non c’è ancora nel “territorio”.

Adesso dovremmo avere la pazienza di esaminare il modo in cui l’ateneo ha gestito i nuovi corsi di laurea in scienze della comunicazione. Lo ha fatto, innanzi tutto, in ordine sparso: all’interno di tre diverse facoltà che non hanno ricercato alcuna occasione di confronto sull’esperienza didattica che si stava compiendo. Lo ha fatto coinvolgendo un numero di studenti davvero enorme. Sommando tra loro i cinquemila iscritti ai corsi di scienze della comunicazione - l’8% del totale degli studenti dell’università di Catania - si ha una quota superiore a quella di molte facoltà.  Lo ha fatto ricorrendo massicciamente a insegnamenti a contratto con esperti esterni proprio per le materie di base. Lo ha fatto valorizzando le “altre attività” attraverso la creazione di nuove strutture di coordinamento (la.mu.s.a. - laboratorio multimediale di sperimentazione audiovisiva a Lettere, Medialab a Lingue).

Ci sono stati aspetti positivi e negativi. Positivo, senza dubbio, è il clima di coinvolgimento della parte più attiva degli studenti che si è realizzato attraverso i laboratori didattici e le iniziative ad essi collegate. Mi riferisco soprattutto alla “comunità” studentesca dei Benedettini. Il grado di partecipazione degli studenti di Lettere e Lingue ad alcune delle attività culturali promosse dalle facoltà, la vivacità dei siti web, la produzione di lavori audiovisivi di qualità e tutte le altre iniziative studentesche, più o meno autonome, che abbiamo visto germogliare negli ultimi due anni sarebbero state inimmaginabili fino a poco tempo fa. Credo che ciò sia un risultato, anche se non esclusivo, dell’esistenza dei corsi in comunicazione e della voglia di fare di alcuni dei nuovi docenti a contratto.

Ma è indispensabile elencare gli aspetti negativi che, a mio parere, rischiano di prevalere nettamente. Lo voglio dire senza mezzi termini: la mancata attuazione di un tetto alle iscrizioni per i corsi di laurea triennale in scienze della comunicazione - misura che richiederebbe una consultazione e un accordo tra le facoltà - mi pare un atteggiamento irresponsabile. Rischiamo di trasformare i nostri attuali cinquemila studenti, e quelli che si aggiungeranno, nei figli di una grande illusione. Non solo e non tanto in vista degli sbocchi professionali (giacché, se il solo parametro fosse questo, il discorso potrebbe applicarsi a molti altri corsi di laurea), ma perché le nostre facoltà non possiedono il patrimonio, né di docenti, né di strutture, indispensabile per offrire corsi sufficientemente qualificati a un numero così ampio di iscritti. Partendo dal fatto che scienze della comunicazione è un corso di laurea che richiederebbe un impegno molto denso di esercitazioni guidate e di attività didattiche collaterali, l’attuale situazione è diventata intollerabile.

In secondo luogo mi pare fondata la considerazione del preside Iachello, il quale osserva che ciascuna facoltà ha modellando la tabella ministeriale della classe 14 sulla propria specificità culturale. Quale che sia il grado di collaborazione che le facoltà vorranno adottare, è logico che tali specificità dovranno mantenersi in curricula distinti, senza attentato per le “valenze identitarie”. Rimane però il problema degli insegnamenti di base o caratterizzanti, relativi alle teorie e alle tecniche della comunicazione, attualmente affidati a docenti a contratto. L’apporto di alcuni professionisti esterni è indispensabile per arricchire l’offerta didattica a scienze della comunicazione. Ma siamo davvero convinti di poter procedere all’infinito unicamente con docenti a contratto? Retribuiti, oltretutto, in maniera simbolica? Come assicurare la copertura di alcuni dei nuovi settori disciplinari con docenti di ruolo? Il preside Iachello sa benissimo che, nella programmazione delle carriere e dei nuovi accessi, le facoltà sono condizionate dalla forza di inerzia dei settori disciplinari già esistenti. Come riparare, e con quali risorse, se attraverso la collaborazione interfacoltà la questione non diventerà un problema di ateneo?

Con tutto ciò non voglio pronunciarmi sulle lauree interfacoltà. Tanto invalicabile sembra il richiamo “identitario” agli orticelli delle rispettive facoltà. Se si avesse voglia di collaborare, se le intenzioni fossero buone, cosa impedirebbe di unificare fin d’ora, o almeno coordinare, l’offerta delle “altre attività” - i laboratori e la sperimentazione didattica collegata a scienze della comunicazione - consentendo la libera partecipazione degli studenti dei diversi corsi di laurea senza frapporre artificiose barriere e bandiere?

E’ stupido, talvolta, appellarsi al buon senso. Non sempre il buon senso si concilia con gli arcana imperii. Perciò, in definitiva, non so che rispondere alla domanda iniziale. I corsi di scienze della comunicazione, almeno nelle intenzioni, non sono stati una beffa. Sta adesso alle facoltà impedire che lo diventino. So per certo che gli sforzi “creativi” per promuovere il settore dei laboratori, della sperimentazione didattica, delle “altre attività”, delle iniziative culturali, se non vengono coordinati con i corsi istituzionali e inquadrati in un coerente progetto, possono trasformarsi in un’effimera vetrina e da soli non bastano. Non mancherò di trarne le conseguenze anche a livello del mio impegno personale.

(23 luglio 2006)

    L’articolo del professor Granozzi su STEP1
    12 agosto 2006, di : Salvo Mica |||||| Sito Web: Ritengo che alla ripresa delle attività possa convocarsi un dibattito pubblico

    Ritengo che alla ripresa delle attività possa convocarsi un dibattito pubblico di Antonio Pioletti


    Caro Joan Perez,

    vi leggo (con grande interesse) e vi rispondo (con altrettanto piacere).

    Nella mia intervista del 2 agosto u.s. ho trattato di vari argomenti, con un unico filo conduttore sotteso: la crisi dell’Università pubblica in Italia (tagli del 10%?) e il declino del nostro Ateneo, che si riflettono in campi diversi ma collegati, dalla ricerca all’offerta formativa, dall’internazionalizzazione al diritto allo studio. Non era un modo per divagare rispetto a questioni concrete dell’oggi. Solo che ritengo che queste ultime trovano soluzione, o quantomeno un avvio di soluzione, se si ha un’idea diversa di Università, un’idea che faccia del sistema pubblico d’istruzione una grande priorità in termini di investimenti finanziari (altro che tagli!), di mutamento dei metodi di gestione, di riequilibrio tra le diverse aree del Paese. I divari del Mezzogiorno d’Italia (ivi compresi i suoi Atenei) si acuiscono drammaticamente (si veda l’ultimo Rapporto SVIMEZ). Riprenderemo questi temi anche in altra sede, ma non accantoniamoli!

    Tre precisazioni adesso 1. sui piani di studio di Lingue e sul vostro malcontento; 2. sui CdL in Comunicazione; 3. sul da farsi.

    1. Non intendevo sottovalutare il legittimo disagio e il malcontento derivati dalla mancata attivazione dell’intero percorso dei nuovi piani, né proporre una difesa d’ufficio (non sarebbe compito mio). Mi sono limitato a ricostruire le tappe della vicenda e a sostenere, il che qui ribadisco con convinzione, che non di "imbroglio" si è trattato, ma eventualmente, a seconda delle opinioni, di errore di valutazione. Non ho francamente bisogno, Valerio, di riunire una ventina di studenti a caso..., né, Lilith85, di leggere tutti i forum: se non fossi stato convinto della necessità di rivedere i piani e di tener conto di tante giuste richieste di studentesse e studenti, non avrei dato il mio modesto contributo nel riformularli, convinto che andassero attivati per tutti e cinque gli anni. In seguito, sono stato preso da altri impegni. Si è prospettato un ostacolo di tipo burocratico (un iter di passaggi non sostenibile) che non è ascrivibile, credetemi, alla neghittosità di una Segreteria studenti che in condizioni non brillanti svolge viceversa un grande lavoro. Ebbene, Valerio, mi sono, perplesso, fermato anch’io che pur avevo creduto nei nuovi piani, per quanto perfettibili. Hanno inciso anche altri fattori? Direi di sì, ma su di essi, per correttezza, non mi pronuncio, perché la discussione in Facoltà, a mio avviso, riprenderà. Rispondo di me stesso (mi guardo bene dal coinvolgere l’insieme della Facoltà stessa), e, in tutta sincerità, il dubbio serio di avere sbagliato mi è rimasto (ma perché su tutta la questione non si convoca entro la prima decade di settembre un incontro pubblico, per chiarire e costruire? la vice-preside non aveva aperto qualche spiraglio?). Non condivido né il giustificazionismo né il catastrofismo. Allorché nell’intervista ho fatto riferimento ai miei colloqui con gli studenti delle Triennali -in sede di esame ma non solo, aggiungo-, era per segnalare non che non sia presente un disagio, ma che esso spesso non si manifesta nei termini di un certo catastrofismo che talora mi capita di leggere o di sentire. Tutto qui. Per le Specialistiche... il discorso è un po’ diverso, certo.

    2. Ritengo che alla ripresa delle attività, dal momento in cui saranno disponibili le "mitiche", ma necessarie, nuove Classi, ma anche prima, possa convocarsi, promosso dai firmatari della lettera sui Corsi di Comunicazione, un dibattito pubblico, presenti Presidi e Presidenti di CdL, ma anche soggetti esterni del mondo della produzione, dal quale fare scaturire linee di indirizzo e un gruppo di lavoro interfacoltà, paritetico tra docenti e studenti, per elaborare una proposta e per le Triennali e per le Specialistiche. Mi sembra importante che l’iniziativa dei rappresentanti, e di tutti, lieviti e sia dirompente. Condivido peraltro pienamente gli interventi del prof. Granozzi e di Pirru.

    3. Il da farsi non si ferma qui. Penso a seminari tematici sulla didattica, a partecipazione mista docenti/studenti, che trovino sbocco in una Conferenza di Facoltà per una rivisitazione di tutti i CdL, con particolare riferimento alle Specialistiche, oggi veramente deboli (ma qui, non si trascuri, come ipotesi di lavoro, la possibilità di piani di studio individuali: se altre Facoltà hanno dimostrato buona volontà per Specialistiche interfacoltà, si apra la soluzione ponte di mutuazioni possibili). Sulla base degli esiti molto positivi, a mia opinione, di Medialab, penso a una nuova fase di organizzazione di Laboratori di pratica-produzione in collegamento organico con il mondo della produzione. E altro.

    Vi ringrazio delle sollecitazioni e vi auguro di cuore buone vacanze. Se poi volete fare una nuotata con me, fatemelo sapere.

    (11 agosto 2006)