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In questo mondo libero

In questo mondo libero manca la libertà di vivere una vita degna di essere vissuta, in alloggi rispettabili per degli uomini, con stipendi regolari, assistenza sanitaria, e senza il timore che qualcuno ci spari o ci prenda a mazzate se decidiamo di ribellarci

di Fabrizio Cirnigliaro - martedì 19 gennaio 2010 - 4982 letture

Angie è una giovane ragazza inglese, divorziata e con un figlio di 11 anni. Dopo essere stata licenziata, decide di aprire con la coinquilina, Rosie, una propria agenzia di lavoro interinale. L’intenzione iniziale è di fare tutto seguendo la legge, pagando le tasse e facendo lavorare solamente stranieri con regolari permessi di soggiorno. Presto le due amiche socie si trovano ad affrontare le difficoltà del “mercato del lavoro” attuale. Molte aziende infatti preferiscono dare lavoro ad immigrati clandestini, perché possono pagarli molto meno del minimo sindacale, e soprattutto perché sono più facilmente ricattabili. Rosie non vorrebbe cedere alle tentazioni del guadagno facile, ma Angie è testarda, spietata, cinica, una perfetta manager nell’epoca della globalizzazione, e trascina l’amica nei vari “trailer park” (Baraccopoli) alla ricerca di fresca manodopera. La chiusura improvvisa di un’azienda e il conseguente mancato pagamento di 40.000 sterline di stipendi, trascinerà le due ragazze in una situazione pericolosa, costrette a dover affrontare le minacce degli operai che hanno lavorato per settimane senza aver ricevuto il salario.

La sceneggiatura di Paul Laverty, non lascia allo spettatore il tempo di studiare inquadrature, di seguire la macchina da presa, di giudicare la regia di Ken Loach, il cui stile cambia improvvisamente durante la scena del rapimento del figlio di Angie. Mentre Rosie si fa degli scrupoli, Angie riesce a tirar fuori il peggio di se stessa. E’ sempre lei a prendere l’iniziativa, nel bene , ma soprattutto nel male. L’agenzia darà lavoro ad immigrati clandestini, trovandogli un alloggio fatiscente, passaporti falsi e facendo grossi guadagni su ognuna di queste cose. Siamo tornati indietro di 100 anni se un posto letto può essere condiviso da due operai, visto che si alternano con dei turni massacranti di 12 ore ciascuno. Sono loro, gli immigrati clandestini, gli schiavi del nuovo millennio, occasione di guadagno per le mafie locali, per i caporali e per i padroni. “Vengono da un mondo sconfitto”, sono gli esclusi, gli invisibili, colpevoli di aver portato il terzo mondo dentro ai nostri confini.

Rosarno non è un’eccezione, bisogna essere ciechi per non accorgersi di cosa sta succedendo nei magazzini/dormitori di Prato, in piazzale Lotto a Milano, dove i caporali reclutano quotidianamente gli operai necessari per una giornata di lavoro, nelle cucine dei ristoranti, nei centri smistamento dei pacchi delle grandi multinazionali della logistica. Tre anni fa c’è stata la rivolta dei cinesi nella Chinatown milanese, l’anno scorso è stata la volta degli africani a Castelvolturno, settimana scorsa sono stati gli immigrati clandestini di Rosarno a ribellarsi, con la conseguente caccia all’uomo”spontanea” dei cittadini calabresi.

Piccoli fuochi sparsi per lo stivale che fanno presagire una tensione sociale pronta ad esplodere, pericolosa. Basta ricordarsi dell’indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti dei cori e degli insulti razzisti ricevuti settimanalmente da Mario Balotelli, giovane calciatore italiano i cui atteggiamenti in campo non sono certamente più irrispettosi rispetto a quelli tenuti dai colleghi Totti, Maresca etc etc. Il calcio, come ha più volte dimostrato Ken Loach nei suoi film, può essere un’ottima metafora per evidenziare i problemi che affliggono la nostra società.

In questo mondo libero manca la libertà di vivere una vita degna di essere vissuta, in alloggi rispettabili per degli uomini, con stipendi regolari, assistenza sanitaria, e senza il timore che qualcuno ci spari o ci prenda a mazzate se decidiamo di ribellarci, di occupare un a fabbrica, di difendere i nostri diritti civili.

Non pagare mai un favore, ricambialo, non tutto si può comprare.


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