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Dei malanni della scuola

È un vero "danno scolastico"? A proposito del libro di Mastrocola e Ricolfi sulla scuola.

di Massimo Stefano Russo - venerdì 19 novembre 2021 - 3423 letture

“Dunque, sono figlia di un meridionale, figlio di contadini, immigrato, ex poliziotto, che sposa una sartina settentrionale senza nemmeno la licenza media e riesce a entrare alla Fiat. Vengo da una famiglia di ceto-medio basso, mi pare di poter dire. E ho fatto il liceo classico.

Secondo la tesi democratica non avrei potuto farlo.” Così recita e chiosa Paola Mastrocola in Il danno scolastico, scritto a quattro mani con il marito Luca Ricolfi.

Parlare di scuola e farlo da insegnanti pone tutta una serie di problemi, in primo luogo l’oggettività. Bisogna essere capaci di distaccarsi dalla propria personale esperienza, per evitare la visione singolare di chi privilegia la propria prospettiva. È uno dei tanti limiti di questa riflessione a senso unico che nel privilegiare il valore del merito esclude il malessere scolastico; si sposta l’attenzione sul proprio vissuto e si rischia così di dare una visione distorta, riduttiva della complessità e si finisce per danneggiare i protagonisti del sistema scolastico: gli insegnanti e gli studenti.

Quanti ancora credono molto nella scuola e le danno un valore altissimo, convinti che oltre alla famiglia d’origine a contare sia anche la scuola? Parlare della scuola e soprattutto in chiave critica è importante, nel saper porre l’attenzione sui problemi più significativi e rilevanti, prospettando delle soluzioni.

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Scuola - disegno di Peter Bruegel

Perché molti abbandonano gli studi? Studenti che leggono poco e scrivono ancor meno, hanno una preparazione modesta, per non dire mediocre, con delle considerevoli difficoltà analitiche ed espressive, ma arrivano lo stesso alla laurea. Sono abili nell’utilizzare le tecnologie e i social, ma incapaci a organizzare il pensiero logico-razionale, soprattutto di argomentare e sintetizzare criticamente la complessità del reale.

È l’impoverimento del linguaggio a rendere ancor più problematico comprendere e spiegare quanto si dice e si vuol comunicare. Si stenta a esprimersi in corretto italiano e incapaci di sviluppare ed esprimere emozioni, figuriamoci poi il pensiero critico sensato, distinto dal voler essere a tutti i costi dei “bastian contrari”.

E tutta colpa dell’aver abbandonato lo studio del latino?

A contare è quello che la scuola insegna grazie agli insegnanti “magistrali,” che con le loro voci e le loro parole, gli occhi che si muovono e si posano, sapientemente sanno trasmettere l’amore per la scuola: sono fondamentali, indispensabili!

Se il clima culturale privilegiato naturalmente indirizza allo studio, oggi non è più così. Non basta possedere una libreria in casa se la si considera stucchevole tappezzeria e si disdegnano i libri che vi si ritrovano, senza saperli apprezzare.

Ma nascere da genitori che hanno studiato poco e in una casa vuota di libri può essere anche una vera fortuna?

Perché l’ideologia democratica si è assunta il compito di spianare la strada a tutti, rendendo agevoli gli studi e abbassando il livello?

La scuola è cambiata radicalmente con la riforma Berlinguer del 2000, tra progetti extracurricolari, valutazione oggettiva e diritto al successo formativo. È questo il punto da riprendere e su cui riflettere per ripartire nel riformare e trasformare adeguatamente la scuola.

Quale il futuro della scuola? Si può celebrare il merito in chiave salvifica? Siamo sicuri che la competizione accrediti la possibilità di accedere a una società migliore? Si può auspicare la pratica delle uguali opportunità, sostenendo il valore dell’impegno nello svolgimento dei propri compiti? Su cosa incentrare il modello formativo?

Lo studio per molti ha rappresentato e rappresenta una forma di riscatto. Lo spazio dell’istruzione va salvaguardato, formando alla conoscenza e al sapere che passa attraverso lo studio e l’impegno, assunto con attenzione e senso di responsabilità.

Il patrimonio scolastico, la scuola come “maestra di vita” non si possono ridurre solo a storie di vita che rimpiangono con nostalgia il proprio passato. Lorenzo Milani con limiti ed errori ha rappresentato un modello alternativo di pedagogia popolare. Il suo insegnamento rimane un valore fondato sulla conoscenza che diventa coscienza critica, un metodo rivolto all’apprendimento che assegna valore primario allo studio inteso come espressione rivolta a comprendere la realtà a partire dai codici linguistici utilizzati.

Stupisce come nel dialogo tra moglie e marito che contemplano le proprie esperienze scolastiche il malessere dello stare a scuola, del fare scuola sia ridotto esclusivamente al declassamento del sapere, senza tenere nel debito conto le distorsioni generate dalla società e soprattutto dalla degenerazione politica che ricadono inevitabilmente sulla scuola. Il disinteresse nei riguardi delle scuole è sociale e pubblico, con i genitori che se ne preoccupano sbadatamente al seguito dei figli.

Le scuole che per storia e tradizione rappresentano il fiore all’occhiello delle comunità, incarnano valori e punti di riferimento fondamentali, ma rimangono marginali ed elitarie. Confinate in spazi circoscritti e delimitati, un mondo a parte, a sé stante.

Si può invocare rigore e severità, nella società dello spettacolo e del divertimento dove gli studenti sanno di Chiara Ferragni e Fedez ma non sanno di don Lorenzo Milani, anche perché nessuno gliene ha parlato? e a che pro, che farsene di don Milani?

La generalizzazione accredita gli aspetti più futili e di massa legati al mercato e al commercio, con il profitto che si sostituisce al guadagno e la finanza all’economia, mentre comunicazione e informazione, trasmesse tecnologicamente in modo scriteriato, immiseriscono il sapere e disperdono la cultura.

Stupisce la leggerezza strumentale con cui Mastrocola e Ricolfi si richiamano alla propria esperienza professionale, per formulare una lettura soggettiva, funzionale ad accreditare le proprie idee. Nella migliore delle ipotesi opinioni che a una lettura attenta risultano maldestre; uno studio frutto di un’inadeguata, teoria logico-analitica interpretativa, assente il pensiero critico-dialettico, ridotto a polemica, pur appellandosi a priori al rigore del metodo scientifico.



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